Parole chiave: Psicoanalisi; Freud; Self Disclosure; Unrepressed Unconscious; Memoria implicita; Craparo.
“Menti che si svelano. Caratteristiche e funzioni della self–disclosure dell’analista”
di Giuseppe Craparo
(Franco Angeli ed., 2024).
Recensione a cura di Benedetto Genovesi e Silvestro Lo Cascio
Nel bel libro Menti che si svelano,dell’amico Giuseppe Craparo, viene affrontato il tema della self-disclosure dell’analista. È implicito che non si può non comunicare, sia a livello conscio che a livello inconscio, soprattutto nella relazione tra analista e analizzando. Già Freud parla di comunicazione tra inconsci, in cui l’analista rivolge il proprio inconscio, come fosse un organo ricevente verso l’inconscio dell’analizzando. Ovvero, come un ricevitore del telefono nei confronti del microfono ricevente. L’autore, citando Freud, ci ricorda che: Come il ricevitore ritrasforma in onde sonore le oscillazioni elettriche della linea telefonica che erano state prodotte da onde sonore, così l’inconscio del medico è capace di ristabilire, a partire dai derivati dell’inconscio che gli sono comunicati, questo stesso inconscio che ha determinato le associazioni del malato (Craparo, 2024, p. 34).
Naturalmente, il corpo ha un ruolo fondamentale nella comunicazione interpersonale. Le recenti scoperte neuroscientifiche ci hanno permesso di comprendere l’importanza del corpo, nella comunicazione inconscia tra analista e analizzando. L’autore si riferisce qui, maggiormente, al corpo biologico e affettivo (piuttosto che al corpo pulsionale come viene descritto da Freud).
E ancora l’autore prende in considerazione la visione contemporanea dell’inconscio non rimosso, sia in psicoanalisi che nelle neuroscienze affettive, in cui viene sottolineata l’importanza delle sensazioni e delle emozioni che circolano nel campo analitico, quest’ultimo inteso come un campo incarnato (embodied field). Citando Gallese, come afferma Brown si avvia un processo inconscio di comunicazione e creazione di senso tra i due mondi intrapsichici del paziente e dell’analista, risultante in cambiamenti all’interno di e tra ogni membro della coppia analitica (Craparo, 2024, p. 37).
Anche l’applicazione clinica della teoria poligale di Porges induce a considerare come i corpi biologici, di analista e analizzando, comunicano e s’influenzano reciprocamente.
Allan Schore, con la sua teoria del cervello destro, ci ha indotto ad attenzionare i processi psicobiologici affettivi implicati nella relazione terapeutica. Analista e analizzando sono coinvolti in una comunicazione affettiva reciproca e riescono così a co-costruire un sistema di regolazione interattiva.
Nella relazione analitica, un aspetto fondamentale è l’umiltà e l’umanità dell’analista: il riconoscimento da parte dell’analista delle proprie vulnerabilità, della propria possibilità di sbagliare, della propria propensione a provare sentimenti di noia, colpa, vergogna, invidia, come la possibilità di sostare nell’incertezza e così via. Queste sono tutte esperienze che portano l’analista a confrontarsi con un senso di umiltà, nel rapporto coi propri limiti. L’apertura, da parte dell’analista, alla comunicazione di aspetti impliciti o espliciti di sé, consente di sviluppare una buona relazione empatica con l’analizzando, il quale così può sentirsi compreso. Ciò consente una buona alleanza terapeutica, soprattutto nel lavoro con pazienti traumatizzati. L’autore propone il concetto di trauma dissociativo. In tale condizione si verifica una perdita dell’equilibrio psicosomatico e lo stress può provocare una rottura dissociativa nella personalità, un breaking-point, che crea una frattura nel Sé. Soprattutto con tali pazienti, bisogna tenere in considerazione la loro necessità di potere fare un’esperienza di un’ambiente sicuro e rassicurante. La self-disclosure dell’analista dovrebbe permettere al paziente traumatizzato di fare esperienza di un clima di rispetto e di fiducia, consentendogli così di integrare gli aspetti dissociati e di porsi in una buona connessione con gli altri.
Il nostro autore sostiene che l’analista dovrebbe valutare di volta in volta l’opportunità di svelarsi al paziente. Inoltre, tenuto conto del diverso significato di rilevare, svelare o disvelare preferisce tradurre disclosure come svelamento e self-disclosure come autosvelamento (Craparo, 2024, p. 93).
