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La cura psicoanalitica con bambini, adolescenti e genitori
Un modello possibile nei Servizi
di Maurizio Stangalino
Con un seminario inedito di Donald Meltzer e Martha Harris
Prefazione di Anna Ferruta
(FrancoAngeli ed., 2021)
Recensione a cura di Maria Pappa
“La cura psicoanalitica con bambini, adolescenti e genitori. Un modello possibile nei Servizi”, di Maurizio Stangalino, è un libro estremamente prezioso nel panorama psicoanalitico contemporaneo, un lavoro ricco e approfondito, che si pone in continuità con un altro libro fondamentale, “La cura psicoanalitica contemporanea. Estensioni della pratica clinica” (2018), curato da Tiziana Bastianini e Anna Ferruta. È proprio Anna Ferruta, nella sua illuminante prefazione al libro, intitolata La cura psicoanalitica ritrovata, a sottolineare come Stangalino, con il suo libro, oltre a rendere fruibile al lettore il testo di un “Seminario ritrovato” di Donald Meltzer e Martha Harris, prospetti un modello “possibile” di cura psicoanalitica “da ritrovare” nel contesto istituzionale dei Servizi per l’età evolutiva. È il modello di cura di Marcella Balconi, basato su osservazione, ascolto, capacità di pensare e utilizzare emozioni transferali e controtransferali, nel lavoro con i bambini, gli adolescenti, i loro genitori e le loro famiglie. Stangalino, che è stato uno degli ultimi giovani allievi di Marcella Balconi, ci accompagna in una dimensione psicoanalitica sorgiva, ritrovata, da continuare a riscoprire nelle sue estensioni. Immerso nell’esperienza clinica dei Servizi di cura di oggi, caratterizzati da “sovraccarico, urgenza, certificazioni”, egli esplora tale realtà avendo come riferimenti modelli di cura basati “sulla relazione, sull’intersoggettività, sullo scambio inconscio, ma anche su una visione del trattamento imperniata sul Servizio pubblico e fondata su una idea-sogno di giustizia sociale prima ancora che di intervento sanitario” (p. 8).
Il libro, scritto in modo chiaro e lineare, oltre ad offrire al lettore il testo di un Seminario inedito di Donald Meltzer e Martha Harris, propone un quadro complesso e articolato della storia della psicoanalisi infantile e della storia dell’approccio psicoanalitico al lavoro terapeutico in età evolutiva, fino agli sviluppi più attuali in neurofisiologia, Infant Research, psicoanalisi relazionale. Attraverso una visione teorico-clinica integrata, l’Autore affronta una vasta serie di temi, riguardanti la psicoanalisi in generale, la psicoanalisi dell’età evolutiva, e le psicoterapie, con una specifica attenzione rivolta all’assetto analitico del terapeuta a lavoro con il paziente, sia nel proprio studio che in ambito istituzionale. Tale attenzione sembra rimandare a quella che Giovanni Hautmann (1982) chiama “funzione psicoanalitica della mente”: quella disposizione mentale dell’analista che ha per fine la realizzazione del lavoro psicoanalitico nella sua specificità. Nelle varie parti del libro c’è una notevole apertura alla cultura psicoanalitica più recente: dal concetto di contenitore mentale di Ogden come spazio nella mente per ospitare altre menti, all’attenzione all’ambiente intersoggettivo trasformativo del Boston Group.
