“Vecchiaia e Psicoanalisi”
A cura di: Rita Corsa, Lucia Fattori, Gabriella Vandi
(Alpes, 2020)
Recensione a cura di Rossana Gentile
“L’ uomo nasce vecchio e piano piano diventa giovane”. Così, Eduardo De Filippo, in una delle ultime interviste, parlava della vecchiaia invertendo l’ordine del tempo e la logica delle cose. E aggiungeva: “L’uomo anziano, come il bambino, tocca tutto, diventa curioso, se fa parte di quella categoria che non vuole ringiovanire” (De Filippo, 1984).
Secondo Eduardo, la vecchiaia ci riporta all’essenziale. Ci alleggerisce di quegli aspetti della vita che ritenevamo, a torto, fondamentali, restituendoci alle cose semplici ma importanti. “Ringiovanire significa […] eliminare, eliminare sempre di più. Eliminare certe cose inutili che noi facciamo da giovani, certe cose inutili che ci danno l’impossibilità di essere liberi. Eliminando tutto questo, si ottiene una libertà giovanile” ( ib.)
Nel volume curato da Rita Corsa, Lucia Fattori, e Gabriella Vandi, che ha il grande pregio di avvicinare un tema delicato e “scomodo” come la vecchiaia alla psicoanalisi, mi pare si metta analogamente in evidenza che il tempo della vecchiaia è un tempo pieno che può offrire a chi sa coglierlo “il frutto” della vita. Izzo, nel suo contributo introduttivo, ci ricorda che nell’agire maniacale di alcuni anziani si colloca la più naturale delle difese dalla depressione, un modo per negare lo scorrere del tempo e le angosce ad esso sottese. L’altra faccia di questa medaglia è costituita dalla solitudine, che nasce dal non sentirsi ascoltato e dall’essere stanco di desiderare di farsi ascoltare. Di contro alla rumorosa esaltazione dell’allungamento della vita grazie ai progressi nel campo della medicina e della tecnologia applicata alla salute, forse ancora troppo sottovoce ci si ferma a riflettere su quanto lavoro psichico si possa ancora fare, quanto movimento possa ancora mettersi in gioco nel destino di un anziano. Gabriella Vandi, riprendendo il carteggio tra Freud e Lou Salomè, indica come nella vecchiaia, se ci si pone da un orizzonte di fede, si può godere di una grande opportunità: riuscire a dare un significato a posteriori alla vita trascorsa, cogliere il nesso profondo che si istituisce tra la fine dell’esistenza e il fine della vita. In quest’ottica, la vecchiaia cessa di coincidere con l’attesa di una parte residuale dell’esistenza, scandita dal “terribile avanzare” di un processo di decadimento, come era più incline a vedere Freud. Piuttosto, essa predispone a individuare il lato più importante delle cose, il nocciolo. In vecchiaia si può essere grati alla vita di non averci fatto morire giovani, osserva Vandi, quasi ponendosi con queste sue posizioni in dialogo ideale con le parole di Eduardo.
Il testo nel suo insieme si divide in tre parti. Nella prima parte Ezio Maria Izzo, Gabriella Vandi e Lidia Leonelli Langer prendono in considerazione alcune tematiche che dal vertice psicoanalitico guardano alla vecchiaia nei suoi aspetti molteplici e complessi: epoca in cui caratteristiche di personalità possono emergere in modo esagerato evidenziando condizioni che, in equilibrio in età precedenti, si presentano ora in forma patologica, epoca di lasciti e trasmissioni tra le generazioni, epoca del lungo sguardo. Nella seconda parte Marta Badoni, Franco De Masi, e Lucia Fattori si soffermano sugli aspetti clinici che accompagnano la consapevolezza dell’ irruzione del tempo reale nella stanza di analisi, quando con la vecchiaia emerge un limite oggettivo, concreto, oltre il quale l’analisi non si può fare. Nella terza e ultima parte Sophie De Mijolla, Carla Busato Barbaglio, Lucia Monterosa, Rita Corsa prefigurano nuovi orizzonti, oltrepassamenti del limite attraverso cui è possibile godere della vecchiaia come un tempo fertile della vita.
Mi sembra che in tutti i contributi ritorni un concetto fondamentale, ossia che se da un lato il declino è parte integrante, ineludibile, del nostro esistere, dall’altro la ricerca di una dimensione “oltre” il declino costituisce di per sé un elemento vitale. Sia che lo si consideri una navigazione, “[..] tenendo la barra del timone ben salda in attesa dell’ultimo soffio”, per citare una bella immagine che troviamo in Marta Badoni, (2020, 80), sia che lo si pensi come un oltrepassamento, un ponte che, per riprendere Eduardo, è preludio di libertà, l’età della senescenza può rappresentare anche una opportunità per riprendere in mano il proprio destino e fare i conti con questioni rimaste insolute ( Balsamo, 2020, VII).
