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“Sigmund Freud – Eugen Bleuler. Lettere 1904-1937” Recensione di G. De Renzis 

8/01/25
"Sigmund Freud - Eugen Bleuler. Lettere 1904-1937" Recensione di G. De Renzis 

Parole chiave: Psicoanalisi; Freud; Abraham; Bleuler; De Renzis

Verhandlung oder (auch) Verhüllung?

S.Freud – E.  Bleuler, Lettere 1904-1937

(Alpes Italia, 2024)

Recensione a cura di G. De Renzis

Neppure un intero anno è passato dalla pubblicazione del primo volume della collana “Carteggi Freudiani” dedicata alle Lettere scambiatesi fra Sigmund Freud e Karl Abraham che già l’ammirevole impegno dei curatori di questa coraggiosa e benemerita impresa editoriale ci consente di conoscere in edizione italiana, riportate con la medesima scrupolosa attenzione critica che abbiamo avuto modo di apprezzare nella precedente occasione, le lettere intercorse fra Sigmund Freud e Eugen Bleuler, anche questa volta nella ineccepibile stesura realizzata dalle edizioni Alpes.

Avendo avuto l’onore di proporre in quella prima circostanza una recensione, inevitabilmente insatura rispetto all’imponenza dell’oggetto[1], non posso fare a meno, ritornando oggi ad approcciare questo secondo titolo, di notare innanzitutto alcune differenze che, prima facie, restando ancora all’evidenza immediata della “corposità” del libro e alle semplici indicazioni del titolo in copertina, hanno provocato in me qualche “pregiudiziale” interrogativo o almeno qualche curiosità.

Ricordo ancora la sorpresa che mi spinse in quella antecedente occasione a “dare i numeri”, segnalando che si trattava di un libro di ben 670 pagine in cui erano riportate, per il periodo 1907-1925 (e cioè fino alla morte di Abraham) 503 Lettere, con una prevalenza, relativamente contenuta considerato il totale, di quelle di Abraham di circa una cinquantina.

Qui invece mi ritrovo di fronte a un libro dai numeri molto più limitati: consta infatti di complessive 148 pagine (comprensive delle esaurienti Note introduttive dei curatori, di una Introduzione di Tina Joos-Bleuler, figlia di Manfred e dunque nipote di Eugen Bleuler, che in quanto erede delle lettere dà personale testimonianza delle sofferte titubanze che hanno procrastinato per tanti anni la possibilità di consentire ai “posteri e alla scienza” di poter fruire del contenuto di quel “piccolo raccoglitore blu”, su cui Manfred Bleuler aveva scritto “Prezioso”, delle opportune Notizie biografiche concernenti i nominativi presenti nella corrispondenza, di una imponente Bibliografia generale, oltre che del ricchissimo corredo di note che accompagnano la quasi totalità delle Lettere), in cui sono riportate gli scambi epistolari fra Freud e Bleuler a noi infine pervenuti, per un totale di appena 79 missive (in cui quelle di Bleuler, nel numero di 53, raddoppiano quasi esattamente quelle di Freud che si fermano a 26), ma relative a un ben più ragguardevole periodo di tempo che a partire dal 1904 giunge fino al 1937.

Sarà colpa della tentazione interpretativa che rischia di prendere la mano, figuriamoci se non protetta dalla parziale garanzia della “supervisione” in real time indotta dal setting, ma non posso non immaginare che qualcosa vorrà pur dire una simile palese sperequazione fra durata, frequenza e percentuale partecipativa nel confronto fra i due epistolari che l’ordine di sequenza della pubblicazione di questi due primi titoli dei “Carteggi” mi ha spinto a evidenziare.

Ma è giunto il momento di smettere di indugiare in prevenute illazioni e di entrare finalmente in medias res.

Cosa che faccio, rispettando alla lettera l’espressione, giacché mi ritrovo a pagina 69 e cioè proprio nel bel mezzo del libro, precisamente alla nota 24 a piè di pagina, relativa alla lettera di Bleuler a Freud del 15 febbraio 1912 (siglata come 41B) in cui, con la consueta accuratezza, viene segnalata l’esigenza di una correzione.

