“La cura psicoanalitica dei casi complessi. Psichiatria e setting psicoanalitico”
di Alberto Sonnino
(Franco Angeli Ed. 2022)
Recensione a cura di Piero Caporali
Esce in libreria il secondo libro di Alberto Sonnino, psichiatra e psicoanalista, ad un anno di distanza dal suo primo lavoro, “Trauma della Shoah, ebraismo e psicoanalisi”. Il volume raccoglie l’esperienza clinica dell’autore sviluppata in un arco temporale di quasi quarant’anni, sui due fronti che gli sono più congeniali: la psichiatria e la psicoanalisi; passioni che, come indica Claudio Neri nella prefazione, non entrano in conflitto tra di loro, ma si rinforzano reciprocamente giungendo attraverso una sinergia, ad un felice completamento che bene si evidenzia nei numerosi contributi clinici generosamente e dettagliatamente esposti.
Il testo è disseminato di idee, osservazioni, articolazioni riunite dal comune obiettivo di poter esplorare in profondità problematiche psichiatriche, in situazioni di notevole impegno e difficoltà, con gli strumenti, i modelli, e le teorie della psicoanalisi.
Il corpo del libro si compone di tre parti. La prima parte, “I casi complessi e le loro famiglie”, si occupa soprattutto di quelle condizioni cliniche che a causa di rischi di agiti, interferenze, difficoltà di vario genere, oltre che per un evidente iniziale quadro di precarietà nell’impostazione della cura, sono state per lo più trascurate dagli approfondimenti della letteratura psicoanalitica. Proprio in considerazione di queste anomalie, l’autore pone una questione preliminare: definire in maniera chiara l’oggetto dell’interesse clinico, ovvero cosa si intende per “caso complesso”. Sonnino definisce caso complesso quello in cui c’è un paziente che fa parte di una famiglia che tende al “mantenimento di equilibri consolidati necessari perché l’omeostasi interna del sistema familiare non venga compromessa, pur pagando lo scotto della patologia del proprio congiunto”.
Pazienti complessi quindi in scenari familiari complessi, dove l’attenzione del clinico va rivolta, secondo l’autore, non tanto alla gravità della patologia implicata, quanto piuttosto al “livello di risoluzione della simbiosi con la propria famiglia o il grado di differenziazione raggiunto dalle figure parentali”, con la frequente evidenza che, all’interno di tali sistemi il paziente si percepisce come una parte non differenziata di quel presunto complesso unitario che è rappresentato dalla sua famiglia.
Particolarmente in evidenza l’esplorazione del livello familiare di partecipazione alla cura che sembra essere, in maniera prevalente, la tendenza a squalificare gli interventi terapeutici, con lo scopo più profondo di preservare la simbiosi ed evitare la colpevolizzazione dei genitori.
Resta centrale l’osservazione sul livello di forza della simbiosi familiare, che Sonnino giunge a considerare un “parametro di severità che informa trasversalmente tutti gli altri criteri”.
Alla luce di questi ampliamenti concettuali l’autore pone una riflessione particolarmente articolata sulla posizione della psicoanalisi, sul suo sostanziale “ritardo” nel riprendere una riflessione iniziata già agli esordi della disciplina, ritardo ascrivibile alla implicita gravità del livello di patologia, al rischio correlato di potenziale deresponsabilizzazione del paziente rispetto ai propri disturbi, oltre che a poter articolare e gestire un modello di cura complesso senza che ciò finisca per interferire con il processo analitico.
La seconda parte del libro, “La psicoanalisi tra ricostruzione e relazione”, affronta il delicato problema del rapporto della psicoanalisi con la realtà storica, con gli aspetti ricostruttivi del lavoro analitico, confrontati con la dimensione relazionale, il tutto sotto l’egida della problematica traumatica, evenienza imprescindibile nei livelli di patologia affrontati. Proprio gli approfondimenti recenti sull’indagare l’area traumatica, indicano come spesso non sia possibile un’analisi diretta e approfondita, pena una rischio di sopraffazione o di sprofondamento in essa.
A partire dalle iniziali oscillazioni di Freud sulla teorizzazione del ruolo degli eventi traumatici e sulle influenze ambientali e familiari nella determinazione della patologia, la proposta dell’autore è quella di poter assumere una posizione duttile e flessibile che permetta una oscillazione tra una prospettiva più relazionale, laddove l’avvicinamento degli elementi traumatici risulta essere difficoltoso, rischioso, difficilmente sopportabile, e una prospettiva maggiormente tesa ad una ricostruzione storica laddove sia possibile utilizzare il transfert come ripetizione del passato rimosso.
Nella terza e ultima parte del volume, Sonnino affronta il problema del doppio setting, condizione che si rivela sempre più frequente laddove la cura analitica si sovrappone ad altri trattamenti a carattere farmacologico o fisico (nella parte conclusiva viene affrontata, in maniera specifica, la concomitanza di trattamenti di psicoterapia analitica e la stimolazione magnetica transcranica in pazienti affetti da varie forme di dipendenza).
Tale campo ha conosciuto, sottolinea l’autore, un’evoluzione sempre più positiva a partire da una posizione problematica da parte della psicoanalisi, rifugiatasi sostanzialmente in una posizione di scetticismo fino ad un atteggiamento di scissione.
Questa evoluzione è stata favorita da vari fattori, il cui principale va individuato nell’ampliamento dei criteri di analizzabilità, grazie all’evoluzione di modelli psicoanalitici che permettono di accogliere pazienti in precedenza considerati inadatti al trattamento analitico.
Ma nonostante le sempre più frequenti collaborazioni a fini terapeutici tra psicoanalisti e psichiatri, e gli importanti contributi pionieristici di alcuni autori citati, condizioni che hanno prodotto un importante avvicinamento delle due discipline, l’autore sottolinea come sia ancora lontana la definizione di linee guida appropriate e condivise per la gestione di un doppio setting, attualmente considerabili in una fase embrionale. Il suggerimento dell’autore si indirizza verso la valutazione delle varie sfaccettature di tale dimensione oltre alla proposta di una lettura metapsicologica dell’azione dei farmaci.
Conclusione
Questo secondo volume di Alberto Sonnino si configura come un contributo importante, coraggioso e originale nell’attuale panorama della letteratura psicoanalitica. Un libro che affronta in maniera diretta e pragmatica varie problematiche dell’ambito clinico che finora risultavano per lo più espunte, ignorate, al più sottaciute dalla psicoanalisi “ufficiale” e che lasciavano pochi temerari soli nella sfida terapeutica. Un testo che segna un punto importante nella volontà di messa in gioco della psicoanalisi nella prospettiva di un ampliamento della sua applicabilità, che l’autore ha cercato di perseguire con tenacia e nel pieno rispetto della sua integrità,