Stangalino sottolinea la specificità “evolutiva” del suo “Modello di cura psicoanalitico con bambini, adolescenti, genitori”, rispetto a quello con gli adulti, che presentano strutturazioni del sé e difese già consolidate. Il suo Modello “possibile”, a mio parere è particolarmente innovativo e originale, soprattutto perché nell’includere l’ambiente e i genitori in accoglienza, osservazione, interazione con équipe multidisciplinare, implica un lavoro fine e capillare con i genitori, oltre che con il bambino e l’adolescente. Come è noto nella letteratura della psicoanalisi dell’età evolutiva, oggi molti psicoanalisti considerano ineludibile il lavoro con i genitori nell’avviare un percorso di cura con un bambino (Lucarelli, Tavazza, 2004). Da questo punto di vista Marcella Balconi è stata una figura pionieristica in Italia, per aver contribuito in modo incisivo alla diffusione della psicoanalisi infantile, così come andava sviluppandosi in ambito europeo, con un crescente interesse per il bambino, considerato anche all’interno delle sue relazioni con l’ambiente e con il gruppo. A partire dal secondo dopoguerra, Balconi profuse il suo impegno per l’avvio dei centri clinici, sul modello delle Child Guidance, che consentissero la presa in carico e il trattamento dei bambini e dei genitori con un approccio psicoanalitico integrato. Inizialmente in contatto con l’ambiente psicoanalitico francese (Diatkine, Lebovici), Marcella Balconi ha poi consolidato un legame scientifico con gli psicoanalisti inglesi postkleiniani, prima con Esther Bick, poi con Donald Meltzer e Martha Harris. Il modello di intervento di Balconi si basa su quello inglese: la costituzione di équipes multidisciplinari, all’interno delle quali le figure (neuropsichiatri, psicologi, operatori sociali), tutti con formazione analitica, siano in grado di accogliere la richiesta di aiuto portata spontaneamente dai genitori, o mediata dal pediatra, dalla scuola, o da altri. L’intervento teorizzato da Balcon si articola in una presa in carico che prevede un primo incontro con la famiglia, un attento ascolto della “storia” del bambino e familiare ed un’analisi clinica osservativa diretta sul bambino e sui genitori. Balconi propone un intervento “ampliato”, che ricorda il modo di operare di Winnicott, utilizzando un “setting variabile”, in grado di accogliere unitariamente genitori e bambino, nello sforzo di “contenere” gli elementi complessi dell’interazione tra i vari attori sulla scena terapeutica, di “ospitare nella propria mente le molte menti che entrano nella stanza (Ogden, 1994) (p. 69).
In Italia, tra gli analisti infantili che hanno progressivamente rivolto la loro attenzione alle implicazioni teoriche e tecniche della presenza dei genitori nel trattamento dei bambini, un posto particolare spetta inoltre a Dina Vallino e a Marta Badoni. Dina Vallino ha concepito il modello della “consultazione partecipata”, ispirata alla Infant Observation, il cui compito è, prima ancora di poter capire il bambino, “tentare di restaurare la caduta di pensiero di genitori dominati dall’angoscia” (D. Vallino, 2002). Marta Badoni (2004) mette in luce la necessità di lavorare anche con i genitori, perché si promuova un’alleanza, che porti a condividere un progetto di cura, soffermandosi sull’importanza di lutti non elaborati dei genitori, che sbarrano “l’accesso al proprio mondo interno, alla persona del bambino e alla sua sofferenza”. Sarebbe dunque indispensabile aiutare i genitori a venire a contatto con il loro “dolore occulto”, affinché il lutto non elaborato non venga affidato al figlio, manifestandosi attraverso un sintomo, e l’ambivalenza verso la cura non diventi così forte da portare a una richiesta di “curare senza curare’. Sarebbe auspicabile realizzare un intervento che predisponga una “situazione analizzante” di ascolto delle comunicazioni inconsce e di spazio per lo sviluppo di soggettivazione del bambino, dell’analista e dei genitori in modo congiunto. La “consultazione terapeutica” presentata nel Seminario di Meltzer e Harris, condotta in un gruppo familiare, in cui un bambino presenta difficoltà a scuola e problemi di comportamento, è emblematica in tal senso, essendo di per sé già centrata sull’individuazione della mancata elaborazione di un grave lutto familiare, e per questo già sufficientemente trasformativa. Meltzer (1980) considera il metodo psicoanalitico “non tanto più solo come una prassi terapeutica ma come un modo di essere che può essere applicato a tutte le situazioni terapeutiche”.
