Une perspective écosystémique et métapsychologique
di Jean-Paul Matot
(Il Sé-Disseminato. Una prospettiva ecosistemica e metapsicologica)
Etudes psychanalytiques
L’Harmattan, Paris, 2020
Recensione a cura di Chiara Rosso
“Antropocene” è un termine emerso negli anni ’80, oggi in voga, che misura il peso dell’uomo sull’ecosistema globale e indica una nuova era geologica. (Fu il titolo di una mostra suggestiva al MAST, l’anno scorso a Bologna). La radice anthropos ricorda la centralità della posizione umana, sembra dunque difficile immaginare un’antropologia non antropocentrica, eppure questo è il tema sviluppato dallo studioso Philippe Descola brillante erede della cattedra di antropologia di Levi Strauss e da quest’ultimo definito “pazzo” per le sue teorie paradossali e complesse. E’ necessario partire da Descola per comprendere Le Soi- disséminé di Matot (la prefazione è di Golse), che in quest’opera prosegue la riflessione sull’intreccio tra psicoanalisi ed ecosistemi già iniziata nel suo libro precedente L’Homme décontenancé (L’Harmattan, 2019).
Se la dicotomia natura-cultura è solo uno dei modi di intendere il reale, Descola suggerisce altre definizioni concernenti il rapporto tra l’umano e il non umano (OLTRE Natura e cultura, Seid, 2014) e propone un approccio nuovo ai modi di ripartire continuità e discontinuità tra l’uomo e il suo ambiente. Egli indica quattro ontologie che raggruppano gli “esistenti” dai tratti comuni ai vari continenti: naturalismo, animismo, totemismo e analogismo. Non mi dilungo ulteriormente sulla ricerca di Descola che alterna punti illuminanti a pieghe di oscurità, in questa sede osservo la connessione tra il suo pensiero antropologico, in qualche modo “sovversivo”, e l’ottica di Matot che studia una possibile applicazione psicoanalitica. Sulla scia di un processo “decostruttivo” caro ai due autori, Matot reinterroga i paradigmi ontologici della psicoanalisi e colloca il soggetto umano come parte integrante di un sistema ecologico globale. A fronte di una crisi ambientale odierna sempre più seria egli ricorda come già negli anni ‘60 Harold Searles richiamava, senza troppo successo, l’attenzione della comunità psicoanalitica su questi temi. Le cose stanno lentamente cambiando, ne è testimone tra l’altro l’interesse crescente per questi aspetti da parte di colleghi della nostra Società (Lombardozzi, Vivere Sopravvivere, Alpes, 2018, Schinaia, L’inconscio e l’ambiente, Alpes, 2020).
Matot è influenzato dal pensiero di Winnicott, di Bion e da quelllo di autori contemporanei tra cui Roussillon; egli ha il pregio di spaziare tra varie teorie psicoanalitiche toccando temi pluridisciplinari incluse le teorie dei sistemi viventi autopoietici ( Maturana e Varela) e delle catastrofi (René Thom). Tuttavia la ricchezza dei temi affrontati rappresenta l’interesse e il limite di questo libro, di non facile lettura. Il concetto del Sè disseminato si iscrive all’interno di una teoria del Sé più allargata che include la molteplicità d’involucri e si oppone alla localizzazione della psiche; è dunque opportuno pensare a una diffrazione del Sé di là dal semplice involucro corporeo. Matot riprende il pensiero del biologo francese Jean-Claude Ameisen secondo cui: ” L’idea stessa di funzione è indissociabile dalla nozione di contesto” e si concentra sui legami e sul ruolo dell’interfaccia (la cesura di Bion). Egli aspira a una metapsicologia che non sia più racchiusa all’interno della frontiera disegnata dell’abituale accoppiata soggetto/oggetto, come precisa Golse (p.13). Negli ultimi anni il campo di osservazione privilegiato delle neuroscienze e della biologia è rappresentato dalla relazione tra gli organi; il cervello ad esempio, non è più considerato solamente come un organo a sé ma pensato strettamente interdipendente dal contesto corporeo.