È necessario qui un minimo di contestualizzazione. Si tratta di questo: la lettera di Bleuler qui in questione è una risposta a una precedente di Freud e fa parte di un serrato scambio iniziato (o meglio, ripreso) proprio all’inizio dell’anno 1912 e, per quanto concerne lo specifico punto che intendo qui evidenziare, si prolunga almeno fino al 16 febbraio del 1912, per un totale di 8 lettere, in cui, significativamente, la percentuale si ritrova in questo caso ribaltata nella misura di 5 a 3 a favore di Freud.

In esse l’esigente apertura culturale, il coinvolgente interesse istituzionale e, non ultima, la sincera disponibilità umana al confronto fra i due interlocutori, ancora una volta si ritrova a dover fare i conti con una… irriducibile diversità culturale, con disomogenei interessi istituzionali e, comunque, con una sincera limitazione umana, reciprocamente preclusiva di un’intesa compiutamente senza resti e, definitivamente, senza “null’altro a pretendere”.

Nella fattispecie, il casus belli non era, come in altri casi, congiunturale o ripreso da qualche spunto discorsivo capace di far riemergere i ricorrenti motivi che impedivano a Bleuler di “cedere” con totale adesione alle esigenti richieste di Freud di far proprie, senza riserve, le evidenze della validità e delle verità piene e indiscusse della psicoanalisi (cui la difesa più accomodante di Bleuler era che a lui mancavano i necessari supporti e evidenze ciniche che indubbiamente erano già disponibili a Freud): si trattava, in questa circostanza, niente di meno che del testo di Bleuler sull’Autismo, cui lo stesso autore aveva chiesto a Freud commenti, critiche e perfino correzioni, in previsione della pubblicazione e per cui già per il solo invio si era evidenziata qualche sintomatica difficoltà, se, dopo una prima domanda (34B, 4 dicembre 1911) fatta da Bleuler quasi en passant (“ha ricevuto da Jung il mio Autismo?”), compare di seguito (35B, 1 gennaio 1912) questo più esplicito suggerimento: “Dovrebbe forse pretendere presto [sic!] l’Autismo da Jung, affinché possa, prima di stamparlo, apportarvi le modifiche da Lei desiderate”. Non stupisce allora, a stretto giro (36F, 2 gennaio 1912) la garbata ironia della replica di Freud: “Mi piacerebbe ricevere l’Autismo, ma la cosa più semplice non sarebbe se affidasse a Jung. per iscritto [sottinteso: verba volant!], il compito di spedirmelo? Sarebbe strano se gli dovessi scrivere che Lei mi ha scritto per chiedermi di scrivergli che mi deve inviare il manoscritto, quando Lei vive nella sua stessa città”.

Sia come sia, la lettera giunse infine a destinazione (con soddisfazione di Derrida, potremmo immaginare), ma si presentò subito una nuova (problematica!) questione relativa all’opportunità e alle modalità di una sua restituzione. Freud (38F, 15 gennaio 1912), dopo aver comunicato di aver finalmente ricevuto l’Autismo, di averlo letto “subito da cima a fondo”, e dunque di avervi ritrovato i non nuovi motivi per denunciare incomprensioni del proprio pensiero e conferma della permanenza del contrasto, chiede: “la questione adesso è: cosa bisogna fare con il suo manoscritto? Devo inoltrarlo direttamente all’editore. Oppure rispedirlo a Lei o a Jung?” Bleuler (39B, 24 gennaio 1912) risponde che, se le osservazioni e le richieste di correzione di Freud non fossero state granché numerose e teoreticamente impegnative (una larvata speranza, posso arguire), sarebbe stato anche possibile che pervenissero a lui stesso soltanto le pagine con le osservazioni. Fatto sta, che almeno a quanto risulta dall’epistolario, la conclusione di Freud (42F, 12 febbraio 1912) fu che si sarebbe tenuto il manoscritto, “fino a quando occorrerà per le stampe”.

