Parole chiave: arroganza, psicoanalisi epistemologica, psicoanalisi ontologica, Bion, Edipo re, mutuo riconoscimento
“Sull’arroganza. Saggio di psicoanalisi”
di Giuseppe Civitarese.
(Jaca Book, 2022)
Recensione a cura di Maria Antoncecchi
“Il male mette radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore di un altro”
da “Il canto del pendolo” di Josif A.Brodskij, Adelphi Editore, Milano, 1987
“Sull’arroganza. Saggio di psicoanalisi” è l’ultimo lavoro di Giuseppe Civitarese che nasce da una riflessione sul breve saggio di Wilfred R. Bion “On Arrogance” (1958). Civitarese intende comprendere l’arroganza sia da un punto di vista psicologico sia come fenomeno sociale e culturale, in quanto, sottolinea, sembra essere diventata un “valore collettivo”. Ma cos’è l’arroganza? Da sempre al cuore della cultura occidentale (hybris), nel libro assume la funzione di un “luogo teoretico in cui punti di vista appartenenti ad ambiti e discipline diversi come psicologia, filosofia, letteratura, sociologia, teoria politica si possono incontrare produttivamente e contribuire alla diagnosi, sempre necessaria e urgente, del “cattivo presente” (p.13). Infatti, nella prima parte del libro, l’autore prende in esame i personaggi della letteratura che meglio la rappresentano, come il signor Charlus di “Alla ricerca del tempo perduto”, di Proust, ed Enrico V descritto da Shakespeare nell’omonima opera, per poi andare alle origini della nostra cultura analizzando Agamennone e Achille, Antigone e Creonte, fino all’arrogante per eccellenza, l’Edipo re di Sofocle. Questo punto di vista mette in luce come tutta la storia dell’occidente sia stata attraversata dal concetto di arroganza-hybris, sempre presente a partire dalla cultura greca (nell’epica, nei miti e nelle tragedie) che, con questo termine, indicava la tracotanza degli uomini che oltrepassano i limiti della natura sfidando gli dei, gli unici veri possessori della conoscenza. Giuseppe Civitarese, in accordo con l’interpretazione che Bion dà del mito di Edipo re, individua le basi di un rinnovamento psicoanalitico ritenendo necessario un cambiamento di paradigma, una riformulazione dei concetti psicoanalitici che sposti l’asse da una psicoanalisi epistemologica ad una psicoanalisi ontologica. All’analista non è più chiesto di ricercare la verità, ma “di adoperare il proprio inconscio come una specie di radar” (p.83) per comprendere gli aspetti non-verbali, le emozioni e l’affettività. Solo questa prospettiva può generare un’esperienza emotiva condivisa capace di creare quel noi simmetrico e paritario che scongiura il rischio di una posizione “arrogante” da parte dell’analista. La proposta di Civitarese, secondo le linee tracciate da Bion, appare oggi più che mai necessaria per la psicoanalisi contemporanea, in quanto la sofferenza psichica è sempre più espressione di problematiche identitarie piuttosto che di conflitti relativi alla sessualità. Da questo punto di vista, il crimine di Edipo non è più il parricidio e/o l’incesto ma la sua volontà di sapere a tutti i costi una verità che può essere raggiunta solo, come la sua stessa vicenda mostra, tramite l’esperienza del dolore e l’accettazione del non sapere. Come Edipo, l’analista può essere accecato dal suo desiderio di conoscere la verità e cadere in una posizione “rocciosa o dogmatica” (p.121) a scapito di un lavoro analitico centrato sul “ripristino di una linea di comunicazione con le ragioni del corpo, che rimetta al centro della cura le emozioni e gli affetti” (p.104).