Ma torniamo ai nostri autori. Nella prima parte, dicevamo, Izzo, Vandi e Langer osservano la vecchiaia in rapporto alla psicoanalisi.
Izzo ipotizza che in vecchiaia vi sia una trasformazione della libido dell’Io in uno stato non egoico, una “condizione indifferenziata che si trasferisce fino a scomparire” (Izzo, 2020, 18). E’ presente in questa ipotesi l’immagine di un dissolvimento cui sembra fare da contrappunto la serena consapevolezza di aver realizzato il massimo del percorso possibile che sostanzia il senso di finitezza. La serena acquisizione del senso di finitezza è anche ciò che consente di consegnare alle future generazioni un compito mai finito che necessita di nuova vita. (ib., 22).
Questo punto di vista viene ripreso, in differenti prospettive, da Vandi e Lionelli Langer. Vandi, soffermandosi sulle differenti vedute tra Freud e Lou Salomè, sottolinea l’orizzonte lungo che Lou vedeva nella vecchiaia, con il suo ampio respiro ricco di esperienze interiori. La sua visione era presumibilmente sostenuta da un diverso modo di intendere la fede religiosa, che ricorda il “sentimento oceanico” di cui parla Freud, “[..] un sentimento di fusione con l’universo, una percezione d’immenso e di eterno nel quale l’umanità può essere contenuta in un abbraccio rassicurante” ( Vandi, 2020, 37).
L’orizzonte lungo nasce da qui, l’invecchiare è oltre la sofferenza e oltre l’evento biologico della morte.
Lionelli Langer inserisce il processo di invecchiamento nel tessuto della vita e si concentra sui “lasciti” che intercorrono tra le generazioni, segni che si inscrivono nei funzionamenti psichici individuali, nei rapporti familiari, nelle organizzazioni. Nei passaggi generazionali scorrono traumi, segreti, lutti non elaborati ma, ci ricorda, anche la linfa che aiuta a vivere.
Veniamo al mondo in un punto preciso di quella trama del “ tappeto colorato” che è la vita, scrive l’Autrice, in cui la morte costituisce l’esperienza estrema del limite che ci abita (Lionelli Langer, 2020, 48). Il cammino porta alla consapevolezza dell’incompiuto e della condizione di immaturità perenne che ci caratterizza. Vecchi e bambini camminano a passo lento. I vecchi sanno rallentare perché hanno imparato, con l’esperienza, che tra la semina e il raccolto c’è un tempo di attesa. Gli anziani hanno imparato molte cose dalla vita, ma più di ogni altra cosa hanno compreso che la saggezza si può condividere ed è questo il seme della vita, con cui generosamente ci trasmettono ricordi, sogni, racconti. Leggiamo:
“…grati per quanto ci hanno dato, per la loro presenza che ci accompagna viva, grati del tanto che ancora riceviamo e del poco che intuiamo, ci lasciamo prendere sempre ancora da stupita meraviglia di fronte all’ignoto che ci circonda e che ci attrae. E cerchiamo di esplorarlo, come hanno fatto loro, senza accanirci e senza rinunciare, sapendo che non lo possiederemo mai per intero”( ib., 61).
La seconda parte del volume è dedicata alla clinica: Marta Badoni, Franco De Masi e Lucia Fattori si interrogano su analisti anziani e pazienti anziani.
Vengono affrontati temi molto importanti: quando è tempo per l’analista di ritirarsi dalla professione? Quali le conseguenze se vi è una rottura traumatica nella relazione analista/paziente dovuta a una malattia dell’analista? Con pensiero lucido e profondo, Marta Badoni ci fa entrare nel cuore del problema: comincia, da un certo punto in poi, l’uscita dell’analista dalla sua bellissima professione, ma è una scelta consapevole che restituisce il tempo per sè:
“ Ritirarsi dalla professione, non in attesa della prossima seduta, ma di ogni altro tempo che la vita richiede: il tempo per prendersi cura di sé senza far soffrire il setting con i diversi pazienti, il tempo per rispondere “ ho tempo”, senza dover fare continuamente i conti con un tempo già destinato ad altri e quindi non disponibile, il tempo per gustare le ore del giorno, il tempo per incontrare vivi l’ultimo tempo” ( Badoni, 2020, 77).
Ho trovato molto toccante il ricordo del bambino che aveva beneficiato di una buona analisi e in conclusione volle fare il ritratto dell’analista. Badoni ricorda che il piccolo paziente si fermò a un certo punto a osservarla considerando il fatto che doveva fare anche le rughe, “perché c’erano”.
