“Un tempo per l’amore” di Tonia Cancrini
di Tonia Cancrini
(Franco Angeli, ed. 2021)
Recensione a cura di Simona Calderoni
Con questo libro profondo e commovente, ma contemporaneamente scritto in modo semplice e scorrevole che invoglia la lettura, l’autrice completa una trilogia iniziata nel 2002 con UN TEMPO PER IL DOLORE seguito da IL LATO NOTTURNO DELLA VITA: CORPO MALATO E RELAZIONE ANALITICA (2020) per approdare, ora, a UN TEMPO PER L’AMORE – EROS, DOLORE, ODIO.
Fin dalle prime pagine la Cancrini, rifacendosi al saggio freudiano Lutto e Melanconia, afferma che, chi non riesce ad accettare che le cose sono destinate a perire, si trova in uno stato di lutto che non riesce a superare e, per questo, non può più amare o apprezzare nulla.
“La difficoltà maggiore sembra quella di riuscire a vivere la perdita, di accettare e di vivere il dolore” (p. 18).
Lo stesso Freud sosteneva che la caducità non potesse togliere valore a ciò che è bello ma che anzi ne esaltasse le qualità. A tale proposito l’autrice si mette “a nudo” raccontando esperienze personali: ricorda la gioia profonda quando la sua nipotina Adele le corre incontro per abbracciarla, il suo dolce e pestifero cane Puck che le fa le feste quando la sente arrivare, il suo cavallo Turno che la chiama ad accarezzarlo per l’ultima volta. Last but not least, racconta gli ultimi momenti della sorella più piccola di lei morta giovane: “Quanto è stato importante starle vicina e volerle così bene da condividere con lei ogni istante della sua vita che stava andando via per sempre. Malgrado la tristezza infinita della fine e la disperazione, quelli sono stati momenti così importanti che nulla può cancellarli perché a prevalere era l’amore, quell’amore che salva dalla solitudine e, malgrado tutto, apre alla gioia e alla speranza” (p.19).
Ringrazio l’autrice per avere avuto il coraggio di regalarci momenti così intimi e dolorosi che non sempre è facile condividere; molto più stesso, nei momenti di profonda sofferenza, si tende a chiudersi nel proprio dolore e a non trovare più parole da condividere con chi ci vive accanto.
La Cancrini è convinta che l’unico problema realmente serio e fondamentale riguardi cosa prevale dentro di noi: l’Eros, portatore di vita e di gioia, oppure la rabbia, la violenza, thanatos portatore di distruzione.
Quando un collega chiese a Bion quale potesse essere la posizione dell’analista nei confronti di un paziente in cui era insorta una leucemia che ne faceva prevedere una morte imminente, Bíon rispose: “Per quanto mi riguarda, visto che non ci posso fare niente, né la nascita, né la morte mi interessano; la gente nasce e muore, io stesso sono nato e muoio, sono eventi che non hanno la minima importanza. Disse che un’ultima domanda poteva essere: ‘C’è qualche scintilla sulla quale si potrebbe soffiare fino a che diventerà una fiamma, così che quella persona possa vivere quella vita che ha?”
La vita che si ha – che è l’unica che ci è stata regalata pur con tutte le sue imperfezioni e fatiche – va vissuta bene e pienamente; rispetto a questa può essere efficace e importante il nostro aiuto di psicoanalisti ed è rispetto alla vita che si ha che vale la nostra scelta di viverla con amore e con gli altri, e non piuttosto rifugiandosi nell’odio e nella violenza o nell’indifferenza.
In diversi punti del suo libro la Cancrini sottolinea l’importanza di condividere il dolore e di non essere soli nella sofferenza. Soprattutto Melanie Klein insiste sull’importanza di conservare dentro di sé l’oggetto d’amore anche nel momento del distacco e della perdita. Questo è tanto più possibile quanto più c’è stato un buon rapporto primario di amore, di cura e di attenzione con la madre: sentire di amare e di essere amato è anche il primo passo per sviluppare la capacità di tollerare la separazione.
Nel primo capitolo l’autrice ci parla di quanto possa essere devastante il dolore dei bambini trascurati, abbandonati, abusati, lasciati soli nella loro sofferenza, vittime di soprusi e di violenze. Questo purtroppo può accadere anche quando i loro genitori, pur amandoli, non riescono a comprenderli soprattutto nei momenti difficili; l’importante è che i bambini che affrontano situazioni estreme come la malattia e la morte siano supportati da adulti capaci di condividere con loro questi momenti difficili. A proposito di un buon rapporto con l’oggetto primario madre che contribuisce a creare fiducia in se stessi e negli altri, così si esprime la Cancrini:
“Sappiamo quanto sia fondamentale la relazione madre – bambino e ancora quanto essenziale sia la funzione della mente materna nel primo rapporto con l’infante. La madre, infatti, non solo può sentire affettivamente i bisogni del suo piccolo, ma può comprenderli e dar loro un senso, aiutando così il bambino a esprimere sempre di più quello che prova. Attraverso la fiducia, la sicurezza, l’amore e l’attenzione, la madre costruisce e fornisce al bambino il senso di sé e della relazione” (p. 32).
Il problema si verifica quando la madre non riesce ad espletare questa funzione di amorevole contenimento e comprensione: il bambino non riesce a riconoscersi, né ad attivare dentro di sé le forze vitali e si sente sprofondare nel nulla e cadere in un abisso senza fine. Quando il dolore è troppo forte rimane solo la ferita e la rabbia e ci si sente persi nel buio e nel nulla di un mondo percepito come devastante.
