Parole chiave: Freud, Klein, Psicoanalisi, Riparazione
La riparazione dentro e fuori la stanza di analisi
A cura di M.A. Lupinacci, N. Rossi, I. Ruggiero
(Roma, Astrolabio, 2024)
Recensione di Stefania Nicasi
Interrogata su quale fosse il primo segno della civiltà umana, Margaret Mead rispose: un femore rotto e poi guarito, prova che qualcuno si è preso cura di colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi consentendogli di sopravvivere. Nessun animale infatti resta vivo in natura se ha un arto fratturato. Con questa mossa la celebre antropologa poneva all’origine della cultura un gesto e una relazione: la civiltà ha inizio quando uno si prende cura di un altro riparando un danno. La cultura segna un punto sulla natura.
L’aneddoto è riportato da Nicolino Rossi in apertura al suo saggio nel libro La riparazione dentro e fuori la stanza d’analisi, a cura di Lupinacci, Rossi e Ruggiero, che segnalo all’attenzione di quanti siano desiderosi di imparare sull’argomento, qui trattato con originalità, chiarezza espositiva, dovizia di spunti e notevole acume. Un libro per addetti ai lavori che piacerà anche a coloro che non praticano la psicoanalisi, che magari non metteranno mai piede in una stanza d’analisi, ma che si interessano di tutto ciò che, umano e vivo, rende umana la vita. Lettori che si muovono dentro e fuori la stanza di analisi.
Quello che Margaret Mead pone nella filogenesi, Melanie Klein pone nell’ontogenesi: come per la specie così per l’individuo, l’ingresso nel consorzio umano e nel movimento evolutivo è connesso al tentativo di riparare l’oggetto danneggiato. Danneggiato dallo stesso autore della riparazione: qui la psicoanalisi compie uno scarto sorprendente imprimendo al concetto di riparazione il timbro della responsabilità. Tutto ha inizio non tanto quando si cerca di aggiustare qualcosa di genericamente rotto, ma piuttosto quando si cerca di porre rimedio al danno che si è provocato, in realtà o in fantasia. Non tanto un femore rotto quanto il femore che ti ho rotto. Dove trova il bambino questa spinta a riparare? Nella pulsione di vita, che Melanie Klein pone in tensione con la pulsione di morte, nell’amore che ne è espressione e nelle cure materne, culla della civiltà infantile.
Nel saggio di Adelaide Lupinacci è ricordata la storia del protagonista della commedia di Colette, L’enfant et les sortilèges, musicata da Ravel. La storia è narrata da Klein in un lavoro del 1929 e commentata da Pierandrea Lussana in una nota sulla riparazione pubblicata nella Rivista di psicoanalisi. Un bambino pigro è punito dalla mamma che lo lascia a stecchetto. Furibondo, mette a soqquadro la stanza infierendo sugli oggetti, sullo scoiattolo nella gabbietta e sul gatto. Ma i giocattoli organizzano una rappresaglia insieme con orribili insetti e animali. Nella confusione, lo scoiattolo resta ferito e il bambino si trova a soccorrerlo, sussurrando la parola “mamma”. Stupiti, gli animali si placano e fanno l’elogio del buon bambino mentre qualcuno di loro ripete la parola “mamma”. Osserva Klein che il bambino ha imparato ad amare e a credere nell’amore, proprio e dei propri oggetti per lui.
Ma andiamo per ordine: dopo questo carotaggio, provo a dare conto del libro nel suo insieme in modo che i lettori possano farsene un’idea.
Come dichiarano i curatori nella Presentazione, il libro nasce dalla duplice intenzione di dare risalto a un concetto chiave della teorizzazione kleiniana – un concetto che negli ultimi tempi sembra aver perso in appeal – e di rileggere, ampliare ed estendere questo stesso concetto nelle sue declinazioni possibili sia nella clinica sia nella realtà sociale. Immaginano, e costruiscono, una struttura compatta a imbuto rovesciato organizzando i testi in tre parti, ognuna delle quali preceduta da una breve introduzione.
Nella prima parte i contributi di Maria Adelaide Lupinacci (Riparazione: un concetto e la sua realizzazione clinica); Nicolino Rossi (Riparazione, riparatività, riparabilità. Fattori facilitanti e ostacolanti nei processi riparativi); Irene Ruggiero (“Non è successo niente”. La riparazione maniacale), Laura Colombi (Alle soglie della riparazione: quando la magia è padrona in casa propria); Luisa Masina (Il campo del vasaio. Riparazione e vocazione terapeutica).
Si ricostruisce la storia del concetto, nominato per la prima volta da Klein nel 1921 e se ne esplorano le potenzialità all’interno della psicologia individuale. La riparazione è interrogata come fattore evolutivo e di cambiamento, via di uscita dalla posizione depressiva, movimento all’interno degli scambi madre-bambino, meccanismo di difesa. È descritta nei suoi aspetti fisiologici e patologici, quando si fa onnipotente e maniacale. È collegata alla separazione, al perdono, al lutto, specie al lutto per ciò che non può essere riparato e che è andato perduto per sempre. Il legame con l’amore e con il senso della realtà è messo bene in luce. Ancora, è colta in azione nella stanza d’analisi: nell’atteggiamento di fondo dell’analista derivato dalla sua vocazione alla cura e nei movimenti del paziente che l’analista deve essere pronto a registrare ed accogliere: brevi flash clinici, disseminati nei vari contributi, corredano l’esposizione teorica.