Con questo suo lavoro, Craparo ripercorre una ricca rassegna della letteratura psicoanalitica sulla self-disclosure dell’analista, partendo da due tipologie di concettualizzazioni: una ristretta e una estesa. In quella ristretta, vengono differenziati i due costrutti di self-disclosure (come azione), intesa come lo svelamento cosciente di alcuni aspetti del sé; e self-revelation (come esperienza), intesa come rivelazione involontaria di alcuni aspetti del sé. Per esempio le reazioni controtransferali o anche il modo in cui si arreda il setting. In quella estesa, si prende in considerazione ciò che viene svelato dal terapeuta, attraverso i canali verbali e non verbali, sia in modo volontario che involontario, comprendendo anche tutte quelle informazioni sul terapeuta ottenute mediante altri canali non convenzionali, come per esempio i social network o i media. Da questa rassegna, emerge la dimensione metacomunicativa e intersoggettiva della self-disclosure. Sostiene Craparo che, essendo ogni prodotto psichico in rapporto con gli inconsci, anche le self-disclosure hanno a che fare, sia con dinamiche consce che inconsce e, parafrasando Borgogno, potremmo dire dialoghi fra inconsci che paziente e analista intrecciano.
Vediamo adesso nello specifico alcune caratteristiche e tipologie di self-disclosure che il nostro autore formula attraverso alcune caratteristiche dell’esperienza, quali la relazionalità, l’intersoggettività, l’autenticità, l’affettività e la consapevolezza:
– Self-disclosure relativa al controtransfert, riguarda la decisione dell’analista di svelare un contenuto della propria esperienza controtransferale. A tal proposito, l’autore considera la relazione transferale e controtransferale come una messa in scena (inconscio rimosso) tra due menti capaci di dare un significato co-costruito su un piano psichico. La self-disclosure controtransferale è un acting-out correlato ad un conflitto inconscio dell’analista (Craparo, 2024, p. 120).
– Self-disclosure relativa all’enactment, dove per enactment si intende un processo relazionale caratterizzato da una messa in atto (inconscio non rimosso) di contenuti traumatici dissociati del paziente e comunicati inconsapevolmente all’analista, per mezzo dell’identificazione proiettiva. Nel caso di enactment è importante che l’analista, al fine anche di evitare di utilizzare la self-disclosure come risposta difensiva agli stati affettivi traumatici del paziente, valuti bene la finalità terapeutica dello svelamento, per evitare di cadere nella self-disclosure da enactment che è cosa diversa dalla self-disclosure relativa all’enactment.
– Self-disclosure relativa a informazioni personali, riguarda tutte quelle informazioni che l’analista mette a disposizione attraverso canali social, siti internet, interviste su carta stampata o partecipazione a programmi televisivi, tutte informazioni che i pazienti possono facilmente reperire. L’analista dovrebbe mantenere un certo equilibrio e aggiungiamo in merito, a non cadere in quella che invece diventerebbe una forma di self-exposure. Aggiunge l’autore che, per quanto riguarda le informazioni divulgate attraverso la rete, queste rimangono anche quando vengono cancellate, non a caso si parla anche di inconscio dell’infosfera (Craparo, 2024, p.124).
L’autore affronta anche la tematica della self-disclosure dell’analista in relazione ad alcune variazioni di setting, nello specifico: nel setting di gruppo, che se fatto con consapevolezza e responsabilità può risultare utile al gruppo, ad esempio, nell’alimentare senso di sicurezza, coesione e fiducia fra i pazienti; nel rafforzare l’alleanza terapeutica e la collaborazione reciproca (Craparo, 2024, p. 157); e nella clinica digitalmente modificata, dove il nuovo contesto socio-culturale influenza la nostra rappresentazione del setting terapeutico.
L’autore, stimolando i punti di vista dei lettori, intreccia una riflessione sulla natura tecnica o processuale della self-disclosure. Lo fa a partire da Ferenczi, che a differenza di Freud, definisce l’analisi come un processo di sviluppo. A tal proposito, ci viene in mente Borgogno (1978, 2020), secondo cui il termine più appropriato per la psicoanalisi dovrebbe essere il percorso, che ha a che fare sempre con la specificità del soggetto contrapposta alla standardizzazione e omologazione. Borgogno ritiene che le conquiste del metodo si riflettono nel percorso di una vita simile a un paese che cambia. Craparo, in merito al discorso su tecnica e processo, sostiene che sono due costrutti che non si escludono a vicenda, ma che invece siano fortemente intrecciati e qualificano la self-disclosure come l’atteggiamento tipico di un analista consapevolmente disponibile a mettere in gioco aspetti di sé, con l’obiettivo di aiutare il paziente ad acquisire maggiori competenze relazionali e un maggiore senso di efficacia nel suo modo di essere nel mondo (Craparo, 2024, p. 138).
Bibliografia.
Borgogno, F. (1978), L’illusione di osservare. Riflessioni psicoanalitiche sull’incidenza del soggetto nel processo conoscitivo. Rosenberg & Sellier (2020).
Borgogno, F. (2020), Una vita cura una vita. Bollati Boringhieri.