Psicoanalisi e psichiatria fenomenologica
Ezio Maria Izzo (2016)
Franco Angeli, Milano, p. 314
«È grigia, caro amico, qualunque teoria, verde è l’albero d’oro della vita» (Goethe). Ezio Maria Izzo adotta queste parole eterne, tante volte citate da Freud, nell’incipit e nella chiusa del suo libro, dove si pone il cruciale interrogativo se per la psicoanalisi sia «un inquinamento o una risorsa coniugare la pulsione con l’esistenza», con il verde albero d’oro della vita (p. 17). Tale quesito, ben lungi dal suonare retorico, è un espediente adoperato per suggerire la riapertura del complesso dialogo tra fenomenologia e psicoanalisi, che era stato assai vivace nella seconda metà del Novecento e che, progressivamente, è andato a scemare.
La doppia identità di psicoanalista e di psichiatra, con una lunga pratica istituzionale, ha contribuito ad alimentare nell’Autore la convinzione che va ristabilito lo scambio tra psicoanalisi e psichiatrica fenomenologica, al fine di tentare di «sottrarsi al destino di rimanere schiacciate» dall’attuale, potente dimensione neurobiologica – come rileva Conrotto nella Presentazione (p. 13).
Ezio M. Izzo, in qualità di didatta, manifesta inoltre la preoccupazione, ma anche il disagio e la sofferenza, per la perdita di questo fondamentale patrimonio teorico/clinico da parte delle nuove generazioni e, con il suo testo, si propone di riattivare la trasmissione di tali competenze nei giovani psichiatri e psicoanalisti. L’ascolto clinico del paziente e la ricerca della singolarità di ogni soggetto fa da filo conduttore a tutte le riflessioni storiche e dottrinali e da cartina di tornasole della bontà di ogni esperienza di cura. Si tratta di un’ipotesi di lavoro integrato assolutamente necessario per chiunque si occupi del trattamento del dolore mentale, altrimenti – come ammonisce Petrella nella Postfazione – «lo psichiatra, lo psicoterapeuta e lo stesso psicoanalista sono destinati a depauperare l’orizzonte delle proprie attività e a dare spazio a pratiche inconsapevoli e semplicistiche, che riducono l’intervento clinico a schemi nosologici e operativi assai miseri» (p. 302).
La prima parte del volume ha un chiaro stampo orientativo e presenta, in gran sintesi, la storia della psicologia e il lungo e tormentato cammino delle scienze umane dalla neurologia alla psicologia. Vengono esaminate le psicopatologie fenomenologiche del XX secolo, con delle puntate al pensiero filosofico, per poi passare allo studio delle psicopatologie di matrice psicoanalitica. L’impianto storico è solido, ma agile e di godibile lettura. Un capitolo particolarmente emozionante è quello riservato alle rivoluzionarie ed assai moderne idee dello psicoanalista ungherese Sàndor Ferenczi e all’approfondimento della concezione di trasmissione transgenerazionale del trauma istituzionale.
La seconda sezione del libro è dedicata alla clinica psicoanalitica, con i paradossi della classificazione in ambito analitico. L’Autore attinge alla sua duplice formazione nell’offrire un’inedita sistematizzazione del disagio mentale, che transita in maniera dinamica da specifici disturbi della strutturazione della personalità a corrispondenti, peculiari, malattie psichiche. Viene così rimarcata la nozione di «linea di confine fra psicosi e nevrosi (dividing line)» (p. 205), che accompagna l’intero suo ragionamento sulle varie categorie diagnostiche e che recupera una preziosissima prospettiva nosografica, del tutto trascurata dalla tassonomia psichiatrica contemporanea (DSM).
Nell’indicare i vari raggruppamenti psicopatologici, Izzo si rifà sia alle posizioni pulsionali che a quelle relazionali, «considerandoli entrambi fattori di eguale importanza nelle vicende evolutive» (p. 22). Alla fine del suo discorso, egli riconosce comunque i «limiti dei nostri concetti teorici (…) sul problema della classificazione, uno “scherzo” – che ogni terapeuta sente necessario – per riferirsi ad un sapere generale e ad una classificazione con la quale confrontarsi nell’impossibile sfida di collocarvi le infinite tipologie dell’umano» (p. 224).
Gli ultimi capitoli sono riservati alla pratica psicoanalitica con i pazienti gravi. E qui la doppia identità professionale consente all’Autore di realizzare delle pagine di notevole spessore teorico e di grande intesse clinico. Il lavoro analitico con i “nuovi pazienti”, portatori di patologie severe, richiede ineludibilmente delle versioni modificate del setting. Ma assai spesso gli analisti si trovano in imbarazzo nel «descrivere quel che accade nella stanza d’analisi», di frequente occupata da pazienti che, molto più di un tempo, «inducono a fare cose non previste dal metodo» tradizionale.
