A cura di Andrea Marzi (2013)
Prefazione di Antonino Ferro
Psicoanalisi, identità e internet. Esplorazioni nel cyberspace.Franco Angeli, pp. 256
Recensione a cura di Gregorio Hautmann
Come è ormai diffusamente riconosciuto, è stato spesso il confronto con cambiamenti sociali di portata epocale e/o con le nuove forme attraverso le quali, di riflesso, il disagio psichico si è via via manifestato, a produrre allargamenti, avanzamenti e revisioni profonde e fruttuose della teoria e della tecnica psicoanalitiche. Ciò che già era accaduto ai tempi di Freud, si è ripetuto per le generazioni successive di psicoanalisti, ed è auspicabile avvenga oggi.
Difatti una delle caratteristiche fondanti la psicoanalisi, checché ne dicano alcuni suoi detrattori (magari aiutati da arroccamenti difensivi cui lo stesso movimento psicoanalitico non sempre si è sottratto) è quella di coltivare un rapporto peculiare e stringente con la realtà storico-sociale del suo tempo: oltre ad essere, come ogni disciplina, immersa inevitabilmente nella società in cui opera, è proprio il suo metodo medesimo, centrato sulla partecipazione emotiva dell’analista ad una sorta di “finzione ludica” atta a trasformare in senso simbolico (interpretazione) i contenuti mentali, -appartenenti che siano al paziente, alla coppia analitica, o al campo, secondo i modelli preferiti (fantasmi) -, a richiedere la formazione di un contenitore, indispensabile per realizzare tale finzione”, costituito da una membrana semipermeabile (setting), in grado di presentificare, pur filtrata e scolorita della sua violenta pregnanza, la realtà del mondo, quale sfondo necessario per la proiezione dei fantasmi e per la loro progressiva elaborazione; da cui la felice espressione con la quale Roberto Tagliacozzo designava anni orsono l’esperienza dell’analista, ad integrazione della più nota e precedente “ascoltare con il terzo orecchio”: “con l’orecchio dentro e fuori la stanza”.
La conservazione del metodo, unica garanzia della capacità conoscitivo/ terapeutica della psicoanalisi e per conseguenza della sua vitalità, è – ne discende – tanto più assicurata, quanto più gli psicoanalisti, ben in contatto (critico) con la contemporaneità e con i cambiamenti relativi, sanno ripensare in questa luce la loro prassi e i loro modelli, appunto la loro tecnica, (altra cosa, ovviamente, dal metodo), e la loro teoria.
Proprio questo è ciò che effettivamente sta avvenendo, mi pare, dinanzi ai nuovi quadri psicopatologici sintomatici e/o di carattere, ma più in generale a nuove forme di sofferenza, legate ai contesti sociali attuali, così segnati, fra l’altro, da quella che è stata definita “la rivoluzione digitale”, non senza enfasi, certo, ma con qualche fondamento, dal momento che è innegabile che la diffusione su scala planetaria di Internet, esplosa dagli anni 80 del precedente secolo, e l’avvento di esperienze al limite tra fantascientifico e scientifico quali Realtà Virtuale e Cyberspace, sconvolgendo le coordinate spazio/ tempo per come il senso comune era abituato a concepirle, hanno influito profondamente a livello individuale e gruppale.
Di questo, a mio avviso proficuo, atteggiamento, (salvaguardia del metodo che passa per ripensamenti di teoria e tecnica), è senz’altro espressione, e tra le più stimolanti e mature, il bel libro “Psicoanalisi, Identità e Internet. Esplorazioni nel cyberspace”, curato da Andrea Marzi (che ne è anche coautore) e con la prefazione appassionata di Antonino Ferro, che ci mette in guardia dal rischio di cristallizzazione e di invecchiamento dei modelli psicoanalitici. Primo volume psicoanalitico in italiano, a quel che ne so, interamente dedicato a questa tematica, contiene i contributi di otto psicoanalisti, italiani e stranieri, di differente impostazione, winnicottiana, neokleiniana, bioniana, ferriana, cui si aggiunge quello di un esperto di informatica, raggruppati in tre sezioni che corrispondono ad altrettante prospettive: “Cyberspace Cibernetica e Società”(Sorrenti, l’informatico, Egidi Morpurgo e Longo), “Identità e Cyberspace” (Antinucci, Civitarese e Marzi), “Spazio virtuale e Clinica psicoanalitica” ( D. Rosenfeld, Johns e Sforza).
Grazie alla lunga e ricca introduzione di A. Marzi, che fa il punto degli studi psicoanalitici sul tema, e al gioco di rimandi istituito dalle concise ed efficaci note a piè di pagina, i contributi si collegano e dialogano l’uno con l’altro, integrandosi vicendevolmente.
Lo spessore, ed anche la complessità, dei lavori rende impossibile, anche per banali motivi di spazio, prenderli in considerazione qui singolarmente, come ciascuno di essi si meriterebbe. Mi limiterò perciò a segnalare quelli che mi sono parsi elementi a comune, ricorrenti nel pensiero di tutti, o comunque di molti degli Autori.
