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“Lost to Desire” The École Psychosomatique de Paris. Recensione di A. Bocchiola

8/09/23
"Lost to Desire" The École Psychosomatique de Paris.  Recensione di A. Bocchiola 1

Lost to Desire

The École Psychosomatique de Paris

And its Encounter with Patients Who Do Not Thrive

Routledge: London , 2022

Recensione a cura di Andrea Bocchiola

Lost to desire. The Ecole Psychosomatique de Paris and its Encouter with Patients Who Do Not Thrive, di Wolfang Lassmann, ricostruisce il lavoro della Scuola Psicosomatica di Parigi (EPP), a partire dalla conferenza di P. Marty e M. de M’Uzan al Congrès des Psychanalystes de langue romane (1962), che introdusse il concetto di pensiero operatorio, anticipando quello che l’anno successivo sarebbe diventata l’idea di un “ordine psicosomatico”, da affiancare ai classici quadri delle psiconevrosi, psicosi e perversioni (Marty et al., 1963).

Con l’ordine psicosomatico si trattava di descrive quei soggetti che, presentando disturbi essenzialmente psicosomatici, sono disinteressati alla vita psichica e alle loro relazioni oggettuali, mentre invero sono assorbiti da una sorta di oggetto interno somatico “scarsamente mentalizzato e debolmente investito di significati”[1], generatosi nella misura in cui il conflitto intrapsichico e i problemi relazionali, al posto di accedere a un processo di mentalizzazione, vengono gestiti “da attività sensomotorie e diverse modalità funzionali fisiologiche più o meno isolate, sovraccaricate e distorte”[2]. Con il concetto di pensiero operatorio, si rendeva conto della qualità del pensiero in questi soggetti, tanto concreto quanto disinvestito affettivamente, come se vigesse un “principio di equivalenza energetica, per il quale le relazioni con gli oggetti esterni, le rappresentazioni interne, l’attività mentale e il funzionamento somatico non appaiono qualitativamente differenziati”[3], ma piuttosto intercambiabili. In entrambi i casi il nocciolo della difficoltà è, per questi pazienti “low on energy and without a story to tell” (e quindi contrassegnati anche da una depressione essenziale), di accedere al registro della rappresentazione psichica, stante la profonda disfunzionalità del sistema preconscio a “idratare” la mente con i derivati dell’inconscio.

L’attualità del concetto è evidente e nelle descrizioni di Marty e dei suoi continuatori ritroviamo molti aspetti di quella impasse della rappresentazione e della rappresentabilità psichica dell’esperienza che profondamente interroga la clinica psicoanalitica contemporanea[4]. Ma ancor più di questa attualità sintomatica, è interessante la riflessione e il cortocircuito storico che Lassmann propone e che non è immediatamente intuitivo per il lettore nato dopo gli anni sessanta. “When the original paper were written [e letto alla conferenza del 1962, ndr], France and Europe, were still recovering from devastation of war and genocide[5]. E’ evidente che l’ingombro storico di due conflitti mondiali, ovvero il collasso degli stati nazionali che li produssero e della dialettica dell’umanesimo che ne incardinava il funzionamento, avrebbe gravato sulle vicissitudini della soggettività bel al di là della necessaria maniacalità dell’opera di ricostruzione, rivelando, grazie all’ascolto di Marty per i propri pazienti, una parte del prezzo che si dovette pagare per sormontare la distruzione, ossia incorporandola come un nucleo di distruttività che definire oggettuale sarebbe sminuente, perché le sue coordinate non sono psicologiche ma epocali [6]. Da questo punto di vista è prezioso lo sforzo di Lassmann, anche se circoscritto a un approccio più argomentativo che epistemico, nel coinvolgere i grandi eventi storici e simbolici nel destino dell’accadere psichico, liberandolo dalle pastoie del circuito familiare più o meno edipizzato. E suggestivo è l’aggancio al presente, visto che la frase citata poi prosegue: “as our own century is witnessing new upheavals, changed circumstances are likely to produce new varieties of mental disappearances”. Come dire che quella depauperazione che sperimentammo nella convalescenza dal Novecento sta ora conoscendo una nuova recrudescenza, di cui le difficoltà di pazienti (e naturalmente degli analisti) ad avere una vita interna, o come icasticamente osserva Kristeva, a farsi un’anima (la quale non è un dato di natura ma l’esito di una peripezia di vita) sono testimonianza. E Lassmann individua nel migrante la figura cruciale di questa ricaduta, come colui che non ha altra scelta che il pensiero operatorio, avendo smarrito la lingua madre e avendo in molti casi perso dall’infanzia il proprio alveo culturale. E è un peccato che Lassmann, non concettualizzi a sufficienza questo riferimento, essendo il migrante uno di quei casi di singolare-universale, che, come il reduce dal secolo breve, può mostrarci la propria irrimediabile perdita (singolare) proprio come se stesse parlando di tutti noi (universale).