Il pensiero di Civitarese affonda inoltre le sue radici anche nella “Fenomenologia dello spirito” di Hegel quando sostiene l’unità profonda di soggetto e oggetto e la necessità di un riconoscimento reciproco perché il soggetto possa esistere. Infatti, come afferma l’Autore nel suo libro, “l’arroganza è l’antitesi del riconoscimento” (p.18). L’idea centrale, rifacendosi a Bion e a Winnicott, è che il soggetto può costituirsi solo all’interno del rapporto con l’altro e per questo è fondamentale nell’ambito della cura “l’esperienza di essere amati” (Liebeserfahrung) come base di una relazione autentica e simmetrica. Se questo non avviene, se l’ago smette di annodare i suoi fili (p.57) tra conscio e inconscio, tra Io e l’Altro, tra soggettività e intersoggettività, si possono produrre scissioni e lacerazioni destinate a non poter essere superate e l’arroganza diventa il balsamo per la ferita dell’abiezione come stato estremo di mortificazione del sé (p.74).
Estremamente interessante, a questo proposito, è il riferimento che Civitarese fa al concetto di “Neutro” (p.120) di Roland Barthes come antitesi all’arroganza. Nelle lezioni del corso tenuto al College de France e raccolte in un volume intitolato “Il Neutro” (1977-1978, tradotto in italiano nel 2022), il semiologo francese esorta a diffidare della fede, della certezza, della volontà di afferrare e dominare come espressioni di un pensiero dualistico, oppositivo e pertanto arrogante. Una riflessione che Civitarese coglie e rilancia come un invito a spostare l’ago della bilancia verso la capacità negativa, il valore dell’incertezza, delle sospensioni, delle sfumature e dei dettagli per poter aggirare il dominio dell’intelletto e neutralizzare l’arroganza dell’evidenza.
Oltre ai riferimenti della letteratura e della filosofia, Civitarese non tralascia nella sua analisi l’aspetto sociale, grazie alla sua profonda convinzione dell’isomorfismo tra psiche individuale e collettiva. In dialogo stretto con “Il disagio della civiltà” di Freud, l’Autore affronta il “nuovo disagio della civiltà” (p.17) individuando diversi fattori che rendono la società contemporanea più “arrogante” e che contribuiscono a creare uno stato di angoscia e di paura: lo strapotere dei media, il trionfo della tecnologia, la logica del profitto. Se però per Freud lo sviluppo della civiltà comporta la rinuncia da parte del singolo ad una parte di felicità, per Civitarese esiste un rapporto dialettico e generativo tra individuo e società per cui anche la violenza non può essere compresa né concettualizzata al di fuori della dimensione sociale, senza la quale non esisterebbe. In quest’ottica, la psicoanalisi diventa uno strumento per comprendere le nuove forme di alienazione che spingono l’essere umano a operare verso sé stesso una mutilazione difensiva (p.164) causata da una internalizzazione della violenza sociale. Una rinuncia all’essere se stessi e ai propri reali bisogni, che, analogamente all’installazione di un falso sé, attiva processi di scissione e fenomeni di depersonalizzazione creando un’umanità sempre più sofferente. Quindi cosa può interrompere il circuito della violenza? La fiducia di base che si conquista nelle relazioni interumane e che si struttura a partire dai legami che si tessono con l’altro ogni volta che scatta la scintilla del riconoscimento (p.177). Un antidoto che va inteso come un processo in continuo divenire nel quale il riconoscimento del valore dell’altro per sé significa la scoperta della propria vulnerabilità e la liberazione da rapporti caratterizzati dall’indifferenza e dal dominio. La psicoanalisi stessa, come abbiamo visto, può diventare veicolo di arroganza ma, grazie al suo dispositivo, è in grado di vigilare su stessa, di offrire uno strumento di comprensione ma soprattutto di mettere al centro del processo terapeutico la logica della Liebe.
Bibliografia
Barthes R.,(2002)”Il Neutro”, Mimesis edizioni, 2022
Bion,W.R.,(1958)”On Arrogance”, International Journal of Psychonalysis 39:144-146
Civitarese G.,(2021) The limits of interpretation. A reading of Bion’s”On Arrogance”. International Journal of Psychonalysis 102:236-257
L’arrogante è un falsario di se stesso. Intervista a Giuseppe Civitarese