Faisal Al Mutar, foto di David Belusic
PARLIAMO DI… CENSURA
PSICHE INCONTRA FAISAL AL MUTAR
“Traduttori coraggiosi. Intervista a Faisal Al Mutar”, di Martino Rossi Monti.
In “Censura”, numero 2/2021 di Rivista Psiche.
a cura di Alessia Fusilli de Camillis
Chi ha la fortuna di essere cresciuto in un paese democratico tende a dare per scontate molte cose che non lo sono affatto. Quando entra in una libreria, accende la televisione o si collega alla rete è abituato ad avere a disposizione una quantità pressoché illimitata di informazioni. Nella maggioranza dei casi, la ricerca e lo scambio di informazioni, così come l’espressione pubblica o privata delle proprie opinioni, non avvengono in un clima di segretezza, reciproco sospetto e terrore. È vero che in Occidente queste fragili conquiste storiche sono state oggetto, ultimamente, di ripetuti attacchi di diversa natura e gravità. Basti pensare al massacro della redazione di Charlie Hebdo e alla decapitazione di Samuel Paty in Francia da un lato, e all’ondata di intolleranza e conformismo morale che sta attraversando il mondo anglofono dall’altro. Questi attacchi sono avvertiti da molti come inaccettabili e sconvolgenti proprio perché vanno contro valori e costumi radicati nelle società pluraliste e democratiche. Nelle quali, soprattutto con l’avvento di Internet e il passaggio da una struttura verticale della comunicazione a una reticolare, il problema non è la difficoltà di accedere alle informazioni, ma la gestione di una sovrabbondanza o un eccesso di dati e conoscenze non più sottoposti al preventivo filtraggio dei media tradizionali (Pireddu, 2017). Che cosa succede, invece, nelle società nelle quali il problema è la scarsità delle informazioni? Cosa accade quando a quella scarsità si associano non solo l’arretratezza del sistema educativo e informativo, ma anche l’imperversare della censura, della disinformazione, dell’intolleranza religiosa e dell’odio settario?
Con queste considerazioni Martino Rossi Monti, ricercatore all’Istituto di Filosofia di Zagabria, introduce l’intervista a Faisal Al Mutar, attivista iracheno fondatore e presidente dell’organizzazione non governativa senza scopi di lucro con sede a New York Ideas Beyond Borders (“Idee al di là dei confini”) e fellow presso The Elevate Prize Foundation powered by MIT Solve.
M.R.M. Faisal, prima di parlarci dell’organizzazione che hai fondato, Ideas Beyond Borders [d’ora in poi IBB], raccontaci la tua storia.
F.A.M. Certo, mi chiamo Faisal Al Mutar, sono nato nel 1991 ad al-Hilla, in Iraq, vicino alle rovine dell’antica Babilonia, e sono cresciuto a Baghdad, la capitale. Mio padre un chirurgo ortopedico e mia madre un’avvocatessa. Ci siamo trasferiti a Baghdad all’inizio degli anni Novanta, durante il regime di Saddam Hussein. Nel mio quartiere vivevano i generali e i funzionari del regime. Nel 2003, però, quando iniziò la Seconda Guerra del Golfo, se ne andarono tutti. Al loro posto subentrarono le milizie di Al-Qaeda e altri gruppi terroristici, cosicché il mio quartiere, da ordinaria zona residenziale, si trasformò improvvisamente nel quartier generale di Al-Qaeda nell’Iraq occidentale. […] Le milizie tentavano di instaurare una vera e propria teocrazia. Era una specie di ISIS in miniatura, per così dire, anche se in veste leggermente più moderata. Come dico spesso, la loro moderazione consisteva nel gettare gli omosessuali dal decimo piano invece che dal sedicesimo. Nel 2007, al culmine della guerra civile, frequentavo il liceo. Cominciai a dire e scrivere cose molto critiche verso gli estremisti. Il mio nome finì presto su un paio di liste di morte. Ho perso familiari, parenti e amici. Nel 2009 sono dovuto fuggire dall’Iraq e sono andato in Libano, uno dei pochissimi paesi che accetta rifugiati iracheni. Dal Libano, l’idea era di andare in Europa, nel Regno Unito, dove vive mia sorella. Tuttavia, l’ingresso mi fu vietato, sempre a causa del mio passaporto iracheno. Dal Libano andai allora in Malesia, dove feci domanda per lo status di rifugiato presso le Nazioni Unite. Nel 2013 quella domanda stata accettata dagli Stati Uniti. Ora vivo a New York e sono cittadino americano.
M.R.M. Com’era la vita sotto Saddam?