Fuori della stanza d’analisi c’è la vita, della quale la riparazione fa parte, come si diceva in apertura e come insegnava Stefania Manfredi in alcuni saggi fondamentali dedicati all’argomento. Se non aderiamo alla teoria kleiniana – se non crediamo che un bambino molto piccolo abbia una vita mentale così sofisticata, se non crediamo che sia così sadico perché non crediamo nella pulsione di morte – ma ci muoviamo in una teoria delle relazioni oggettuali ispirata a Fairbairn o a Winnicott, cosa ci resta del concetto di riparazione? A questa domanda si rispondeva:
Penso che ci resti la possibilità della riparazione come to be concerned, la possibilità di preoccuparci e occuparci dell’oggetto che abbiamo calpestato per la nostra cecità, per la nostra inavvertenza, per la nostra mancanza di discernimento o magari anche per la nostra rabbia perché frustrati. Credo che il to be concerned per l’oggetto sia la grande riparazione naturale che tutti possediamo in grado maggiore o minore, se non siamo troppo frustrati, se la madre o l’analista hanno saputo fare il “gesto” che ripara, autorizzando e accettando la nostra riparazione (Manfredi, 1994, 146).
La riparazione, dirà, “È soprattutto uno stato della mente e la mente è come un’officina dove si ripara in permanenza, fintanto che a un certo punto il ritmo diventa insufficiente” (Manfredi, 1994, 157; Manfredi, 2008, 61).
La seconda parte comprende i contributi di Sara Boffito (Lo scotch e il mago buono. Riparazioni e personificazioni in un’analisi infantile); Nicolino Rossi e Cesare Zavattini (Riparare il passato, riparare il presente: il lavoro sulla crisi di coppia tra perdono e riconnessione); Giorgio Corrente (Riparare nel gruppo attraverso il lavoro del sogno).
Siamo nell’area dell’estensione del metodo, intesa sia come adeguamento della tecnica psicoanalitica a realtà cliniche particolari sia come applicazione del metodo analitico a soggetti clinici differenti dal singolo individuo: i contributi si cimentano con setting adattati per impiegare il metodo psicoanalitico con i bambini – la psicoanalisi infantile si può considerare la prima grande estensione del metodo freudiano – le coppie, le famiglie, i gruppi.
Anche in questa seconda parte non mancano gli stralci clinici, utilissimi e interessanti. Incontriamo Matteo, il bambino di tre anni che morde a sangue genitori e maestre mentre, nel contributo sulla terapia di coppia, Antonia e Franco sono alle prese col tradimento: una situazione fra le più frequenti, una crisi dolorosa che diventa occasione per ripensare il legame e il suo significato per ciascuno dei partner.
Nella terza parte figurano i contributi di Anna Ferruta (Genocidi e processi di soggettivazione. Auschwitz come paradigma della distruttività del legame); Carole Bebe Tarantelli (Una vicinanza al Tremendo. La riparazione nel lavoro psicoanalitico con donne vittime di tratta e di sfruttamento); Alessandro Garella e Giuseppe Stanziano (Tikkun olam. La riparazione del mondo fra narciso e oggetto. La clinica psicoanalitica della riparazione all’interno del dispositivo disciplinare carcerario);Fabio Castriota (Riparazione e rifugiati);Franca Meotti (La riparazione del legame con gli animali e l’ambiente. Una via verso il biocentrismo); Stefano Bolognini (Perdono comportamentale, perdono interiore).
La lettura della terza parte richiede coraggio. Gli autori si confrontano con i traumi collettivi, da Auschwitz all’inferno carcerario alle donne vittime di tratta e di sfruttamento, umiliate e offese, alle esperienze dei rifugiati e di coloro, operatori e mediatori culturali, che vivono a stretto contatto con lo spaesamento e i traumi, fino alla crudeltà con la quale trattiamo gli animali, nostri simili.
In chiusura della terza parte, ma direi di tutto il libro, il bel saggio di Stefano Bolognini dedicato al tema del perdono, trattato con lucidità e realismo laico e psicoanalitico dove l’autore insiste, come già Simon Wiesenthal, sui limiti del perdono – dunque della riparabilità – e ricorda il monito di John Fitzgerald Kennedy: “Perdona i tuoi nemici, ma non dimenticare mai il loro nome”.
Nel corso della lettura si incontrano tanti esempi di riparazione e tanti ne vengono in mente: l’immaginazione del lettore si popola di ricordi, figure, favole, storie, film, canzoni, bambole sfregiate e amorosamente cullate, lucertole senza coda, uccellini caduti dal nido preso a sassate, tazze col manico rincollato, abbracci, fiori alle vittime, condoni edilizi, matrimoni riparatori: la vita appunto. Ma come la vita non è solo nella coscienza e nella volontà, così la riparazione, specie quella che interessa agli Autori del libro, non è sempre consapevole, concreta e deliberata. È in larga parte inconscia, si svolge a nostra insaputa, spesso di notte, nei sogni – come ricorda Giorgio Corrente. Forse per questo, quando capita di diventarne coscienti, una sorta di commozione ci assale come ogni volta che incontriamo l’amore e la bontà là dove non ce lo saremmo mai aspettati.
Riferimenti bibliografici
Klein M. (1929), Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo. In Scritti 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978.
Lussana P. (2004), Riparazione, in Rivista di Psicoanalisi, L, 1, 2004, 253-264.
Manfredi S. (1994), Le certezze perdute della psicoanalisi clinica, Milano, Cortina.
Manfredi S. (2008), Cambiare rimanendo se stesso, in Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica, 1/ 2023, 43-62.
Wiesenthal S. (1970), Il girasole. I limiti del perdono, Milano, Garzanti.