Il titolo del libro scelto da Maurizio Stangalino, La cura con, è volto ad evidenziare la possibilità di sviluppare “esperienze psicoanalitiche”, nell’accezione che ne dà Anna Ferruta (2018) soprattutto nell’ambito dell’età evolutiva, che rappresenta un’area di intervento più flessibile e variabile rispetto ai parametri classici della tradizione. Nel libro vediamo come Meltzer e Balconi condividano una visione del lavoro analitico come dimensione creativa ed “esplorativa”, centrata sulla capacità di osservazione nell’incontro con il paziente, con l’intento di filtrare eventuali elementi “devitalizzanti”, di natura speculativa, sganciati dalla clinica, per conferire un “senso” più pieno alla relazione terapeutica. All’interno della psicoanalisi post-kleiniana e sulla scia del pensiero bioniano, Donald Meltzer e Martha Harris hanno contribuito a un allargamento del campo di intervento dalle relazioni e dinamiche intrapsichiche agli ambiti intrafamiliari e sociali, e in generale a un’estensione del metodo psicoanalitico. Il loro Seminario inedito, posto all’inizio del libro, è il segno evidente di un passaggio cruciale: da un approccio medico-scientifico, che intervista il bambino, con una finalità diagnostica, a un approccio artistico-scientifico, teso all’ascolto e al contenimento. Il modello medico della psicoanalisi è andato infatti modificandosi nel tempo, fino a lasciare il posto a un modello che considera la psicoanalisi come “processo”. Si è andato così affermando un approccio molto più personale del rapporto tra paziente e terapeuta, con una maggiore importanza data al controtransfert. Inoltre si sono andati profilando nuovi concetti, riferibili sia all’analisi tradizionale, sia alle psicoterapie e alle terapie brevi: ad esempio un nuovo concetto di interazione tra paziente e analista che avviene durante la seduta. C’è ora un approccio più “artistico” alla relazione con il paziente, con una visione binoculare dell’analisi, in senso bioniano, in cui si tiene contemporaneamente conto dei processi interni e di quello che avviene anche nella relazione. Analogamente il concetto di consultazione si è trasformato in concetto di consultazione terapeutica e il concetto dell’analisi come setting rigidamente definito, è andato mutando. In modo antesignano Meltzer e Harris prospettano Qualcosa di psicoanalitico, e nel contemplare una vasta gamma di interventi terapeutici, come esito di una consulenza, e nel concepire la diagnosi come una “diagnosi retrospettiva”. Al momento della consultazione le interazioni tra un paziente o una famiglia e l’équipe dei curanti, dà inizio a un processo che ha ad un estremo della scala la consultazione terapeutica, e che può evolvere verso un ampio raggio di possibilità terapeutiche, tra cui quella di un’analisi ad alta frequenza di sedute. Le combinazioni terapeutiche sono tante: il rapporto uno a uno; la terapia uno a due, cioè la terapia di coppia; oppure due terapeuti con la coppia; oppure la psicoterapia della famiglia; oppure un terapeuta che conduce un gruppo, o un gruppo di terapeuti che conduce un altro gruppo. In un approccio terapeutico di questo tipo, la diagnosi si svolge nel corso del processo e non è già data all’inizio. Parallelamente il terapeuta, deve maturare la capacità di adattarsi a diverse modalità di intervento, a seconda di come evolve il rapporto con il paziente e con il gruppo. La “diagnosi retrospettiva” di cui parla Meltzer mostra dei punti di contatto con la “diagnosi di struttura in psichiatria infantile” di cui parlano Balconi e Berrini (1957) in un articolo estremamente interessante, in cui viene messa in rilievo l’importanza, in psichiatria infantile, di pervenire a una diagnosi non basandosi in modo rigido solo su una lettura “descrittiva dei comportamenti e dei sintomi presentati dal bambino, ma sondando le dinamiche evolutive in una prospettiva psicoanalitica”. Si tratta di uno degli articoli più significativi di Marcella Balconi, che viene peraltro riportato in appendice in un altro libro di Stangalino di recente pubblicazione, “Il bambino e la scuola: nel solco di Marcella Balconi. Sviluppo emotivo e apprendimento in un approccio globale” (2019). Balconi precorre una visione dinamica dell’età evolutiva come dimensione “potenziale”, in cui la “struttura” del bambino, che si va formando, è ancora in fieri, “elemento “mobile” e suscettibile di trasformazioni, che inducono ad assumere un atteggiamento prudente, prima di prodursi in rigide e azzardate valutazioni definitive” (Stangalino M., Mittino F., 2019, p. 113).