F.A.M. Un aneddoto personale può essere utile per farsi un’idea. Sono venuto a conoscenza che l’Iraq aveva invaso il Kuwait solo nel 2005, durante la Seconda Guerra del Golfo, vale a dire quindici anni dopo che il fatto era avvenuto. Fino ad allora, ero convinto che nel 1990 fossimo stati invasi da trentatrè paesi e che l’Iraq avesse vinto la guerra. Questa era la menzogna che ci avevano propinato gli unici due canali televisivi esistenti al tempo di Saddam, naturalmente controllati entrambi dal regime. Scoprii la verità guardando un documentario della National Geographic.
M.R.M. Cosa è cambiato dopo Saddam?
F.A.M. Da un orwelliano 1984 siamo passati a un mondo fatto di una miriade di giornali e televisioni gestiti per la maggior parte da milizie di vario genere e partiti politici tra loro in competizione. Ancora una volta, non eravamo in grado di sapere cosa fosse vero e cosa falso. A seconda delle regione o dei quartieri, ad esempio, ogni attentato suicida veniva attribuito dai media locali a milizie diverse. […] Ne derivò una polarizzazione estrema che alla fine ci ha condotto alla guerra civile.
Attraverso gli occhi di Faisal Al Mutar si vuole gettare uno sguardo sul mondo arabo in cui è ancora critica la situazione della diffusione di idee promotrici di pensiero critico, diritti individuali, laicità, scienza e pluralismo.
Nonostante la censura, l’obiettivo di Ideas Beyond Borders è di rendere finalmente accessibili, traducendoli in lingua araba, contenuti finora inaccessibili, enfatizzando le idee e i valori emancipatori e universalisti di tipo illuminista e insistendo sul pensiero critico e sull’accesso alle informazioni e alla conoscenza piuttosto che sulle ideologie.
In questo senso, decostruire e affrontare la censura significa fornire ai cittadini di questi paesi uno strumentario intellettuale per trasformare in autonomia e dall’interno le proprie società, voltando pagina rispetto all’autoritarismo, l’estremismo religioso, l’oppressione e la violenza.
Nelle parole di Martino Rossi Monti: La strada appare molto lunga ed è impossibile dire se la voce fioca, ma persistente, dell’intelletto – per riprendere un’immagine freudiana – avrà la meglio sul fanatismo, l’ignoranza e la pulsione di morte. L’ironia, il coraggio e l’entusiasmo contagioso di Faisal e di tanti altri come lui ci consentono, però, di nutrire qualche speranza.
Il giovane attivista iracheno racconta che nella maggior parte dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa l’ecosistema informativo è caratterizzato da mancanza di informazioni e da disinformazione.
I media non sono indipendenti, sono controllati dallo stato o sono di proprietà della famiglia reale. Rispetto ai contenuti, non solo ce ne sono pochi in arabo, ma ci sono poche informazioni fattuali… La tecnologia è disponibile ma è usata per scopi autoritari, per controllare o plasmare le opinioni dei cittadini… Il fenomeno della cosiddetta “censura ombra” costituisce una forma di restrizione in cui non si viene effettivamente censurati dal governo, ma se si dice la cosa sbagliata si finisce ammazzati, e l’assassino non viene arrestato.
Racconta Faisal Al Mutar: Durante la mia esperienza da rifugiato, ho cominciato a fare qualche ricerca e mi sono presto reso conto che in lingua araba esistono pochissime informazioni per chi voglia informarsi sui fatti. Nell’organizzazione che dirigo, IBB, ci serviamo di tecnologie (chiamate W3) in grado di dirci quanto una particolare lingua è diffusa su Internet. Quando abbiamo cominciato il nostro lavoro di traduzione, quella percentuale era, per l’arabo, dello 0,6%. Ora, grazie a noi, è salita all’1,1%: abbiamo aggiunto circa 40 milioni di parole. Insomma, non solo ci sono pochi contenuti in arabo, ma ci sono anche pochissime informazioni fattuali.
M.R.M. Psiche è una rivista della Società Psicoanalitica Italiana. Viene quindi spontaneo chiederti quale sia la tua percezione della diffusione delle idee di Freud in Medio Oriente. Come viene percepita la psicoanalisi nella regione, quando e dove questa percezione esiste?
F.A.M. Non so molto su questo argomento, purtroppo. So però che alcune opere di Freud sono disponibili in arabo. Esistono certamente meno scuole di psicologia in Medio Oriente rispetto ad altre parti del mondo. Non mi pare che queste discipline e pratiche abbiano guadagnato molto terreno. Ci sono poi molti miti che circondano i disturbi mentali. Ad esempio, nel quartiere in cui sono cresciuto, si pensava comunemente che le persone affette da autismo fossero possedute da Satana. Temo quindi che ci sia ancora molta strada da fare.