Detto questo Lost to desire rimane un libro eminentemente clinico e in tal senso approfondisce con finezza il paradosso epistemico che la clinica psicosomatica impone, ossia, per dirlo con le parole di Marty, il fatto che, “anche se lo psicoanalista constata uno scarto tra la decifrazione del sintomo nel valore che esso significa, rimane il fatto che la relazione tra l’uno e l’altro è diretta e si situa nello stesso ordine epistemologico. Lo psicosomatista, al contrario, deve fare fronte a una difficoltà più complessa: in effetti, la distanza tra la presa del sintomo in quanto avente valore significante e la sua traduzione aumenta, poiché la natura anatomo-fisiologica del sintomo finisce con il rendere la relazione indiretta e allo stesso tempo epistemologicamente eterogenea”[7]. Tuttavia, proprio il vertice clinico sembra impedire a Lassmann di inoltrarsi nel vero paradosso epistemico della psicosomatica. Non lo aiuta in tal senso il fatto che il testo manchi di un inquadramento della EPP rispetto alla storia della psicosomatica psicoanalitica (dal contributo di Franz Alexander e del gruppo di Chicago, alle ricerche di Otto Fenichel, Luis Chiozza  et. al.), sebbene non manchi un capitolo storico utile a collocarla nella storia della psicoanalisi francese[8]. Certamente una digressione del genere avrebbe aiutato e forse indotto Lassmann ad avvicinare piuttosto che negligere l’aporia di fondo che corrode il cuore della psicosomatica (e in un certo senso anche della psicoanalisi, suo malgrado), ossia l’annoso e aporetico mind-body problem e al quale, ovviamente la EPP non si sottrae [9].

La psicosomatica si colloca infatti come anello tra la psicoanalisi e la medicina, alla congiunzione tra corpo biologico e mente psicologica. Ma è inevitabile che in questo anello si riproduca la stessa scissione di partenza, visto che l’orizzonte categoriale di partenza (l’esistenza in quanto sostanze delle menti psicologiche e dei corpi biologici) non viene messo in discussione. Eppure sarebbe la natura stessa del materiale clinico psicoanalitico a richiedere che il mistero del problema mente corpo, anziché essere il punto dove il pensiero si arresta, sia quello dove davvero il pensiero comincia, se non vogliamo arrenderci alla ideologia del linguaggio (che resta dualista e pensa al posto nostro). In questo senso l’impresa della psicosomatica manca purtroppo il bersaglio. Purtroppo, la passione per le neuroscienze (che a nostra giudizio ha più a che fare con necessità identitarie che con la loro effettiva pertinenza psicoanalitica) ostacola le uniche due operazioni necessarie a avvicinarlo: l’emancipazione dalla superstizione che dietro le parole ci siano le cose e una teoria del segno non dualista all’altezza della sfida che abbiamo davanti (se il linguaggio è pensato sulla dicotomia significante-significato, ossia sul dualismo mente corpo, non abbiamo una speranza di rompere l’incantesimo di un regresso all’infinito dell’argomentazione).

Bibliografia

Cavagna D. e Fornari M. (2001), Il corpo negli sviluppi della psicoanalisi, C.S.E.: Torino

Esposito R. (1993), Nove pensieri sulla politica, Il Mulino: Bologna.

Habermas J. (1985), Il discorso filosofico della modernità, Laterza: Roma-Bari, 1987

Heidegger M. (1946), Lettera sull’umanesimo, in Segnavia, Adelphi: Milano, 1987.

Horkheimer M., Adorno T.W (1944), Dialettica dell’illuminismo, Einaudi: Torino, 2010.

Kristeva J. (1993), Les Nouvelles maladies de l’âme, Fayard: Paris.

Lacan J. (1964), Le Séminaire XI. Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, Seuil: Paris 1973.

Lassmann W, Lost to desire. The Ecole Psychosomatique de Paris and its Encouter with Patients Who Do Not Thrive, Routledge: London, 2022

Marty P., de M’Uzan M. e David C. (1963), L’investigation psychosomatique. P.U.F.: Paris (2° ed. 1994)

Vedi anche: https://www.spiweb.it/event/cpp-l-solano-dalle-malattie-psicosomatiche-al-funzionamento-del-corpomente-nella-relazione-13-11-21/


[1] Cavagna, in Cavagna e Fornari, 2001, p. 80.

[2] Marty et al., 1963, p.10.

[3] Cavagna, cit., p. 81.

[4] Cfr. sul punto, anche J. Kristeva, 1993, pp. 15-19, che parla, al proposito, di inibizione fantasmatica.

[5] Lassmann, 2022, p. 11.

[6]L’elenco sarebbe lungo e va dalla Shoa, alla nuclearizzazione di Hiroshima e Nagasaki, dal collasso dell’Umanesimo e della dialettica razionale borghese fino all’impossibilità di negare la violenza intrinseca al dispositivo dialogico e al linguaggio. Su questi punti, rimandiamo indicativamente a alcuni testi chiave della riflessione contemporanea: M. Heidegger (1946), Lettera sull’umanesimo; J. Habermas (1985), Il discorso filosofico della modernità, R. Esposito (1993), Nove pensieri sulla politica, in particolare il capitolo Parola, e naturalmente Adorno e Horkheimer (1944), Dialettica dell’Illuminismo.

[7] Marty et al., 1963, p. XI.

[8] Come molti anche Lassmann, ogni volta che coinvolge Lacan nel suo ragionamento, lo riduce alla classica tesi dell’inconscio strutturato come un linguaggio”, senza tenere conto dell’enorme sviluppo che il pensiero lacaniano ebbe, segnatamente a partire dal Seminario XI. Peccato, perché la nozione lacaniana di Reale, come ciò la cui comparsa impedisce il gesto stesso della simbolizzazione, avrebbe forse aperto a riflessioni interessanti, proprio dal punto di vista della psicosomatica.

[9] Per nostra fortuna disponiamo in Italia dell’eccellente La psicosomatica psicoanalitica: fondamenti e prospettive di Cavagna (in Cavagna-Fornari, 2001) al quale rimandiamo come essenziale complemento alla lettura di Lost to desire.

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