Parole chiave: Psicoanalisi; Freud; Perturbante; Hieimlich.
Figure del perturbante
A cura di Chiara Rosso, Luca Bruno, Olimpia Sartorelli
(Pendragon ed., 2024)
Recensione a cura di Simona Pesce
Quello che avviene soltanto una volta
è come se non fosse mai avvenuto.
Se l’uomo può vivere solo una volta
è come se non vivesse affatto
(Milan Kundera)
Un miracolo, basta guardarsi intorno:
il mondo onnipresente
Un miracolo supplementare,
come ogni cosa: l’inimmaginabile è immaginabile
(La Fiera dei Miracoli, Szymborska)
Figure del perturbante è un libro che raccoglie i lavori pensati per il XVI Colloquio Italo-Francese tenutosi a Napoli lo scorso Giugno 2023. Numerose sono le voci raccolte nel volume, due di analisti francesi, le restanti appartengono a psicoanalisti di tutta Italia. La polifonia che il volume offre riesce nell’intento di delineare l’immagine composita e complessa propria del perturbante. Il libro è diviso in cinque sezioni tematiche. Mostrerò gli aspetti che differenziano i lavori, che sono tra loro ben collegati da un filo conduttore che spinge ad andare avanti a leggere come in un avventuroso racconto.
Chiara Rosso introduce i primi tre lavori della sezione: Orientamento/Disorientamento. Quale perturbante? Qui il perturbante è sperimentato nel disorientamento dello spazio e del tempo.
Tebaldo Galli parla del senso di smarrimento che si annida nel viaggio. “Il carattere perturbante dell’esperienza sembra consistere proprio in questa prossimità di uno spazio noto e rassicurante a una dimensione sconosciuta e paurosa fin quasi all’orrido (unheimlisch) che scompare quando riappare ciò che è ben conosciuto (heimlisch)”. Grazie a un racconto clinico il vissuto del perturbante è collegato alle vicende del rapporto primario, così come altri autori del libro hanno indicato. Viene ripreso il pensiero di Fachinelli autore che ha studiato, attraverso la definizione di un’area claustrofilica, la co-identità tra infante e materno primario. Il perturbante quindi sembrerebbe deputato ad accogliere esperienze ancora non conosciute derivanti dell’epoca perinatale, sottolineando l’aspetto del perturbante che avvicina l’indifferenziato mentre Maria Moscara propone di ricercarequali fattori della realtà esterna favoriscano il trasformarsi dell’heimlich in unheimlich portando al ritorno del rimosso. Rifacendosi alla situazione estrema della pandemia SARS-CoV-2 l’autrice propone di considerare lo spaesamento e il difficile riconoscimento della realtà esterna, unito ai vissuti di morte e di pericolo della sicurezza personale, come situazioni favorenti il perturbante. Attraverso il racconto di un’esperienza personale, riemersa nell’ascolto analitico dei vissuti di spaesamento di una paziente, Maria Moscara si chiede se le funzioni sintetiche dell’Io e il senso di sicurezza non sia modificato dalla portata traumatica di esperienze collettive e individuali di spaesamento spazio-temporale. Se diminuisce così la funzione sintetica dell’Io diminuisce anche l’efficacia della rimozione, il discorso di Moscara non perde di vista l’importanza di collegare la debolezza di un Io non ancora organizzato alla precarietà della rimozione (L Russo, 2021). Bella la sua chiusura che mostra quanto il lavoro analitico abbia un effetto sull’elaborazione dei vissuti per entrambi i poli della coppia, soprattutto rispetto a quegli attimi emotivi che sfuggono troppo rapidamente all’elaborazione. Ed è Cosimo Schinaia, con originalità, a trattare del perturbante connesso alle immagini ambientali catastrofiste a cui siamo sottoposti. La perdita di fiducia rispetto alla natura, che si ripresenta con caratteristiche invasive e imprevedibili, scardina il ciclo naturale a cui eravamo abituati. La chiave di lettura di questo cambiamento è dato, secondo l’autore, dalla risposta umana all’utilizzo massiccio delle immagini. “L’esterno si riversa dentro la persona attraverso una vera e propria inflazione del visuale in cui il confine tra animato e inanimato viene a mancare”. Il continuo utilizzo di immagini catastrofiche arriva a determinare una triste assuefazione e allo stesso tempo ferma la realtà in una spettacolarizzazione immodificabile. Il lavoro si conclude con un appello alla responsabilità di utilizzare modi comunicativi propositivi delle tante notizie sui cambiamenti e i disastri ecologici.