Un primo elemento lo ravviserei nell’esigenza condivisa di prestare una particolare attenzione al difficile mantenimento di un ascolto analitico disponibile ed aperto. Davanti al turbinoso mondo telematico che attraversa e riattraversa con ritmo accelerato la situazione analitica ora in maniera decisamente concreta (gli oggetti tecnologici, il cellulare che squilla in seduta, gli Sms che arrivano inopportuni), ora meno (i sogni popolati da schermi o intrisi di realtà virtuale). Il rischio è invece, per l’analista, di regredire a difese scissionali, quali quelle che hanno improntato il clima culturale riguardo alle nuove tecnologie nei decenni scorsi: da un lato “il moralismo apocalittico”, dall’altro “l’ottimismo integrato” per usare le azzeccate definizioni di A. Lombardozzi (che si rifà ad osservazioni di U. Eco) in un numero di Psiche di qualche anno fa. Sotto la pressione di angosce persecutorie, confusionali e depressive il rilievo delle fantasie di onnipotenza con l’illusorio superamento dei limiti del tempo, dello spazio e della corporeità, la constatazione dell’iperaffollamento sensoriale che produce poi fame di stimoli e della caduta delle capacità di simbolizzazione, l’imbattersi nella confusione tra connessione e contatto con susseguente superficializzazione delle relazioni o rifugio nella solitudine, fino ad un vero e proprio incapsulamento autistico; o all’opposto la fiducia totale nelle potenzialità innovative delle nuove tecnologie considerate nella loro possibilità di stimolare forme di comunicazione inconscia e di aprire così nuovi spazi di pensabilità, possono condizionare massicciamente la funzione analitica, occludendo il campo (su tutto questo si diffonde il lavoro di Egidi Morpurgo).
Il recupero di una posizione emozionale più integrata al contrario apre la strada – e questo è l’altro elemento comune – ad un approccio nei riguardi degli effetti delle nuove tecnologie sensibilmente differente, per il quale la Rete diventa un utile vertice di osservazione, tramite il quale rivisitare e approfondire vecchi concetti e formulazioni ed evidenziarne semmai di nuovi. La Rete quindi come “inconscio ottico”, ci dice Antinucci nel suo contributo, riprendendo una metafora di Benjamin, a proposito dell’invenzione della macchina fotografica, che consente di scoprire, fissandoli, particolari del movimento destinati a sfuggire altrimenti allo sguardo.
Da questo punto di vista allora, allora, la cosiddetta Realtà Virtuale e il Cyberspazio, termini che già nella sensibilità comune si estendono lungo uno spettro di accezioni sfumatamente differenti, (come ci illustra Sorrenti), rilanciano il problema del virtuale in psicoanalisi quale proprietà emergente dello psichico (Antinucci e Marzi), inducono ad approfondire la condizione di intermedietà (Marzi e Civitarese ), in quanto paradigma essenziale per la psicoanalisi, consentono attraverso il confronto suggestivo tra spazio virtuale e spazio potenziale, ingannevolmente affini però sostanzialmente diversi, se non francamente opposti (Marzi), un possibile sviluppo della teoria in merito.
Lo stesso discorso vale per il concetto di identità, (concetto solo di recente ripreso dagli psicoanalisti anche dietro la pressione delle domande poste dalla clinica), che viene ad essere interrogato dai fenomeni di identità multiple e interattive presenti in Rete o dall’alone di eccessiva realtà (e iperrealtà) conferito dai mezzi tecnologici all’”altra scena”della realtà interiore con ripercussioni per esempio sulla strutturazione edipica della personalità (Antinucci). Ancora, la situazione interattiva e collettiva prodotta da Internet suggerisce nello sforzo di comprenderne meglio i rischi di suo uso problematico la valorizzazione di modelli teorici che sviluppino le basi gruppali della personalità (Longo).
Così come il fenomeno della internet dipendenza potrebbe essere l’occasione di un approccio al generale concetto di dipendenza che vada oltre le più comuni teorizzazioni psicoanalitiche per includervi elementi derivati dalle neuroscienze – per esempio il ruolo del rewarding system (Sforza). I videogiochi, poi, con le loro inedite forme di narratività costituite da caratteri come l’immersione, l’interattività, la narrazione in tempo reale ed in ambiente virtuale, la presenza simultanea di più giocatori, l’esistenza di regole che limitano l’interazione e di aspettative che ne definiscono la missione, forniscono metafore conoscitive che più di quelle classiche adottate dalla psicoanalisi, (il telescopio il telefono ecc. ecc.), potrebbero prestarsi ad accrescere le nostre conoscenze circa la situazione analitica come campo (Civitarese).
Su un piano più squisitamente clinico, la comparsa del cyberspazio nella seduta, sarebbe da intendersi talvolta alla stregua di un’arena nella quale possono venire a rappresentarsi le lotte del mondo interno; contribuendo così alla possibile elaborazione da una dimensione claustrale che esclude il contatto ad una più relazionale (Rosenfeld, Marzi, Johns).
Come si può appena intuire, insomma, da questa rapidissima carrellata i motivi di interesse del libro sono molti, arricchiti inoltre da dettagliati resoconti di esperienze analitiche con pazienti adulti ed adolescenti; il che lo rende meritevole, senz’altro, di una lettura attenta e meditata.
Gregorio Hautmann
Gennaio 2014