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Quelle psychanalyse pour le XXIe siècle?

9/03/17

guignardFlorence Guignard (2015)

Quelle psychanalyse  pour le XXIe siècle?

Tome I. Concepts psychanalytiques en mouvement

Ed. Ithaque, pp. 260   

Nella prefazione a Quale psicoanalisi per il XXI esimo secolo, grazie alla forza dell’intreccio tra il pensiero scientifico e la vita di Florence Guignard, Anna Ferruta suggerisce un titolo alternativo che potrebbe risuonare come la “Storia di una psicoanalista” . In effetti in questo primo tomo, Florence Guignard si propone di rivisitare e di analizzare una serie di concetti cardine della metapsicologia attraverso riflessioni che hanno impegnato tutto l’arco della sua esistenza. Cofondatrice della SEPEA (Società europea per la psicoanalisi del bambino e dell’adolescente) è autrice di numerosi lavori tradotti in più lingue (compreso l’italiano) e si è occupata di temi legati alla sessualità femminile, al materno, approfondendo in particolare   l’area dell’Infantile.

 In un’epoca in cui la modernità insiste sulla rapidità dei risultati, Castoriaidis e Harlem, nelle note introduttive di questo bel libro, mettono in luce come sia tempo di dimostrare che la psicoanalisi è costituita da una teoria e da una pratica sempre in movimento.

 Anna Ferruta  definisce ‘epico’ il lavoro della Guignard e non possiamo che concordare con lei. Infatti l’autrice ha saputo “tessere una trama solida e armoniosa allacciando la visione darwiniana dello sviluppo umano (…) ai meccanismi fondanti la metapsicologia psicoanalitica”(p.13). La Guignard ha il pregio di rivisitare con uno sguardo nuovo gli apporti della Klein, di Bion e di Meltzer non dimenticandosi di mostrare il debito della teoria psicoanalitica nei confronti della teoria sessuale infantile e l’intreccio sempre attuale tra Io Ideale e Ideale dell’Io. Ella parte dalla convinzione che lo psicoanalista sia nello stesso tempo oggetto e strumento di conoscenza nella investigazione analitica. Del resto il campo osservato, come ricorda Baranger, viene cambiato dallo strumento di osservazione. Nel trasformare e ritrasmette in modo chiaro concetti psicoanalitici classici, la Guignard effettua escursioni nella clinica dell’Infanzia e adolescenza da una parte e in quella dell’adulto dall’altra. Le difese quali la scissione, il diniego e la proiezione necessitano di una attenzione particolare; del resto la nevrosi classica dell’epoca freudiana è ormai ben lontana.

 La vasta panoramica tratteggiata dalla Guignard offre moltissimi stimoli; vengono toccati temi quali la genealogia delle pulsioni, la questione della scissione, la chimera concettuale del sado-masochismo ed altri  ancora. Solo alcuni verranno approfonditi in questa sede tra cui la proiezione identificatoria,  l’infantile (l’infantile dell’adulto e quello dello…psicoanalista!) e il tema dell’edipo adolescente, oggetto del capitolo X. L’autrice conclude il suo sforzo con ipotesi teoriche per le quali è nota anche in Italia come quelle relative alla macchia cieca e alle interpretazioni tappo. Ferruta ricorda come queste concettualizzazioni siano ‘asintotiche’ in quanto non saturano l’area di funzionamento psichico “ma al contrario ci incoraggiano a riconsiderare i nostri modelli alla luce del cambiamento che tocca le patologie, la società e l’attività di ricerca”(p.19). Si tratta di concetti in movimento, a ‘geometria variabile’ o di ‘terzo tipo’ -per riprendere espressioni care all’autrice- e grazie alla loro mobilità e reversibilità ben si adattano alla descrizione di una entità così mutevole come la realtà psichica. Ma vediamo più da vicino la proiezione identificatoria  esposta dettagliatamente al capitolo IV. La definizione di questa concettualizzazione ricalca l’espressione inglese di ‘projective identification’ dove l’accento cade maggiormente sull’aspetto processuale (nel senso di un movimento proiettivo). La Klein descrive questo meccanismo nel 1946 in Note sualcuni meccanismi schizoidi. Esso, indicato generalmente come identificazione proiettiva, è stato  oggetto di studio e di riflessione nel mondo psicoanalitico. La Segal e Rosenfeld hanno indagato le implicazioni di questo concetto relativamente al setting terapeutico. Seguendo il filo descrittivo della Guignard, il passaggio  inconscio della proiezione/identificazione che caratterizza la ‘respirazione psichica’, è tipico di ogni essere umano e tale movimento si basa sull’economia pulsionale da una parte e il ruolo degli oggetti dall’altra, oggetti esterni che in seguito vengono interiorizzati. La proiezione identificatoria è uno strumento della nostra comunicazione inconscia interna e di quella col mondo esterno, essa si combina con i meccanismi di difesa primari quali la scissione, il diniego e l’ idealizzazione in modo da proteggere gli oggetti ‘buoni’ in relazione con le parti ‘buone’ dell’Io. Come si sa,  l’infans  non è ancora in grado di scoprire che il suo oggetto ha una vita separata da lui. Vi è stata molta attenzione riguardo alla declinazione patologica della proiezione identificatoria mentre già Bion ne metteva in luce il funzionamento normale nel contesto della  relazione madre-bambino, dove la funzione alfa della ‘reverie materna’ contiene e bonifica gli elementi beta organizzando la futura capacità di pensiero del neonato. Il senso della proiezione identificatoria può invertirsi in una de-significazione qualora l’Io fragile la usi difensivamente nei confronti di angosce di castrazione o di annichilimento vissute come insopportabili. La Guignard precisa che un soggetto con un sentimento di identità non ben definito utilizzi la proiezione identificatoria in modo intrusivo e patologico. Ma quali sono le conseguenze metapsicologiche di questo processo? Senza voler proseguire oltre nei meandri della trattazione teorica dell’autrice a cui riconosciamo il pregio di rendere lineari concetti complessi  ‘dis-intricandoli’ per ricombinarli in modo più fluido su diversi piani del pensiero, riportiamo un passaggio che offre una sintesi della sua riflessione: “ La proiezione identificatoria è un processo che si rende necessario per uscire dalla ripetizione circolare e mortifera del funzionamento del principio del piacere( e del suo al di là) onde costruire progressivamente il principio di realtà.(p.77). La proiezione identificatoria apre dunque il campo all’intersoggettività (Ogden,1994). Infine Ferruta rimarca come l’estrema complessità del funzionamento psichico conferisca a questa concettualizzazione, ‘una pluralità di significazioni’ trasmesse in parallelo da ogni movimento pulsionale e proiettivo verso i luoghi del self e del mondo esterno. E per quanto riguarda la proiezione identificatoria dell’analista, la Guignard ci mostra come essa rappresenti uno strumento prezioso ma anche un’arma a doppio taglio: “ Senza di essa l’analista non fa che parlare dell’analisi con il paziente(…) utilizzandola invece, egli corre il rischio di cadere in una identificazione reciproca in cui il processo analitico può impantanarsi. Bion (1958) propone di trasformare questo pericolo accogliendo la proiezione identificatoria fino al suo divenire di allucinosi.”(p.80)