Luca Bruno nell’introdurre la seconda parte del volume, dal titolo il perturbante e l’alterità, intreccia i quattro lavori che osservano il perturbante nell’alterità da due vertici tematici: l’identità e la sessualità. Gemma Zontini, dal versante dell’identità, collega il perturbante al ritorno dell’onnipotenza infantile e parla del perturbante come inverso di quel sentimento oceanico a cui si riferiva Freud come a una beatitudine estatica determinata dalla scomparsa di confini tra sé e altro. Inevitabile il ricorso al pensiero di Lacan nella descrizione della formazione eterologa del soggetto e all’importanza dell’immagine che lo sguardo materno ha sul sé, e il riferimento alle parole di Lacan per differenziare la realtà, che è ciò che della materia può essere immaginato, dal reale che è ciò che resta escluso dal processo di simbolizzazione. Anche Silvana Lombardi tratta il tema di questa sezione dal punto di vista dell’identità. Il rapporto tra soggetto e alterità, che può essere all’interno dell’esperienza del familiare o del completo estraneo, è condizionato all’immaginario collettivo. L’autrice si addentra in questo tema, citando Lacan, per poter parlare di come la maggior distanza dal fronte dell’alterità rischia di lasciare spazio a una deformazione del nucleo di verità dell’altro dovuto alla potenza dell’immaginario collettivo dell’epoca. L’autrice parla di una situazione clinica nella quale il perturbante abita in una gravidanza ottenuta con una fecondazione eterologa. Il rischio di una crisi identitaria della paziente in questione si avverte e si connette ad aspetti dell’alterità del feto portato in grembo. I temi della femminilità che non si sovrappone alla maternità sono qui trattati.
Lucia Fattori e il gruppo di studio “Psicoanalisi e differenze di genere” chiudono questa sezione parlando dell’importanza per l’identità del soggetto dell’integrazione della sessualità. Lucia Fattori, in modo chiaro ed efficacie, collega il vissuto del perturbante al tema del segreto e del fantasma della scena primaria nell’infanzia. Viene ripreso Racamier con il tema del “segreto delle origini”. La Fattori ci dice quanto sia importante il tipo di elaborazione infantile della scena primaria e come le fantasie infantili si strutturino e fondino il fantasma originario. Questo discorso porta ad un riuscito parallelismo tra il segreto nella novella di Hoffmann, contenuta nello scritto del perturbante di Freud, e il segreto rappresentato da personaggi che nella nostra cultura occidentale portano i doni ai bambini come Babbo Natale, la Befana e S.Lucia. La sua ipotesi è che tali personaggi dell’infanzia rappresentino un’elaborazione riparativa del segreto legato ai “misteriosi genitori della notte”. Originale è l’accento posto dalla Fattori sul rapporto tra segreto e rimozione della scena primaria all’interno del discorso freudiano nel Perturbante.
Il gruppo Psicoanalisi e differenze di genere tratta il tema dal vertice dell’adolescenza. Il vissuto perturbante dell’analista, tipico del lavoro con pazienti con varianze di genere, è legato alla dissociazione tra sesso biologico e identità di genere evocata dal paziente. Il corpo è qui descritto come l’oggetto che maggiormente permette di oscillare tra il familiare e l’estraneo determinando il vissuto del perturbante. Ripercorrendo le teorizzazioni di Raymond Cahn il perturbante si colloca in un confine mobile tra rottura e nuovo legame all’interno del processo adolescenziale. Le riflessioni teoriche fin qui descritte si ritrovano nell’interessante caso di un adolescente che subisce un grave trauma nel corpo e che arriva alla scelta transgender. La frase: “non si sceglie il corpo in cui si è nati, ma si può scegliere chi si vuole essere se non si coincide con il corpo in cui si nasce” esplica bene la complessità clinica con cui il gruppo si confronta, complessità dovuta ad un duplice perturbante dato dall’inscrizione della sessualità nel corpo pubere e dalla posizione del genere di questi ragazzi dentro il contesto familiare.
