La situazione psicoanalitica come campo bipersonale
Milano, Raffaello Cortina Editore, pp. 206 , (2011)
Recensione di Giorgio Mattana
E’ molto utile e opportuna questa nuova edizione dell’ormai classico testo dei Baranger, punto di svolta della psicoanalisi contemporanea, ultimamente pressochè introvabile nelle librerie. Il libro era stato pubblicato in Italia nel 1990 a cura di Antonino Ferro e Stefania Manfredi, diffondendo nel nostro mondo psicoanalitico il concetto di campo.
L’edizione attuale comprende due nuovi importanti articoli e si giova di una puntuale introduzione di Antonino Ferro che, a vent’anni dalla pubblicazione del primo libro, fa il punto sul concetto di campo e ne indica l’evoluzione e le prospettive future. Ferro non esita a considerare l’introduzione di tale nozione una vera e propria rivoluzione scientifica, equiparabile a ciò che avvenne in fisica con la formulazione della teoria della relatività o con quella del principio d’indeterminazione.
La psicoanalisi, egli sembra dire, dopo l’introduzione di tale nuovo vertice teorico e osservativo, non è più stata la stessa. Il concetto, mutuato dalla psicologia della Gestalt, sebbene depurato della declinazione riduzionistica che le aveva inizialmente impresso il postulato dell’isomorfisimo mente-cervello, aveva già mostrato le sue grandi virtù esplicative in fisica a partire dall’avvento dell’elettromagnetismo, complesso di fenomeni non spiegabili alla luce delle leggi della meccanica classica. Eppure, dalla sua prima formulazione nell’articolo dei Baranger “La situazione analitica come campo dinamico” (1961-62), che figura come secondo capitolo del presente volume, il modello di campo ha conosciuto un’evoluzione notevole e verosimilmente non ancora ultimata. Dall’introduzione di una prospettiva bipersonale per intendere i complessi fenomeni della seduta psicoanalitica, che legava indissolubilmente transfert e controtransfert impedendo di parlare separatamente dell’uno o dell’altro, e dall’ormai storica proposta del concetto di “bastione” come fenomeno resistenziale del campo, non più ascrivibile a uno solo dei due attori della sessione analitica, si è transitati verso un modello sempre più completo e complesso, a partire da quello sviluppo “naturale” della nozione di campo che è costituito dal concetto di “terzo analitico” di Ogden, già largamente implicito nell’idea dei Baranger di una fantasia inconscia di campo. Un concetto, quello di terzo analitico intersoggettivo inconscio, che solo nel riferimento al modello del campo può apparire pienamente legittimo e comprensibile, così come in relazione a esso più intelligibili risultano in parte anche le prospettive relazionali e intersoggettiviste.
Parallelamente, si realizzava l’altro fondamentale momento dell’evoluzione del modello: l’incontro con le idee bioniane di funzione α, elementi e turbolenze β, rêverie e pensiero onirico della veglia, interpretati come strutture e funzioni del campo. Un incontro particolarmente fecondo, anch’esso latentamente presente nelle concezioni originarie dei Baranger, ma sviluppato, esplicitato ed esteso successivamente dallo stesso Ferro, protagonista di spicco di questa ulteriore fase dell’evoluzione del modello, legata ai concetti di “personaggio” e “derivato narrativo”, da intendersi come manifestazioni del pensiero onirico della veglia proprio del campo e della trasformazione “pittogrammatica” che continuamente esso opera sugli elementi β che vi circolano. Sintesi e punto d’arrivo di tale complessa evoluzione è un modello sensibilmente arricchito rispetto alla sua formulazione originale e ancora più decisamente orientato in senso “costruttivo”, dove “le trasformazioni prevalgono sulle interpretazioni” e “le narrazioni assumono un significato trasformativo” (Ferro, p. XVI).
Detto ciò, la lettura del libro si raccomanda, oltre che per la presenza dei capitoli che componevano il “vecchio” volume, come quello, illuminante, sul concetto di trauma psichico infantile collegato alla concezione retroattiva della temporalità dell’après-coup (scritto con Jorge M. Mom), per due nuovi e interessanti contributi: “Processo a spirale e campo dinamico” (W. Baranger, 1979) e “La mente dell’analista: dall’ascolto all’interpretazione” (M. Baranger, 1992). Nel primo, fra le altre cose, viene fatta propria la concezione di “processo a spirale” di Pichon-Rivière, che mette significativamente in discussione l’idea meltzeriana “lineare” che il processo analitico si muova invariabilmente e “ideologicamente”, dall’inizio alla fine, in direzione della posizione depressiva, intesa come suo obiettivo finale. Nel secondo, di fatto attribuibile a entrambi, gli Autori stessi, con uno sguardo al futuro, integrano nella loro teoria alcuni fra i più importanti sviluppi successivi del concetto di campo, che di fatto legittimano e sottoscrivono di proprio pugno, volgendosi contemporaneamente indietro a indicarne i più significativi precursori, come nel caso dell’interessante sottolineatura della genealogia in buona parte “gruppale” in senso bioniano del loro concetto di fantasia inconscia. Il libro ha il merito di riproporre all’attenzione della comunità psicoanalitica la genesi e gli sviluppi di una nozione ormai fondamentale, dall’indubbio potere euristico ed esplicativo e dall’inconfondibile curvatura olistica tipica di tanta scienza contemporanea, che ripropone in nuove forme, fra le altre cose, il grande problema del realismo scientifico: è, quello di campo, “semplicemente” un utile strumento per descrivere nelle sue molteplici sfaccettature la seduta e più in generale il processo analitico, o descrive una realtà più profonda, un’ “essenza” della quale i diversi fenomeni osservabili in seduta sono la conseguenza e la manifestazione?
Dicembre 2011