Questo episodio mi ha fatto tornare alla mente l’articolo in cui Winnicott parla dell’importanza dello sguardo della madre sul bambino per la strutturazione del Sè: nella circostanza narrata da Badoni a guardare è il bambino. E vien da chiedersi: cosa guarda il bambino nel volto segnato dalle rughe della sua analista? Forse il tempo della loro relazione piena e vitale che volge al termine? Con quella domanda sulle rughe sembra aver capito bene che è impressa nelle pelle dell’analista l’esperienza che li lega, e che il suo sguardo può restituire i ricordi, l’affetto e il senso del tempo che soggettivizza e differenzia.
C’è un limite di età per cominciare un’analisi? Ce ne parla De Masi nel suo contributo riprendendo una questione già affrontata da Freud, convinto assertore dell’esaurirsi, con l’avanzare dell’età, delle capacità recettive e della plasticità necessarie per lavorare analiticamente (Freud, 1937, 524-525). Diversamente da Freud, l’Autore sostiene che la vecchiaia può costituire un periodo fertile e creativo che può dare adito a nuovi sviluppi e nuove integrazioni (De Masi, 2020, 95).
De Masi si dice favorevole a intraprendere psicoterapie quando c’è una sofferenza limitata o che ha avuto origine da un evento traumatico. La psicoterapia può aiutare a superare un momento difficile. Il trattamento psicoanalitico classico, invece, può essere appropriato nel caso in cui la depressione o l’angoscia siano legate a una situazione di sofferenza precoce perdurata negli anni.
Grazie al lavoro terapeutico, persone che si sentono svuotate e sfiduciate perché prese dall’angoscia di invecchiare possono giungere a godere della vecchiaia come di un periodo che vale la pena di essere vissuto.
Conclude questa “corposa” sezione clinica un contributo di Lucia Fattori che, parlando di alcuni suoi pazienti, si sofferma a considerare come durante l’epidemia Covid-19 gli anziani in particolare siano stati costretti a fare i conti con un futuro in cui si fa sempre più incombente l’idea della morte, con un passato in termini di bilancio e un presente in termini di interrogativo sul senso e valore della propria vita ( Fattori, 2020, 111).
La paura della morte, osserva l’Autrice, sembra aver accelerato in alcuni dei suoi pazienti processi di comprensione e di riparazione nei confronti di relazioni antiche, lutti mai elaborati, speranze mai immaginate. Qualcuno ha trovato il coraggio di chiedere, aprendo la propria vita a prospettive di cambiamento. Fattori ipotizza che il Covid come un trauma violento abbia aperto con la sua forza d’ urto nuove strade, e tra le incrinature sia venuta alla luce per questi pazienti una parte più intima e vera. La crisi ha portato a una svolta, consentendo di uscire dall’isolamento e potersi affidare ad un altro. Fattori si sofferma sulla delicatezza del lavoro con persone anziane: può capitare che l’ansia derivante dalla consapevolezza di avere un tempo breve davanti a sé spinga ad accelerare il ritmo e l’intensità del lavoro analitico, cosicché è molto importante procedere in modo cauto e prudente.
La terza parte del volume si apre con un contributo di De Mijolla che si sofferma a riflettere sui processi mentali che accompagnano i cambiamenti della vecchiaia, in particolare sui sentimenti di perdita e sulla vicinanza alla morte che possono portare a vivere la vecchiaia con malcontento, un’evidenza che non sempre riusciamo ad accettare. Non si invecchia tutti nello stesso modo, questa la sua notazione che introduce un tema ripreso anche dalle autrici che seguiranno in questa sezione: se riusciamo a mantenere la nostra gioia di vivere e conoscere, la nostra passione per la vita, continueremo a investire sulla vita, sostenuti dalla forza dell’Eros, utilizzando le risorse inesauribili della sublimazione (De Mijolla, 2020, 143).
Carla Busato Barbaglio, proseguendo su questa linea di pensiero, ci rende partecipi di un appassionato dialogo con Rossana Rossanda sull’invecchiare in cui il corpo è quel poco che rimane, la porta socchiusa su quello che si può ancora fare, ma forse anche su quello che si sarebbe potuto fare e non si è fatto (Busato Barbaglio, 2020, 149). Il “ socchiuso”, commenta l’Autrice, ha a che fare con il lavoro del lutto. E questo, a sua volta, può liberare nuovi pensieri, nuova vitalità. Occorre nutrire l’affettività positiva per tutta la vita, in particolare in terza età, come capacità di progettualità da tramandare a quelli che vengono dopo di noi (ib.,157). Mi sembra che qui Busato indichi qualcosa di molto importante: “oltre” che nel lavoro del lutto, la vecchiaia ci impegna anche nell’attingere al pensiero di un tempo “altro” della vita, quello in cui si prepara “altra” possibile vita per le generazioni a venire. Molto intensa l’immagine del nonno Titela che termina i suoi giorni nel periodo in cui l’Autrice era adolescente: un ricordo prezioso che, come scrive la stessa Autrice, rappresenta un misto di allegria, profonda protesta mista a sopportazione, ma in fondo di pace (ib.,162)
Come in un gioco a incastro, l’interrogativo con cui Busato Barbaglio conclude il suo bel contributo: “Quale il segreto perché la vita sia buona fino alla fine?” (ib ,162) sembra trovare una risposta nelle pagine di Lucia Monterosa che attraverso alcuni significativi snodi letterari ci introduce alla sua visione della vecchiaia come di un serbatoio di legami affettivi che possono immetterci in uno spazio in cui il tempo è scandito dalla presenza del “limite”.