Partendo dallo studio pubblicato nel ’33 da Maria Bonaparte sullo scrittore Adgar Alan Poe Olimpia Sartorelli apre la terza parte del volume che si occupa del perturbante del lutto. Qui l’esperienza del perturbante è legata al lutto irrisolto della madre amatissima dallo scrittore e determina una forte influenza sulla strutturazione identitaria del soggetto. Il verso di Poe “mai ho potuto amare se non dove la morte mescolava il suo respiro a quello della bellezza” sintetizza il tema dello scritto ed esplica il ritorno nelle opere dello scrittore di amori verso “donne esangui irrimediabilmente destinate a scomparire”. Il perturbante prende quindi forma dell’unione profonda tra familiare e morte, sintetizzato dalla figura dell’amata fantasma, e descrive l’aspetto dello studio in cui Freud parla proprio dell’incontro sempre inaspettato con la morte. Il lavoro si conclude con la vicenda clinica di un giovane paziente immerso in un legame fusionale e immaginifico con una madre morta che non può essere perduta. Il lavoro di Luca Bruno si pone in continuità con il tema del lutto inconcluso e il senso del perturbante. L’autore descrive l’evoluzione di una vicenda analitica di una giovane paziente alle prese con l’elaborazione del rapporto con il materno che si trova a doverne affrontare la morte reale. Il perturbante è dovuto alla percezione della presenza della madre poco dopo la morte reale. Un sintomo pseudo-allucinatorio della giovane paziente riporta in scena la madre morta per poi, lungo l’analisi, giungere alla trasformazione in una scena onirica. E ancora vediamo come il perturbante sia legato al ritorno di desideri infantili rimossi verso l’oggetto primario. L’incertezza intellettuale, così tipica del perturbante, è qui riproposta nel sintomo pseudo-allucinatorio in cui il confine tra fantasia e realtà si fa labile. Il lutto più complesso sembra essere quello dell’oggetto materno primario proprio per una predominanza di un oggetto primario utilizzato in chiave narcisistica, per l’esistenza di un oggetto materno onnipotente, o ancora per i vissuti intrisi d’intensa ambivalenza affettiva. Francesca Mancia chiude la terza sezione del volume ritornando sull’indifferenziato e il perturbante. L’autrice espone l’idea che il perturbante sia alla base del dispositivo analitico come spinta a comprendere qualcosa di ancora poco conosciuto. Ciò che ritorna come perturbante, da grandi come da piccoli, ha la spinta per muovere il soggetto verso l’inesplorato. Nei vari esempi clinici riportati nel lavoro il perturbante è collegabile a questa area del poco conosciuto e del poco rappresentato che il percorso analitico grazie allo scorrere del tempo può far emergere. La Mancia cerca di delineare gli aspetti costruttivi e creativi di questo processo da quelli distruttivi.
Maria Luisa Califano introduce la quarta partedel libro che i curatori hanno intitolato Le lingue del perturbante e ci ricorda che l’espressione Das Unheimlich imbriglia insieme la “familiarità sconvolgente” a “un’alterità alienante”. Anche in questa sezione del libro tre lavori parlano dell’ampiezza delle possibili traduzioni, linguistiche e semantiche, del termine tedesco scelto da Freud. Lo scritto di Riccardo Galiani cerca nelle traduzioni del termine freudiano Un-heimlich la storia del concetto e la molteplicità delle sfumature di significato. L’autore attraverso una sofisticata analisi delle scelte traduttive, più che vere traduzioni, del termine un-heimlich nelle varie lingue ne descrive la molteplicità di contenuti. Partendo dall’inquiétant étrangeté, traduzione scelta nel 1933 da Maria Bonaparte, Galiani passa a parlare della traduzione in inquietante estraneità dell’italiano fino ad arrivare alla scelta del termine perturbante in cui i campi semantici di straniero e estraneo si sono persi così come il riferimento alla rimozione. L’autore vuole dare all’un-heimlich freudiano il valore di strumento concettuale utile a mantenere quella condizione data dalla psicoanalisi che nell’elegante conclusione del capitolo descrive come “di resistenza alla espulsione dell’altro”.