Il trauma è un’esperienza complessa e difficile da vivere e da elaborare in ogni età della vita, ma lo è ancora di più per i bambini che appaiono particolarmente esposti e vulnerabili, non ancora attrezzati a vivere momenti drammatici che comportano una sofferenza troppo intensa. Per dirla con Bion, una scarica di elementi beta, sensazioni, percezioni, emozioni inconsce, che hanno difficoltà a trasformarsi in alfa e cioè in pensieri, immagini e sogni. Il problema per tutti questi bambini così profondamente feriti nel cuore è per l’analista sempre quello di riuscire a rimanere vivo e saper dare amore e vitalità anche dove si incontra la violenza, la rabbia, il deserto affettivo e la quasi-morte psichica.
I bambini adottati hanno nel loro vissuto esterno e interno una spaccatura, una cesura tra passato e presente che determina nella loro vita una mancanza di continuità e di coerenza; in particolare a loro manca “una storia fatta di memorie comuni” da poter condividere. Tali bambini sono sempre traumatizzati perché nella loro vita c’è un abbandono, e quindi si deve essere pronti a confrontarsi con il trauma e lavorare per la sua riparazione. In questi casi il dolore deve passare attraverso il rapporto e deve essere vissuto innanzitutto dall’analista che, proprio sperimentandolo su di sé e sul proprio corpo, può renderlo vivibile per il bambino.
Sia per gli adulti che per i bambini è nel transfert e nel controtransfert che si vivono le situazioni emotive più importanti, perché è qui che trovano espressione la vita affettiva più profonda, le sensazioni più precoci e i conflitti più primitivi. L’analista deve mettere a disposizione del paziente la sua capacità di pensare e di sentire – quella che è stata per il bambino la funzione primaria della mente della madre capace di capire e di dare un senso alle esperienze. Per dirla con Bion particolarmente importante appare il rapporto tra -K e K e il passaggio dall’uno all’altro. Nella relazione analitica il punto delicato è, quindi, il timing in cui inserire l’eventuale interpretazione, ed è quello il momento in cui la funzione mentale dell’analista può permettere una trasformazione della parte del paziente incapace di pensare; trasformazione che fa sì che il paziente possa iniziare a pensare, ad avere desiderio e possibilità di capire. Il fattore terapeutico principale che viene attivato nella psicoanalisi di questi bambini riguarda la possibilità di andare all’origine, nel luogo mentale in cui la dolorosa ferita originaria brucia e alimenta nel piccolo la disperazione. Solo in questo modo possiamo gradualmente costruire una nuova fiducia nell’oggetto primario e ridare vita alla speranza e all’amore.
Nella seconda parte del libro la Cancrini passa in rassegna traumi infantili che sono presenti nella storia di pazienti adulti che spesso lamentano un senso di noia e l’assenza di sentimenti dove tutto, nel loro animo, appare buio e oscuro e spesso trova spazio in loro la distruttività e, a volte purtroppo, anche la violenza. L’incapacità di vivere la perdita fa sì che si resti ancorati a un oggetto arcaico idealizzato con cui si ha un rapporto malato e mortifero che fa sprofondare in una depressione incapace di pensiero e di simbolizzazione. Se non si riesce a vivere l’esperienza del dolore della perdita, si perde anche l’amore.
Dove il dolore è invivibile perché l’abbandono provoca una ferita intollerabile, il panico è di sentirsi annientati, ridotti a nulla e la relazione può portare allora a vivere un’onnipotenza distruttiva che sembra non conoscere limiti. Spacco tutto, distruggo tutto, così sono io il più forte e nulla può farmi male o ferirmi.
Nel quinto capitolo l’autrice approfondisce il sentimento della noia e la sensazione di vuoto. La noia appare come l’opposto della vita, della vitalità, della creatività, come l’opposto della musica, dei colori, degli affetti. Dove c’è amore, affetto, tenerezza, apprensione, non ci può essere noia, e anche dove c’è il dolore non ci può essere noia perché il dolore è comunque vita. La noia viene definita come quel vuoto interno, come l’incapacità di sentire, di provare emozioni e sentimenti che attanagliano il cuore in una morsa di freddo e di ghiaccio; la noia che accompagna i momenti neri della depressione, la noia è il vuoto, l’assenza di emozione.
Greenson sostiene che il sentimento di vuoto della persona annoiata è simile all’esperienza del bambino che aspetta, affamato, il seno. Si tratta di una deprivazione che deriva dall’esterno ma che poi diventa una “deprivazione autoinflitta”. Tonia Cancrini ritiene che il problema della noia derivi dall’annullamento della possibilità di pensare e di fantasticare un oggetto buono che possa dare quella gratificazione che è mancata.
Nel libro il lato notturno della vita, dedicato al tema della malattia e della morte, la Cancrini ha colto diversi modi di porsi in contatto con queste esperienze sottolineando come la malattia, la morte e l’angoscia di morte siano particolarmente inquietanti e devastanti quando si è soli, quando non c’è possibilità di condividere con altri la propria angoscia e il proprio dolore. La vicinanza e la condivisione, invece, possono essere di grande conforto.
Bibliografia:
Bion W.H., Apprendere dall’esperienza, Borla Editore, Roma 1970.
Cancrini T., Biondo D. (a cura di), Il lato notturno della vita, Franco Angeli, Milano 2020.
Freud S., La caducità (1916), Vol. 8.
Freud S., Lutto e melanconia (1917), Vol. 8.
Greenson R. (1953), La noia in Noia e apatia, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
Klein M.(1957), Invidia e gratitudine, Martinelli, Firenze 1969.
Ogden T.H., (1997), Rêverie e interpretazione, Astrolabio- Ubaldini, Roma 1999.
Ogden T.H., (2005), L’arte della psicoanalisi, Cortina, Milano 2008.
Quinodoz J.M. (1991), La solitudine addomesticata, Borla Editore, Roma 1992.