A complicare le cose, tutto ciò proprio in un periodo in cui le rinnovate dimissioni di Bleuler dalla “Associazione psicoanalitica” (cfr. Lettera 33B del 27 novembre 1911) avevano provocato un notevole disappunto (per essere eufemistici) in Freud che infatti così confidava a Jung il 30 novembre di quello stesso anno, dunque appena qualche giorno dopo, a commento di una sua evidentemente tempestiva risposta a Bleuler (non ritrovata): “non so se ho condotto nel modo migliore questa faccenda, ma ormai mi erano saltati tutti i bottoni delle brache della pazienza mia. Sarà un atto poco politico, ma in fondo non è giusto lasciarsi maltrattare così”. Riporto tutte queste osservazioni, che potrebbero apparire fin troppo pedisseque, anche attingendo a supporti, per così dire, collaterali, per giustificare la mia impressione di una certa eccessiva affettazione che mi sembrava di riconoscere in alcuni passaggi (fino a farmi sospettare che una almeno inconsapevole ironia intendesse, almeno talvolta, svelarne all’interlocutore la reale intenzione). Come leggere altrimenti (e avendo in sottofondo la sfuriata esternata a Jung) questa ripresa, peraltro nuovamente polemica nei contenuti, con cui Freud (36F, 2 gennaio 1912) incalza nuovamente Bleuler: “E’ molto amabile [sic!] da parte Sua ritornare ancora una volta sui motivi delle Sue dimissioni”.

Tutto ciò per immettere nel dovuto contesto quella nota 24 alla lettera 41B a pagina 69 cui ho fatto sopra un primo insaturo riferimento e su cui ora provo a ritornare in modi più espliciti. La nota è dunque la seguente: “Bleuler scrive qui Verhandlung (negoziazione, trattativa), ma intende indubbiamente Verhüllung (dissimulazione, occultamento)”. Come avevo anticipato la precisazione è “indubbiamente” ineccepibile: si riferisce infatti a un particolare passaggio della lettera in cui è scritto: “A p. 22 al posto di: il simbolo è “creato” per fini di negoziazione, direi “utilizzato”; peraltro non il più impegnativo fra quelli in cui Bleuler, con non minore “amabilità”, critica, punto per punto, le critiche a lui rivolte da Freud.

Ma allora, perché mai sto insistendo su questa “semplicissima” osservazione, quasi soltanto di servizio, fino al punto di averla ritenuta congrua per una titolazione?

Quel che segue è appunto il tentativo di proporre una, ovviamente del tutto soggettiva, risposta a questo interrogativo.

Provo dunque a riportare, così come a me è accaduto, le ragioni che mi hanno spinto inizialmente, con mia stessa sorpresa, a un primo indugio sulla nota: ma perché mai è accaduto a Bleuler di cadere in un simile “equivoco” terminologico? In che modo è possibile “confondere” il significato di Verhandlung (negoziazione, trattativa), con quello di Verhüllung (dissimulazione, occultamento)? Non direi che possa venire in soccorso una qualche simiglianza grafica fra i due termini, poiché, se trascuriamo i prefissi e i suffissi così frequenti nella lingua tedesca (Ver e lung), fra hand e hüll resterebbe soltanto quella piccola “h” in comune a doversi assumere la responsabilità di un così tanto impegnativo trasloco semantico! Dunque, mi sono detto, è necessario un supplemento di riflessione; ho provato perciò a rileggere la nota, così come qui la riporto e cioè con una sola, davvero minimale evidenziazione: “Bleuler scrive qui Verhandlung (negoziazione, trattativa), ma intende [c.vo mio] indubbiamente Verhüllung (dissimulazione, occultamento)”. Che voglio “intendere”? Che quell’intende non andrebbe qui inteso nel senso di “va inteso”, ma invece proprio nel senso che Bleuler così intende! Va da sé che per rendere plausibile una simile “traduzione” devo prendermi la libertà di “fantasticare” che in effetti, seppure inconsapevolmente, Bleuler abbia a sua volta “tradotto” qui una sua ben più complessiva posizione “ambivalente” nei confronti del suo esigente interlocutore.

Mi rendo ovviamente conto che si tratta di un’interpretazione alquanto “mutativa” e, nel caso, più che mai discutibile; ma, come tutte le interpretazioni, anche se sembra nascere ex abrupto, ha a suo fondamento una qualche provenienza che dunque conviene provare a rintracciare.