Pensiamo del resto allo sviluppo crescente dell’intelligenza artificiale e delle neuroscienze computazionali (neuroscienza e matematica) che ci conducono a speculazioni (ancora!) fantascientifiche relative all’estensione della vita fuori da un supporto biologico. Vedi l’idea riguardo al minduploading, il trasferimento di una copia della mente dal cervello a un sostrato non biologico (O’Connell, Adelphi, 2018), e quella relativa all’“estensione del cognitivo” sviluppata dagli studiosi Damiano e Dumouchel (Cortina Raffaello, 2019).
L’attenzione di Matot al legame rievoca l’odierna fortuna del concetto d’intersoggettività e le riflessioni di molti studiosi tra cui quelle di Kaes sulla topica dei legami e la loro rappresentazione intrapsichica. L’autore è particolarmente interessato al pensiero di Winnicott espresso in un articolo del ’52, L’angoscia legata all’insicurezza (Winnicott 1971), in cui emerge l’idea che il centro di gravità dell’essere non si costituisca a partire dall’individuo ma si trovi nella struttura ambiente-individuo. Nello sviluppare ulteriormente questa posizione winnicottiana inclusa la teoria sulla transizionalità degli spazi, Matot sottolinea la costante presenza di un parallelismo tra la diade madre-bambino e il rapporto uomo-mondo. Egli osserva la traslazione fluida da uno spazio all’altro e si interroga sulla distruttività che infiltra le zone di non-differenziazione. ”L’amore crudele primario” di Winnicott (p.54) si confronta anche con le capacità della madre-ambiente di sopravvivere a tale distruttività.
Assieme a Luc Magnenat, ( La crise environnementale sur le divan, Press, 2019) Matot nota come la posizione psicoanalitica odierna oscilli tra il diniego e la consapevolezza della crisi ecologica, immersi come siamo in una sorta di “melanconia ambientale” e, a differenza dall’impostazione freudiana, la realtà esterna non può più essere considerata come un’invariante. In sintesi Matot ribalta l’abituale rapporto io-mondo/soggetto-oggetto suggerendo un funzionamento psichico secondo tre principi: 1) Dalle idee di Winnicott sull’io-ambiente e quelle di Searles sull’ambiente “non umano”, egli immagina un primo livello che include il non-differenziato e l’adattabilità della psiche a questo fondo informe, 2) in conformità a questo fondo non-differenziato si sviluppano turbolenze sia nell’ambiente che nella psiche (considerati interdipendenti tra di loro) 3) la successione di queste turbolenze produce una pluralità di involucri psichici o di configurazioni psichiche che vanno a costituire il Sé disseminato.
Il libro a sua volta si compone di tre parti: una prospettiva ecosistemica iniziale, un capitolo metapsicologico e una parte finale che illustra sistemi dinamici complessi e quindi le caratteristiche del Sé disseminato. Il pensiero di Matot che affonda le sue radici nell’humus della citata paradossalità di Descola ha anch’esso qualche tratto “sovversivo”. Pur fondandosi sulle teorie psicoanalitiche classiche, Matot ne propone una sostanziale revisione topica e già di per sé quest’operazione può risuonare provocatoria e sollevare dubbi o, al contrario, indurre una certa fascinazione. Egli immagina un’istanza più allargata dell’Io freudiano che tenga conto di uno spazio disseminato non limitato dall’involucro corporeo in seno al quale si sviluppano diversi tipi di funzione umana. Sulla scia delle concettualizzazioni di Anzieu, Kaes, Bleger e Leroi-Gourhan relativa agli involucri gruppali, istituzionali e tecnologici, la prospettiva dinamica di una pluralità di involucri psichici mi sembra rappresenti l’idea forte di Matot il quale, come recita la presentazione in quarta di copertina, tenta di legare ai livelli collettivo e societario l’autodistruzione ecosistemica alla complessità crescente del mondo.