L’idea fertile che ci sia una parziale incompatibilità di lingue tra quella dell’inconscio e quella letteraria è l’incipit dello scritto di Roberta Guarnieri. Il lavoro approfondisce il senso della scelta di Freud di ricorrere a testi letterari di Theodor Amadeus Hoffmann, scelta che si ritrova in diversi importanti scritti freudiani. Hoffmann è stato definito dai germanisti come un autore che segna il superamento dello spirito romantico e occupa un posto particolare all’interno della letteratura tedesca in cui lo “smarrimento prenderà il posto di quell’eterno struggersi dell’anima”. Guarnieri descrive un altro ambito di perturbante linguistico che è quello proprio del mondo ebraico della Vienna di Freud, mondo radicato nella lingua tedesca senza poter appartenere totalmente alla cultura tedesca. Del resto, ci ricorda l’autrice, il tedesco era la lingua madre di quella generazione di ebrei i cui padri parlavano altre lingue est-europee oltre all’yiddish o l’ebraico. Quindi lo smarrimento nel familiare è anche un vissuto linguistico culturale. Su questa scia si colloca il contributo di Virginia De Micco che si apre con una riflessione sull’area della specularità e della differenziazione tra sé e sé contattando quella “zona sconosciuta che sono io ma che non mi appartiene (de M’Uzan). Nella sua visione l’esperienza migratoria, tipica della nostra contemporaneità, interseca campi psichici della stranierità e della specularità e avvicina quell’area primordiale che Tobie Nathan chiama il doppio culturale, che dovrebbe far coincidere aspetti del mondo interno e del mondo esterno, ma che in queste situazioni viene messa in tensione tanto da non ritrovare l’esperienza del gemello nell’esterno. Per la Di Micco la migrazione può avere una funzione specchio di aree straniere di sé. “Le aree straniere di sé si configurano come aree profonde, non soggettivate e non soggettivabili, che possono essere incontrate paradossalmente solo attraverso una superficie riflettente, uno specchio che ci rimanda quanto di più inatteso il nostro stesso volto porta”. Guardarsi nello specchio dello straniero costringe a vedere qualcosa di insopportabile e rimanda alla qualità perturbante. Come diceva Kristeva l’inquietante estraneità non si colloca nell’esteriorità ma in un familiare potenzialmente contaminato di strano. “L’altro è il mio proprio inconscio” (Kristeva, 1990).
Olimpia Sartorelli introduce la quinta ed ultima parte del volume che sviluppa il rapporto tra doppio e perturbante. Sartorelli a ragione afferma che “forse proprio il dispositivo psicoanalitico nel suo svolgersi può ridurre lo sdoppiamento alienante, permettendo di riconoscere quanto di sconcertante dell’altro di fatto ci appartiene”. Nel lavoro di Lucio Russo il doppio, che è una costruzione psichica, viene declinato in due modalità, un doppio strutturante e uno destrutturante. Tutto il suo discorso è centrato sul processo di strutturazione dell’Io sulla base all’eccesso di presenza originaria dell’Altro. I due processi descritti, uno progressivo e uno regressivo, dipendono da come l’infant riesce a elaborare la perdita dell’oggetto durante la crescita psichica. “Il primo, progressivo, fondato sull’Eros e sul legame, conduce alla rimozione e alla formazione dell’Io tramite il rispecchiamento nello sguardo dell’Altro, passando attraverso l’esperienza difensiva del doppio strutturante, alter ego allucinatorio, che prepara la differenziazione. Il secondo processo regressivo porta al rigetto e alla perdita dell’Io, che non riesce a formarsi in quanto precocemente occupato dal fantasma dell’Altro”. Tutto il discorso metapsicologico sul doppio e sul sosia nasce dalla complessa strutturazione dell’identità e su quanto sia travagliato il processo di acquisizione dell’Altro, che originariamente è presente in modo sbilanciato rispetto all’impotenza infantile. “La duplice posizione originaria dell’Io, di passività nei confronti della forza pulsionale dell’Es (…) e di dipendenza dall’amore dell’Altro (…) fanno del