Questa dimensione può consentirci di sperimentare aree di intermittenza della vita che pongono in luce la caducità, la precarietà, la fragilità cui siamo sottoposti in particolare quando invecchiamo. Ma può anche donarci momenti di infinita bellezza e consapevolezza, oltre che di piacere di incontrare l’affetto e l’amore degli altri. L’Autrice approda alla conclusione che nell’esperienza del limite propria della vecchiaia si liberano “[..] istanti di eternità, dai quali poter scorgere inaspettati e misteriosi scenari. (Monterosa, 2020,172).
Proseguendo nell’intreccio ideale dei contributi di quest’ ultima parte del volume, Rita Corsa sembra a sua volta approfondire il tema relativo a questi misteriosi scenari. Quale futuro per quale vecchiaia? Sembra chiedersi l’Autrice, mentre ricorda come dagli anni Settanta del secolo scorso un filone di studi si soffermi ad immaginare un orizzonte umano totalmente rivoluzionario, basato sull’uso della tecnologia per approdare a una “post-umanità” caratterizzata da superuomini macchinici, immuni da malattie e dal deterioramento senile. In una parola, uomini resi immortali, a coronamento di un sogno che si trasmette nei secoli: vi è sotteso un ideale magico di oltrepassamento di sé, a cominciare dal corpo immaginato in un futuro più o meno lontano come una sorta di “involucro di carne da dismettere“ ( Corsa, 2020, 176). L’Autrice ci segnala che il corpo meccanizzato, sintetico, mette in scacco il pensiero, rendendo inutile il lavoro del negativo, il lavoro del distacco; la trasformazione favorisce l’insediamento di una potente imago di indistruttibilità. L’esistenza nell’epoca dell’intelligenza artificiale è condannata a fare i conti con un oltrepassamento di ogni vincolo e limite, col rischio di andare verso un destino di autodistruzione. Futuro tutt’altro che roseo! Si aprono scenari inquietanti che preludono “[…]alla negazione che ingloba in una cappa oscura anche l’invecchiamento e la morte” (ib., 185).
Non c’è conclusione possibile sull’evolversi di tale materia: per non essere schiacciati dall’incertezza possiamo aggrapparci a una speranza e sottoscrivere le parole con cui si congeda l’Autrice: “ Abbiamo bisogno di un rinnovato umanesimo dell’età terminale della vita, che sappia narrare la nostra fugacità e finitezza” ( ib., 189).
Bibliografia
Badoni M. (2020) “Il tempo dell’analisi, il tempo dell’analista”. In Corsa, R. Fattori, L., Vandi G. (a cura di .) Psicoanalisi e vecchiaia, Alpes, Roma.
Balsamo M.( 2020) “La vecchiaia è una viaggiatrice di notte.” Prefazione. In Corsa R., Fattori L., Vandi G., cit.
Busato Barbaglio C.( 2020 ) “Essere “ vivi” nel tempo senza tempo”. Dialoghi sull’invecchiare. In Corsa, R. Fattori, L. Vandi, G. cit.
Corsa R.( 2020) “La neo-vecchiaia”. Ovvero essere anziani nell’era cibernetica. In Corsa R., Fattori L., Vandi G., cit..
De Filippo E. (1984) L’arte di invecchiare. ( a cura di )Carlo Donat Cattin e Leonardo Castellani
Intervista a Eduardo De Filippo, Teche Rai.
De Masi F.( 2020) Psicoterapia in tarda età. In Corsa R., Fattori L., Vandi G. cit..
De Mijolla S. (2020) Invecchiamento normale, invecchiamento patologico. In Corsa R., Fattori L., Vandi G., cit.
Freud .S. ( 1937) Analisi terminabile e interminabile, O.S.F.,vol.11
Izzo E.M. (2020) Tipologie libidiche nella vecchiaia. In Corsa R., Fattori L., Vandi G., cit.
Langer Leonelli L. ( 2020) Vecchi e bambini: come si tramanda la forza di vivere. Note sul transgenerazionale positivo. In Corsa R., Fattori L. Vandi G., cit,
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Vandi G.(2020) La vecchiaia e l’orizzonte. In Corsa R., Fattori L., Vandi G., cit.