“L’Io criminale. La Psichiatria Forense nella prospettiva psicoanalitica”, a cura di Massimo De Mari
Alpes, 2018
Recensione di Renata Rizzitelli
Il genere umano ha un lato oscuro che ci spaventa e ci affascina. Molti grandi autori, Shakespeare, Poe, Dostoevskij, Flaubert, Simenon e molti altri ancora, hanno fatto intravedere con le loro opere gli impulsi più oscuri degli esseri umani. Freud, nel “Disagio della civiltà”, descrive gli esseri umani come creature dominate da forti istinti aggressivi e passioni primitive che possono portare alla perpetrazione di azioni violente nei confronti dei nostri simili, che sono tenute a freno in maniera imperfetta dalle convenzioni sociali, dall’educazione e dal senso di colpa.
Il titolo stesso di questo interessante volume chiarisce immediatamente come “l’Io criminale” faccia più o meno parte di tutti noi e come la linea di demarcazione dipenda da molteplici variabili, non sempre riconducibili alla personalità eventualmente patologica o deviata. Si tratta di un volume a più voci del quale chi, come estensione del metodo psicoanalitico, è appassionato all’ambito forense e ci lavora, non può fare a meno di pensare che vada a riempire un vuoto che da tempo andava colmato. I vari contributi si incontrano in una sinergia tematica di fondo molto apprezzabile; sono interessanti, diversificati e profondi, soprattutto molto ben radicati nella teoria e nella tecnica psicoanalitica.
Su una base forte, proposta da Massimo De Mari, prendono forma gli altri contributi, qui riconosciamo nomi che corrispondono a serietà e impegno nella psicoanalisi ma anche proprio nell’ambito della criminologia e non solo, ad essi si aggiungono i capitoli freschi e generosi di due giovani studiosi.
Questo volume non è importante soltanto per chi è addetto ai lavori in questo particolare ambito, giuridico, carcerario e nelle separazioni conflittuali, ma in generale per tutti quelli che lavorano per la cura delle persone dal punto di vista della loro mente. Mostra in maniera inequivocabile come la psicoanalisi, in un territorio nuovo per essa, possa dare un contributo sia teorico sia come modello di lavoro prezioso e costruttivo. Mostra un buon esempio di estensione del metodo psicoanalitico e pone in generale due domande cruciali: possiamo chiamare psicoanalisi l’adattamento del metodo a questi ambiti? La psicoanalisi è utile in questi ambiti?
Un punto nodale riguarda il fatto che l’estensione del metodo psicoanalitico in questa particolare area, della quale tratta così approfonditamente questo volume, è anche una realtà quotidiana per tutti noi perché “l’io criminale”, così palesemente presente nei tribunali e nelle carceri, è spesso presente nella stanza d’analisi ed in ambiti dove le misure cautelative che la società ha predisposto non sono mai entrate e mai entreranno in atto: “non si può sempre parlare di patologie mentali ma bensì di fenomeni che si estrinsecano come caratteristiche di personalità che si possono ritrovare anche nelle persone cosiddette “sane””.
Il libro si dipana ad ampio spettro, sugli aspetti sia della vera e propria psicopatologia, con particolare riferimento alla follia criminale ed alla perversione, sia anche delle istituzioni giudiziarie, dalla loro funzione alle varie fasi del processo. De Mari precisa un punto importante, che riguarda il fatto che non sempre si può e si deve parlare di psicopatologia conclamata ma di fenomeni che possono rientrare in “aspetti della personalità”, riconducibili anche a persone cosiddette “sane”; egli mette in luce come “un’apparente normalità di comportamento” possa coesistere con “una visione distorta della relazione da un punto di vista morale ed affettivo”.
Molto importante la capacità degli autori di puntualizzare ed approfondire la funzione ed il significato profondo di terminologie che, in ambito psicoanalitico e del vivere comune, hanno un particolare significato mentre ne hanno un altro in ambito giuridico.
Coniugare il sapere psicoanalitico con quello della legge e dei giudici è cosa ardua ma realizzabile. Per quanto riguarda lo psicoanalista, il portare le proprie competenze al di fuori della stanza d’analisi ed applicarle in contesti così diversificati e inconsueti, corrisponde alla capacità di co-costruire un setting con i vari personaggi con i quali ci si deve di volta in volta confrontare, per riuscire a trovare e mantenere un setting mentale che possa funzionare adeguatamente anche in contesti così diversi dalla routine della stanza di analisi.
La chiarificazione fra la verità ricercata in chiave psicoanalitica, che è chiaramente riferita al mondo interno del paziente ed è quindi la “sua” verità”, e la verità invece ricercata dal Giudice, che è relativa a ciò che le persone agiscono rispetto alla società, costituisce un altro importante punto focale del testo.
Molto interessante, perché costituisce una pietra miliare su questo particolare argomento di riflessione e ricerca, è la definizione di Gino Zucchini sul giudice e lo psicoanalista, l’uno imparziale, l’altro neutrale, laddove neutralità non corrisponde ad indifferenza ed entrambi sono garanti della “dicibilità”, seppur esplicitata con linguaggi diversi, di entrambe le posizioni del conflitto che, lasciato a sé stesso, può portare alla tragedia. Il giudice e lo psicoanalista hanno la possibilità di ripristinare e restaurare questo “parlamento” sospeso. Nel testo sono presenti i contributi di altri studiosi; Alfredo Verde chiarisce quale sia la situazione della criminologia clinica in Italia, Cosimo Schinaia offre un interessante approfondimento su un altro tema attuale e controverso : Mass media e pedofilia. Cristina Saottini si addentra nel delicato territorio dell’adolescenza, descrivendo l’ordinamento penale che riguarda i minori e la possibilità di avviarli e realizzare con loro un vero e proprio training per la responsabilità. Oltre a ciò, sono presenti contributi che riguardano altre realtà quale quella del regno Unito.
Il libro mette in luce le grandi possibilità che la psicoanalisi ha di mettere in campo potenzialità terapeutiche in ambiti diversificati, per esempio nel bel capitolo che riguarda “Il trattamento del malato di mente in carcere”, consentendo di comprendere come la lettura psicoanalitica si possa rideclinare in questo contesto e mostrare così le sue enormi potenzialità terapeutiche.
BIBLIOGRAFIA
Arendt, H. (1963), La banalità del male . Eichmann e Gerusalemme . Feltrinelli Milano
De Bertolini, C. (2015), Evidenza, scienza e relativismo in psichiatria, psicoanalisi e psichiatria forense. Armando editore
Fornari, U.(2004) Trattato di psichiatria forense, Torino U.T.E.T.
Freud, S. (1929) Il disagio della civiltà, OSF , vol. 10, pagg. 553-630
Kernberg, O.F. (1993) Aggressività, disturbi della personalità e perversioni. Cortina Milano
Pisapia, G.V. (2000) Parole di criminologia . Edizioni Decembrio
Robert I. Simon (1997) I buoni lo sognano i cattivi lo fanno. Raffaello Cortina Editore