Il fatto è che, ritrovandomi ormai nel mezzo del cammin della mia lettura di questo epistolario, avvertivo una crescente sensazione di disorientamento, paradossalmente provocato non dalla variegata erranza di molteplici sentieri, magari interrotti, ma poi ripresi o sostituiti in cui si inoltrassero i due corrispondenti, ma dall’impressione che, al contrario, non ci fosse in effetti alcuna prospettica direzione, nessun effettivo “svolgimento” o leggibile evoluzione, come se le “missive” non avessero una reale destinazione, ma restassero a specchiarsi reciprocamente, in un indefinito sur place. I due interlocutori continuavano a rivolgersi l’un l’altro con la stessa rituale formula di esordio “Stimato collega” e con lo stesso, altrettanto ripetuto commiato “il suo devoto”, alternando nelle firme “Bleuler” e “Freud”, ma riproponendo lo stesso canovaccio, in una schermaglia di finte, affondi, parate e risposte che mi ricordavano le prescrizioni di un maestro di fioretto (ovviamente d’altri tempi, essendo riemerse nella mia memoria da una ormai remota esperienza di schermidore), il quale pretendeva che a ogni stoccata ricevuta si dovesse esclamare “toccato”, cui quello che aveva portato a segno il suo colpo era tenuto “amabilmente” a rispondere “grazie”!

La mia ipotesi che l’ambivalenza di Bleuler, ascrivibile, al tempo stesso, a una peculiare attitudine personale, rafforzata dalla formalizzazione in neologistico concetto teorico, nonché alle esigenze imposte dalla ragion di stato della sua posizione universitaria, lo spingesse a tentare una continua composizione di vettori di per sé contrastanti per ricavarne come risultato una misurato equilibrio, seppure inevitabilmente problematico se non proprio instabile.

Freud, fin dai primordi della corrispondenza preconizzava (12 F, 30 dicembre1906) “sono fiducioso che presto conquisteremo la psichiatria”; Bleuler riteneva che potesse essere ampiamente rassicurante la ritornante conferma che nelle sue lezioni una parte era sempre dedicata a illustrare la necessità di tener conto degli indubbi meriti portati dalle innovazioni di Freud.

Bleuler (66B, 17 febbraio 1925) riconosceva che “Chi vuole comprendere la neurologia o la psichiatria senza conoscenza della psicoanalisi, mi sembrerebbe un dinosauro; dico ‘mi sembrerebbe’ e non ‘mi sembra’ perché tali persone non ci sono più, neanche tra quelli che si divertono a sminuire la psicoanalisi”; Freud (67F, 22 febbraio 1925) eccepiva che “Le differenze dei nostri punti di vista si spiegano col fatto che Lei esercita anche la psichiatria, anzi, essenzialmente la psichiatria, mentre io ormai da trent’anni non faccio altro che fare analisi e sempre e solo analisi”.

Bleuler (22B, 22 ottobre 1910) ritenne utile, mosso dal suo ambivalente equilibrio (dalla sua equilibrata ambivalenza) di proporre a Freud questa, a suo parere, “pacificante” riflessione: “Lei ha comunque ragione su quasi tutti i punti – [trattino di pausa sospensiva e sospetta] dal Suo punto di vista. Ma dal mio punto di vista credo di aver ben altrettanto ragione, e il punto di vista non può essere attaccato perché è una funzione della persona. Naturalmente [sic!] per me è molto improbabile che forze oscure possano determinare proprio qui il mio comportamento più del solito. I motivi che conosco sono più che sufficienti per spiegare tutto”. C’è da sorprendersi se la risposta di Freud (23F, 27ottobre 1910) fu questa: “Mi serve a poco sapere [come sempre “Stimato collega”] che Lei mi dà ragione dal mio punto di vista e al tempo stesso ha sempre ragione dal Suo, senza che i nostri rispettivi punti di vista possano avvicinarsi l’un l’altro” (Elementare Watson, verrebbe da chiosare… se però appena fossero intuibili le condizioni atte a consentire l’avvicinamento, atteso che è improbabile che l’ateo e per giunta pur sempre ebreo Freud potesse credere alla storiella di Maometto e la montagna). Ma ecco che anche Freud si affretta a rassicurare l’interlocutore “Non credo neanche che le nostre diverse posizioni personali sulla causa della psicoanalisi possano separarci affettivamente”…o a rassicurare primariamente sé stesso? – tutto il contesto di questo, sintomaticamente notevole, carteggio permette di ipotizzarlo, se per Freud la posta in palio è, in fondo, sempre, la “causa” della psicoanalisi, “perché in fondo sono stato collocato dal destino a questo posto”, aggiunge infatti subito di seguito.