processo di formazione dell’Io un percorso sempre a rischio della perdita e della catastrofe narcisistica. Questo spiega la posizione difensiva dell’Io, perseguita in particolare dalla rimozione. La debolezza dell’Io, non ancora organizzato, rende la rimozione precaria e fluttuante. Da qui il ritorno del rimosso. Anche per Bernard Chervet il Perturbante ha la possibilità di far riflettere sul destino umano perché si collega al lutto non elaborato dell’oggetto che arriva a ossessionare l’Io. Ritroviamo nel suo discorso la metapsicologia delle identificazioni narcisistiche strutturanti, identificazioni che si possono dividere in due tipi: l’identificazione con i lutti elaborati dei genitori e quella con i lutti non elaborati. Molto pregnante è l’intuizione di questo autore che considera l’identificazione con il lutto non elaborato dei genitori come porta d’accesso al doppio. Partendo dai versi dello scrittore Romain Gary “io mi sono sempre stato un altro” Martine Pichon-Damesin si interroga su come il soggetto tenti di padroneggiare il “noto di lui soltanto”. La definizione di se stessi lotta con le spinte regressive del narcisismo e della fusione. Non va dimenticato che la lunga riflessione di Freud sul Perturbante, nata prima della pubblicazione dello scritto del 1919, viene completata nel momento in cui Freud elabora due teorie pulsionali sul narcisismo (1914) e sulla pulsione di morte (1921) e ne porta al suo interno entrambi gli echi. La storia clinica presentata nello scritto di Pichon-Damesin ci parla del doppio come ritorno dall’esterno di un elemento del passato, l’effetto è che un elemento estraneo del presente si unisce ad aspetti del familiare dimenticato. Il terreno clinico della storia della paziente, chiamata Adèle, è molto dettagliato e cattura l’esperienza inquietante che sorprende analizzando e analista, l’autrice descrive l’attualizzazione di questo movimento all’interno della dinamica trasfert-controtransfert e mostra le possibilità evolutive di tale momento. Il Perturbante sperimentato nella relazione analitica a volte può permetterci di contattare il residuo dell’infantile indifferenziato e di ricollegarlo al movimento del processo psicoanalitico. E’ Sarantis Thanopulos a chiudere questa sezione del libro. Il suo discorso parla di familiare e di famiglia come luogo che contiene spinte opposte. La famiglia può essere un mondo chiuso in sé, inaccessibile, portatore di una complicità incestuosa così come il familiare è intriso di elementi indifferenziati. L’impossibilità di mantenere le differenze è legabile ai lutti non risolti, per Thanopulos vi è una familiarità aperta al mondo, che può attraversare i lutti e riconoscere le differenze, e un familiare che si ritira dal mondo che non riesce a adempiere a questo compito. Nell’ambito della riflessione sul significato del doppio e del sosia l’autore rilegge il testo freudiano e mostra come vi sia un mutare del suo senso dal periodo del narcisismo primario in avanti. L’effetto perturbante lo crea il ritorno del rimosso che risale alla prima fase di separazione tra sé e l’altro. “Nell’ambito di questa definizione il sosia non è più una delle forme del perturbante ma fa parte del suo fondamento” tra quello che l’autore chiama il passaggio dal tramonto del narcisismo primario all’orlo della melanconia.
Concludo con le parole di Chiara Rosso per cui il perturbante è legato alla necessità di accettare l’inquietante, accettare di perdere i punti di riferimento e di tollerare le nebbie come nel paradosso sull’identità di Racamier in cui “l’Io si trova nel momento in cui si perde”.
Bibliografia
Kristeva J. (1990) Stranieri a noi stessi. L’Europa, l’altro, l’identità, Roma, Donzelli, 2014.
Lombardozzi A., Molinari E., Musella R (2024), Forme del Narcisismo. Teoria e clinica nella contemporaneità, Cortina Editore
Racamier P.C. (1992) Il genio delle origini, Milano, Raffaello Cortina Editore
Russo L. (2021). Essere e divenire. Identità e loro vicissitudini. Riv. Psicoanal., 67, 3, 705-717