A proposito del concetto di infantile, trattato approfonditamente nel capitolo XII, l’autrice  nota come il setting analitico favorisca sia il movimento di rappresentazione che quello  regressivo, nel paziente e nell’analista. L’infantile è collocato “ai confini tra l’inconscio e il preconscio, è il luogo psichico delle emergenze pulsionali primitive ed irrapresentabili ma anche il luogo dell’allucinatorio e del protosimbolico” (Nel vivo dell’Infantile-Riflessioni sulla situazioneanalitica, 1999). Esso si costituisce dunque come l’avant-coup nella storia del soggetto. Nel funzionamento psichico e nelle dinamiche delle sedute si dispiegano simultaneamente diversi livelli di funzionalità; l’infantile del paziente emerge attraverso una forza imprevedibile creandosi così le condizioni per lo sviluppo delle cosiddette macchie cieche e delle interpretazioni tappo. Più dettagliatamente:  quando l’infantile del paziente incontra aspetti non analizzati dell’infantile dell’analista si crea una fonte di eccitazione non legata che può favorire l’emergenza delle ‘macchie cieche’. A questo punto, onde evitare rimozioni o passaggi all’atto e garantire la prosecuzione dell’analisi, l’analista dovrà fornire un certo sforzo di elaborazione psichica assumendosi il ruolo di para-eccitazione nonché di contenitore, per tollerare intense e dolorose emozioni. In caso contrario le macchie cieche conducono ad interpretazioni ‘tappo’ che siglano lo stallo del processo analitico. L’uscita dalla macchia cieca, aggiunge inoltre l’autrice, avviene essenzialmente attraverso un movimento di ‘protestation identitaire’ (protesta identitaria) in cui l’analista recupera una sorta di triangolazione interna, quale fondamento della sua identità smarrita nella  identificazione inconscia con un oggetto interno o una parte dell’Io del paziente. (p.231).

Infine, a proposito della conclusione dell’analisi, la Guignard sottolinea come l’analista debba avere la capacità di utilizzare i limiti del suo Io come contenitore del proprio infantile ( poiché con la fine dell’analisi la comunicazione inconscia dell’infantile non si dissolve).

Nel prosieguo delle sue riflessioni e attraverso il secondo tomo del suo libro di imminente uscita, l’autrice affronta la questione dell’identità, lo studio critico delle configurazioni transferali e le dinamiche legate al trauma. 

BIBLIOGRAFIA

Bion W. R. (1965), Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita, trad.it. Armando, Roma, 1983.

Guignard F.(1996), Nel vivo dell’Infantile. Riflessioni sulla situazione analitica, F. Angeli, Milano, 1999.

Klein M.(1946), Note su alcuni meccanismi schizoidi, trad.it. in Scritti, 1921-1958, Boringhieri, Torino, 1978.

Ogden T. (1994) Soggetti dell’analisi, Collana Dunod, Elsevier-Masson, 1999.

Chiara Rosso

Marzo 2017

Leggi in SpiPedia Identificazione proiettiva a cura di Maria Laura Zuccarino

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