Izzo invita l’analista d’oggi a riflettere sull’«allargamento, (…) modifiche o (…) cambiamento del metodo classico», segnalando in tono lievemente provocatorio che nel Novecento, il secolo della psicoanalisi, ogni disciplina scientifica o umanistica ha apportato significative modifiche della propria tecnica (pp. 225-226). Egli rammenta al lettore gli importanti aggiustamenti della tecnica effettuati da Winnicott nell’analisi dei bambini e, ancor prima, dai pionieri della psicoanalisi degli psicotici, quali Karl Abraham e Sàndor Ferenczi.
I concetti di campo bipersonale, di relazione analitica e quella più recente di polisemia del quadro e delle regole (Roussillon, 1995) sono dei sussidi imprescindibili per trattare le patologie psicotiche. Ma l’assunto basilare nella terapia psicoanalitica dei malati gravi è, per dirla con Ferro, la «permeabilità» della mente dell’analista «alle urgenze del paziente» (Ferro, 2006, p. 405). In altri termini, l’analista deve essere disposto «a condividere il loro modo di stare al mondo», mettendo in gioco, nella relazione analitica, sé stesso come persona (Izzo, 2016, p. 233). E in quest’ottica intimamente relazionale, le «piccole» variazioni del setting «possono essere considerate nell’ordine di un nuovo “galateo psicoanalitico”, come le ha chiamate Andreina Robutti (1999) in un suo lavoro che si colloca nella linea del mutamento “dalla psicoanalisi del sospetto alla psicoanalisi del rispetto” (Nissim Momigliano, 2001)» (p. 229). Questo è un punto che Izzo ha molto caro, e che riprende in diverse parti del libro: l’attenzione al “galateo psicoanalitico” comporta una profonda tensione etica da parte dell’analista, dedito a comprendere i bisogni dell’Altro e a lenirne le sofferenze.
Tale sezione del saggio è impreziosita da alcune appassionati esemplificazioni cliniche. Frammenti di terapia analitica di malati provati da angosce devastanti, da pensieri di persecuzione e di veneficio; individui sottoposti a reiterati traumatismi familiari, con l’animo colmo d’ostilità e di rivendicazione. Situazioni complicate da affrontare per lo psicoanalista, che si può trovare a soggiornare “negli inferi della psicoanalisi”, per usare le parole di Freud (1914). Per Izzo, in questi casi difficili un passaggio che può risultare determinante nella cura sta nel riconoscimento della responsabilità di entrambi i membri della coppia per ogni evento dell’analisi. L’Autore invero glossa che «non dobbiamo però ritirarci dagli “inferi” se vogliamo tentare di frequentare l’esistenza psicotica, la quale ci propone i suoi modelli per la terapia», modelli che fanno della psicoanalisi, prima inter pares, la disciplina «che meglio prepara ad accettarne la condivisione» (p. 258).
Il volume si conclude con delle riflessioni generali sui doveri etici dell’analista, che riguardano non solo gli aspetti deontologici del mestiere, ma anche la problematica della trasmissione del sapere psicoanalitico agli allievi. Temi di notevole portata speculativa e di assoluta attualità.
Mi piace terminare queste considerazioni con la voce vibrante di Ezio M. Izzo, quando esorta i colleghi a tenere sempre alto e vigile l’impegno etico, unica maniera per sostenere il gravoso carico della cura psicoanalitica, «una funzione che diventa meno difficile se l’analista accetta la responsabilità di aver cura del “verde dell’albero d’oro della vita”» (p. 298).
Bibliografia
CONROTTO F. (2016). Presentazione. In: Izzo E.M., Pulsione ed esistenza. Psicoanalisi e psichiatria fenomenologica. Milano, Franco Angeli.
FERRO A. (2006). Da una psicoanalisi dei contenuti e delle memorie ad una psicoanalisi degli apparati per sognare, sentire, pensare: transfert, transfer, trasferimenti. Riv. Psicoanal., 2, 401-478.
FREUD S. (1914). Introduzione al narcisismo. O.S.F., 7.
NISSIM MOMIGLIANO L. (2001). L’ascolto rispettoso. Scritti psicoanalitici. (a cura di Robutti A.). Milano, Cortina.
PETRELLA F. (2016). Postfazione. In: Izzo E.M., Pulsione ed esistenza. Psicoanalisi e psichiatria fenomenologica. Milano, Franco Angeli.
ROBUTTI A. (1999). Accogliere, raccogliere. È cambiato il galateo psicoanalitico? Relazione letta al Congresso Prospettive multiple sulla soggettività. Roma.
ROUSSILLON R. (1995). Il setting psicoanalitico. Roma, Borla, 1997.
Rita Corsa
Novembre 2016
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