Nel loro seminario, Meltzer e Harris, in un’ottica profondamente moderna, affermano che l’effetto terapeutico di una consultazione, o di un percorso terapeutico, è dovuto all’atteggiamento analitico, che è quello di provare interesse per il paziente, di saperlo ascoltare, accogliere e comprendere, più che al ricercare la migliore interpretazione possibile da fornire. Inoltre essi evidenziano come caratteristica di rilievo delle Child Guidance che il lavoro con i bambini implichi sempre un lavoro con i genitori, con l’idea che i processi di sviluppo siano qualcosa di molto lento, e che i genitori abbiano bisogno di tempo per maturare una alleanza terapeutica con l’analista. Nel corso della lettura del libro, attraverso uno studio attento e preciso del pensiero teorico-clinico di Melzer e Harris, ci si addentra nel concetto di lavoro psicoterapeutico di tipo psicoanalitico e nelle sue declinazioni. Se all’epoca di Freud era stata in primo piano la preoccupazione per la psicopatologia, e con la Klein l’interesse si era andato spostando verso lo sviluppo, con Bion la preoccupazione centrale è posta sull’ osservazione in seduta: “non preoccupiamoci di desiderare quello che vorremmo che avvenisse nel futuro, ma preoccupiamoci di osservare e di capire quello che sta succedendo ora” (p. 21). Questo è un cambiamento cruciale: dal dover fare qualcosa di molto preciso, dal dare una certa interpretazione anziché un’altra, all’osservare e al pensare al paziente con cui si lavora, sia in psicoterapia, anche nelle terapie più brevi, sia in analisi. Sulla scia del pensiero bioniano, se prima al terapeuta era richiesto di essere la persona che sa ora gli viene richiesto di essere la persona che sa di non sapere. Più in particolare il terapeuta deve essere capace di contenere la sofferenza del paziente, svolgendo la funzione di contenitore, attraverso lo sviluppo di una capacità negativa (Bion, 1970 ) che porti ad una “sospensione del fare”.
Mi sembra che il modello di cura psicoanalitico ritrovato e riproposto da Stangalino ruoti intorno alla possibilità per tutti gli analisti e terapeuti, di confrontarsi con l’infanzia e con il proprio infantile (Guignard, 1996), nonché con la propria adolescenza (Cahn, 2002), in un’esperienza psicoanalitica piena. È un’esperienza psicoanalitica che assume un valore enorme, guardando al futuro nel campo istituzionale dell’età evolutiva, duramente provato dalla criticità del momento storico attuale. Come osserva Anna Ferruta, alla fine della sua prefazione, Stangalino non arretra di fronte alla difficoltà di affrontare uno a uno gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del suo modello nei Servizi. In tal modo egli richiama tutti i terapeuti all’importanza di sviluppare una cultura e un’etica della cura, stimolando una vasta serie di riflessioni e di domande.
Personalmente, leggendo il libro, mi sono chiesta più volte quali possano essere le funzioni analitiche da nutrire e da utilizzare con i bambini e gli adolescenti, gravemente segnati dalla pandemia, che incontriamo quotidianamente nei Servizi e nei nostri studi. Forse non a caso, ad un certo punto mi è venuta in mente la figura del rapsòdo, descritta in modo evocativo, da Maria Luisa Algini (2021), in consonanza con Opus Incertum, di Giuseppe Pellizzari (2020). L’ opus incertum è una tecnica antica, che consiste nell’uso di schegge e frammenti, per comporre figure che appariranno sconnesse e imperfette, suggerite, più che definite. La parola rapsòdo deriva da due verbi: uno che significa “rattoppare, cucire insieme” e l’altro “suonare, fare musica”. Come terapeuti, potremmo avere come riferimento il rapsòdo, colui che rattoppa, che sa cucire insieme pezzi dei canti epici in modo creativo, trasformando in canto il dolore che narrano. Del resto Omero, il rapsòdo per antonomasia, svolgeva una funzione di contenimento essenziale: metteva insieme i fatti del passato, consentendo agli ascoltatori di riflettere e di elaborarli, senza che si generasse troppa incertezza, ansia e sconvolgimento. Tutte queste associazioni sembrano avere a che fare con la specificità e l’imprescindibilità dell’apporto psicoanalitico nei vari contesti di cura con.
BIBLIOGRAFIA
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Vallino, D. (2002), “La consultazione con il bambino e i suoi genitori”, in Rivista di psicoanalisi XLVIII, 2, 2002, Borla, Roma.
Vedi anche:
CMP – Adolescenti al tempo del Covid: La sofferenza, le risorse, le risposte terapeutiche 12/6/21