Sono ormai giunto alla conclusione di questa mia proposta di lettura, consapevolmente limitata a usare sostanzialmente una sola pars pro toto delle lettere di questo epistolario (pars non soltanto perché concerne appena un ridotto intervallo di pochi mesi rispetto al complessivo trentennio in cui si è svolto, ma anche perché è estratta da uno solo degli interlocutori), nella convinzione, che ho tentato di motivare, della sostanziale forza della ripetizione che connota gli sforzi, peraltro proprio perciò encomiabili di entrambi i corrispondenti e forse proprio perciò prolungatisi in un così ampio arco di tempo, senza quelle catastrofiche rotture che hanno segnato i destini di tanti altri “scholari”. Devo aggiungere che una certa simpatia umana va riconosciuta a questo punto all’ambivalente Bleuler, per aver dare un primario contributo a tenere sempre imbrigliata questa corrispondenza in instabile equilibrio. Ché certo sarebbe ingiustificato, oltre che almeno irrispettoso, provare un analogo sentimento anche per Freud, protetto dalla “irresponsabilità” che gli era dovuta in ragione della necessitata dedizione alla “causa” di cui egli stesso era causa; e che dunque si adeguava allo stile “stoico” del suo interlocutore più per ragioni tattiche che non per genuina attitudine.

Se sono riuscito, almeno in qualche misura, a rendere almeno plausibile il mio arrischiato tentativo, posso allora riproporre qui nuovamente il mio titolo, trascinato da una semplice nota correttiva di una parzialissima incongruenza terminologica fino a porsi come pretesa di chiave di lettura dell’intero carteggio. Lo ripeto, però questa volta, rinunciando – infine – alla cautela del punto di domanda: Verhandlung oder (auch) Verhüllung: sì, una negoziazione, una trattativa… ovvero, ma anche oppure – perché no una dissimulazione, un occultamento.

P. s.

Appena due segnalazioni:

  • a pagina 33, nel secondo capoverso della lettera 21F credo sia doveroso riconoscere a eco, anche con l’iniziale minuscola, quel genere femminile, qui almeno grammaticale, che, nonostante la finale in “o” le spetta di diritto fin dai tempi mitologici;
  • a pagine 60, 61, nella lettera 35B si legge “Nemmeno von Monakov aveva osato riconoscersi apertamente come avversario. Si era posto dal punto di vista di chi in realtà sapeva già tutto da tempo [della psicoanalisi] e che l’aveva praticata [l’opposizione] – solo in modo più fine”. Le due interpolazioni in parentesi quadre trovano riscontro nelle rispettive note 3 e 4; in quest’ultima si aggiunge, a commento giustificativo dell’interpolazione: “Questo passaggio di Bleuler risulta effettivamente ellittico”. Non sono d’accordo: il passaggio, a mio parere, viene semmai reso “ellittico” proprio dal “sovraccarico” aggiuntivo; che, se corretto ma superfluo per la prima specificazione (si evince con chiarezza dal contesto che “sapeva già tutto” si riferisse alla psicoanalisi), diviene invece fuorviante nella seconda, in cui l’opportunità di interpolare “l’opposizione” non servirebbe, come nel primo caso, soltanto a facilitare un riferimento, ma proprio a introdurlo come se fosse mancante (perciò l’attribuzione di “ellittico”). A me pare invece che semplicemente qui si volesse dire che von Monakov non solo pretendeva di sapere tutto della psicoanalisi, ma che addirittura l’aveva praticata [la psicoanalisi, mi sembra si debba intendere] in modo più fine”. Insomma: vanterie di uno sbruffone!

[1]In verità, piuttosto un tributo riconoscente a Mario Bottone, Riccardo Galiani e Francesco Napolitano, anche perché i curatori dei Carteggi sono per chi scrive non soltanto stimati colleghi, ma, di più, carissimi amici e non soltanto per ragioni “campanialistiche” … che, chissà, potere del genius loci che consente rapporti più “accomodanti” con “streghe” e altre potenze ctonie, pure potrebbero aver avuto una qualche influenza nel “fantasticare” che fosse davvero realizzabile un’avventura cui la sola ragionevole economia di un disincantato calculemus non avrebbe certo dato facile consenso!

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