Il punto di partenza di Estela Welldon è che “i rituali ed i comportamenti sadomasochisti sono una rudimentale soluzione per affrontare un insopportabile dolore psichico” (74) e che originano nella prima infanzia. Prenderò in esame soprattutto quest’aspetto perché è di massima rilevanza per chi si occupa di bambini.
Uno dei capitoli più interessanti ha per titolo Le madri come creatrici del sadomasochismo, dove viene appunto specificato non solo che le madri possono commettere atti perversi contro sé stesse, ma che spesso commettono azioni perverse nei confronti dei propri figli, quando questi sono vissuti solo come loro appendici. Naturalmente chi è stato un bambino abusato più facilmente diventa a sua volta un abusatore. Ciò che l’Autrice sottolinea, avvalendosi di esempi clinici presi dalla sua grande esperienza di psichiatra forense e psicoterapeuta, è il pregiudizio generale per cui ci risulta così difficile considerare la possibilità che sia una donna a perpetrare atti sadici su qualcuno – semmai subirli da masochista paziente – dove appena valutare l’eventualità che una madre agisca violentemente sui propri figli, scaricando così un proprio eccitamento sessuale! Simili violenze possono accadere anche in una coppia apparentemente normale quando questa si regga su Legami perversi, come s’intitola un altro capitolo del libro. I legami perversi “si verificano quando entrambi i genitori hanno vincoli affettivi instabili e traumi irrisolti che li fanno sentire insicuri e li hanno condotti ad avere relazioni oggettuali deteriorate o immature. In origine queste coppie si formano proprio in virtù dell’immaturità di entrambi i componenti, e il legame di reciproca dipendenza su cui si basano viene minacciato all’arrivo di un figlio, inconsciamente avvertito come un continuo rischio per il rapporto.” (57-58) Facilmente quindi il bambino non viene riconosciuto nella sua individualità, ma confuso da questa coppia simbiotica, per cui può andare incontro ad abusi sessuali ed a successivi abbandoni.
Le numerose situazioni cliniche riportate nel libro parlano di costellazioni psicopatologiche differenti. Per quanto riguarda le madri, è da sottolineare che l’Autrice afferma che in alcune c’era anche “un grande dolore psichico a causa delle violenze” (66) che esse avevano compiuto sui loro figli, ma purtroppo non viene specificato se ci sia stata da parte loro l’acquisizione di un insight specifico di questo nel corso di un trattamento psicoterapico.
Certo, le persone con comportamenti perversi devono affrontare nel corso di una psicoterapia, che le costringe “ad affacciarsi sullo sconosciuto panorama di grave sofferenza emotiva” (43) che loro avevano tentato di evitare nel corso di tutta la loro vita, un grande dolore che potrebbe risultare insopportabile anche per lo psicoterapeuta quando si rende conto di non essere in grado di capirli completamente. E l’Autrice pone dei quesiti importanti che evidenziano anche la sua correttezza terapeutica e sui quali vale la pena richiamare la nostra attenzione. Essa scrive (43- 44 ): “Non avranno ragione questi pazienti a rifiutare una terapia da cui potranno ricavare solo maggior dolore e per di più in una modalità che sfugge al controllo? Hanno risorse interiori sufficienti a intraprendere un’avventura terapeutica in cui il dolore fisico sessualizzato verrebbe sostituito da una sofferenza emotiva?”