PARLIAMO DI… DISTANZA
PSICHE INCONTRA ANGELO MACCHIA
“Problemi di connessione” di Angelo Macchia. In “Distanza”, numero 1/2022 di Psiche.
a cura di Anatolia Salone
“… di fronte all’erompere della catastrofe avevo paura che nulla sarebbe tornato come prima e mi interrogavo su come sarebbe stato il dopo. Così decisi di continuare a recarmi al mio studio anche se sapevo che non avrei incontrato nessuno, dato che coi pazienti ci eravamo presi un po’ di tempo per capire come procedere. Percorrere 15 minuti di strade desolate, deserte, era un modo per mantenere viva una speranza, un desiderio.”.
Forse ognuno di noi potrebbe riconoscersi in questa descrizione con cui Angelo Macchia, psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana, introduce le sue riflessioni sull’esperienza vissuta nei primi mesi della pandemia. Il suo scritto dal titolo “Problemi di connessione” rappresenta un prezioso contributo alla comprensione e alla rivalutazione dello sforzo di adattamento che la situazione pandemica ci ha richiesto, utilizzando il vertice di osservazione di uno psicoanalista catapultato come tutti in uno spazio relazionale improvvisamente cambiato.
Cerchiamo con l’autore di ripercorrere insieme alcuni passaggi:
A proposito di adattamento, nel tuo scritto sottolinei come noi esseri umani possiamo riuscire ad adattarci a condizioni estreme con una plasticità sorprendente, pagandone un prezzo ma anche approdando a nuove possibili opportunità. In fondo questa è la storia dell’evoluzione della nostra specie. L’immagine poetica dei tuoi due gatti che reagiscono in modi molto diversi ad alcuni cambiamenti apportati nella loro vita rimanda anche alla variabilità delle risposte soggettive. In questo momento in cui, pur non essendo ancora superata l’emergenza pandemica, abbiamo comunque alle spalle un tempo di adattamento maggiore, quale credi sia il prezzo più alto che a livello gruppale stiamo ancora pagando e, invece, quale l’opportunità più importante?
C’è stato un breve momento, quello in cui alle 18 di ogni giorno ci si affacciava al balcone e si cantava o ci si guardava con sguardo nuovo intorno e si salutava il vicino, in cui la connessione è stata effettiva. Ci siamo sentiti più vicini ed eravamo dalla stessa parte perché il nemico era esterno, misterioso, minaccioso. Ci siamo illusi che sarebbe andato tutto bene. Non è andata bene, da molti punti di vista. Siamo tornati quelli di prima e a livello gruppale non siamo stati in grado di apprendere dall’esperienza. Anzi: quella temporanea umanità e solidarietà hanno presto lasciato il posto a vecchi e nuovi egoismi. La tragedia anziché unirci ci ha divisi e il dolore è stato negato, oppure siamo andati alla ricerca dei colpevoli, dei falsari, dei complotti: la persecuzione che prima era nel virus è tornata a essere proiettata tra gruppi contrapposti. E’ stato drammatico dividersi anche nelle famiglie tra chi aveva fiducia nella scienza e chi si opponeva ad essa. Direi che l’umanità ha perso un’occasione. Ha rimosso quella comunione delle 18 ed è tornata a farsi la guerra, anche in senso letterale purtroppo. Eppure quella connessione delle 18 ha lasciato una traccia nella possibilità di cercare una connessione da distanza. Allora si facevano gli aperitivi o si cenava per tollerare l’isolamento, oggi ci si connette da remoto per discutere, confrontarsi, guardarsi: qualche giorno fa ho visto una signora anziana parlare in videochiamata con la sua nipotina e questo mi ha colpito. Questo sarebbe stato tecnicamente possibile anche prima di tre anni fa, ma credo che sia stata la pandemia a realizzare questa opportunità. Ovviamente una videochiamata non è come abbracciarsi di persona, ma penso che si aprano nuove opportunità. La pandemia ha lasciato strada alla guerra, una guerra in cui il Presidente ucraino è “andato” nei parlamenti di mezzo mondo a raccontare la tragedia del suo popolo. E’ entrato nelle nostre case e di nuovo l’orrore ci ha divisi. C’è naturalmente il rischio di assuefarsi al male, ma questa guerra ci è ancora più vicina dopo aver scoperto quanto_ è vicina a noi Wuhan. O Teheran.
Il titolo “Problemi di connessione” pone l’accento sulla distanza che, se eccessiva, compromette la relazione. Tornando alla soggettività delle risposte di adattamento, cosa pensi riguardo allo stato di “riconnessione” che a volte in maniera altrettanto improvvisa molte persone si sono trovate a sperimentare. Quanto nella stanza di analisi, ritornata “in presenza”, ad essere spazio vissuto da due corpi, assisti a problemi di riadattamento o a condizioni che potresti definire invece nuove opportunità?
Credo che abbiamo scoperto nuove forme di vicinanza e intimità anche nel nostro lavoro, come nuovi problemi. Come regolarsi quando un paziente ci dice che parte per un viaggio di lavoro e che però potrebbe collegarsi online per la seduta? O una mamma che ha il figlio malato e non può muoversi da casa ma ci terrebbe a effettuare ugualmente la seduta? Il concetto stesso di setting esce modificato da tutta questa esperienza e questo ci sollecita a interrogarci sui fondamentali del nostro lavoro; proprio come quando una persona mi chiede: “Perché la tua seduta dura 50 minuti? Perché non 20 o 250 minuti?”. Le domande ci tengono vivi e gli interrogativi emersi durante la pandemia sollecitano la nostra funzione psicoanalitica della personalità. Io per esempio ho capito di non essere portato per il lavoro da remoto se non per le situazioni di emergenza, ma il grande successo delle piattaforme online ci dice che molte più persone accedono alle cure psicologiche di quanto non sarebbe stato possibile in precedenza. La pandemia ha fatto esplodere la domanda di cura, ma al contempo è cresciuta l’offerta. Non mi sfugge il rischio che lo psicoterapeuta o lo psicoanalista possa essere assimilato a una pizza a domicilio, ma considero che questa possa essere una opportunità per chi non ha ancora sviluppato le gambe psichiche per andare in pizzeria o recarsi da uno psicoanalista. La psicoanalisi cresce nel mondo anche grazie alle analisi online che già da tempo si praticano per formare nuovi analisti nelle regioni più remote del mondo. Perché non potrebbe essere lo stesso per raggiungere persone lontane in base un concetto di remoto meno definito dalla geometria o dalla geografia?