Ma oggi, ci sarà ancora qualcuno che presuma di sapere come debba essere la sessualità di una persona normale? Su questo “punto”, molto in odore di moralismo, interroghiamo Vittorio Lingiardi, psichiatra e analista di formazione junghiana, ordinario di Psicopatologia alla “Sapienza” di Roma. E’ lui a dire: «La psicoanalisi contemporanea è caratterizzata da un panorama teorico variegato e attraversato da d mande senza risposta. Non sappiamo, per esempio, come le forze biologiche, le identificazioni, i fattori cognitivi, l’uso che il bambino fa della sessualità per risolvere i conflitti dello sviluppo, le pressioni culturali alla conformità e il bisogno di adattamento contribuiscano alla formazione del soggetto e alla costruzione della sua sessualità. Né sappiamo se sarà mai possibile rispondere a queste domande. Quello da cui sarebbe opportuno partire, sempre e comunque, è una declinazione plurale delle sessualità: poco alla volta è la tendenza che va prevalendo, seppure con qualche sacca di resistenza». Si può anche dire che nel passato gli analisti siano stati più realisti del re. Di Freud, che più volte si è riferito all’omosessualità come a «un mistero» o anche a «un problema», e nella celebre Lettera a una madre americana scriveva: «l’omosessualità non è certo un vantaggio, ma non è nulla di vergognoso, non è un vizio, né una degradazione, e non può essere classificata come malattia: noi la consideriamo una variante della
funzione sessuale causata da un certo arresto dello sviluppo sessuale». E senz’altro più conformisti di Jung, così attento ai percorsi simbolici della sessualità, che nella conferenza sul Problema amoroso dello studente pronunciò una sua celebre frase: «Non domandate mai che cosa uno faccia, bensì come lo fa». Lingiardi: «Quando parliamo di “come sono” e di “come amano” gli uomini e le donne, ci troviamo inevitabilmente nel territorio della cultura, del resoconto e della lingua. La teoria psicoanalitica ha invece ecceduto nel generalizzare e universalizzare, presupponendo che mascolinità e femminilità fossero categorie anziché dimensioni. Per molti anni il discorso psicoanalitico sull’omosessualità ha riguardato la sua eziologia, riferibile a un arresto o a una regressione alla fase edipica o pre-edipica, ipotizzando l’esistenza di una linea di sviluppo che tendeva al raggiungimento di un culmine eterosessuale e assicurava la maturità e la salute mentale… è chiaro che l’etichetta dell’immaturità, come quella del narcisismo, per gli orientamenti omosessuali si è andata sempre più rivelando una foglia di fico pseudoscientifica usata per coprire il pregiudizio». Del resto, quanto la psicoanalisi – la ricerca psicoanalitica – può non
essere influenzata dai valori culturali dominanti, dallo spirito del tempo, quanto insomma può davvero sfuggire ai pregiudizi?
Non si sottrae a questa domanda, che a noi sembra di buon senso e lui giudica “insidiosa”, Sarantis Thanopulos, greco di origine, brillante cinquantenne della Società psicoanalitica italiana: «Il lavorodell’analista è costruito attorno alla necessità di sospendere il suo giudizio per restituire la parolaall’interiorità dei suoi pazienti: i cambiamenti nella società e nella cultura tendono a entrare nella psicoanalisi soprattutto attraverso i loro “casi”. E poiché l’ interiorità, in ognuno di noi, trova la sua dimensione più privata nelle sfasature con i tempi della vita, la psicoanalisi è dentro e fuori il suo tempo, rimane sempre “intempestiva”. Del resto, se perfino le idee dei fisici e dei matematici sono in stretta correlazione con la cultura del loro tempo, come potrebbe la psicoanalisi essere immune ai mutamenti culturali, non esserne influenzata?». Quello che invece Thanopulos esclude è un’assenza sospetta di “problematizzazione” quando si parla di sessualità in generale, e di omosessualità in particolare. Quel politically correct che tende a banalizzare, appiattire, e soprattutto dissimulare le diffidenze, il sarcasmo, certe forme più o meno sottili di rifiuto. Dice: «Trovo infondata l’idea che l’erotismo omosessuale sia patologico, ma non mi sembra il caso d’impegnarsi a fare la conta tra gli “innovatori” e i “conservatori”, perché in realtà ogni posizione è legittima e problematizza l’altra. Soprattutto non dimenticherei che un certo aspetto “eretico”, una certa “devianza” dell’omosessualità ha sempre avuto una funzione molto importante: quella di destabilizzare lo statuto normativo della sessualità. Certo, non è possibile inchiodare eternamente gli omosessuali al polo trasgressivo della sessualità, ma bisogna stare attenti – nel passaggio verso la “normalizzazione”- a non perdere di vista il senso profondo delle differenze, a cancellare le tensioni che ci sono. Il nostro mondo interno è abitato da fantasie eterosessuali e omosessuali – per quella bisessualità psichica di cui parlava già Freud. Credo che smettere di promuovere questa dialettica dentro di noi, anche con i conflitti che comporta, sarebbe una semplificazione e un impoverimento della vita interiore». Molto interessante è la posizione di Thanopulos su quella che definisce la componente omosessuale nelle relazioni tra uomo e donna, «laddove – si legge in Ipotesi gay – la
differenza dei sessi è insieme desiderata e ripudiata». Qui spiega: «Lo statuto della sessualità è sempre antinomico perché l’incontro con un altro corpo consente sia di perdere se stesso sia di ritrovarsi. E’ un’antinomia molto accentuata nell’adolescenza, perché la diversità dell’altro attrae, ma ferisce anche, rende vulnerabili, spaventa: la paura è quella di perdersi senza più ritrovarsi. Qui una corrente “omofilica” viene in soccorso dell’eterosessualità, perché smorza e insieme protegge l’incontro con l’altro sesso. Quando però nella vita adulta permane la ferita adolescenziale, nell’incontro erotico tra uomo e donna una certa componente omosessuale può dominare la scena». Più in generale – dice Thanopulos – il vero rischio oggi «è la sempre più diffusa presenza di “autoerotismo” staccato dal resto della sessualità, che colpisce in egual misura relazioni omosessuali ed eterosessuali. In questa deriva, l’altro diventa uno strumento di piacere: non è più un soggetto, non è una persona intera e autonoma, in realtà non ti coinvolge, non può entrare nella tua vita». Il vero spartiacque nella sessualità umana non sarebbe allora tra eterosessualità e omosessualità, ma piuttosto tra un autoerotismo di segno narcisistico e la capacità di riconoscimento profondo dell’altro: quella che gli analisti definiscono “scelta oggettuale” e noi, più semplicemente, diremmo: amare davvero qualcuno, uomo o donna che sia. In ogni caso gli analisti di oggi sembrano ormai molto lontani dal considerare gli omosessuali come dei “malati”. Magari un po’ perversi, compulsivi, immaturi, narcisisti, regressivi, forse sì, ancora. E purtroppo non può far testo la citazione di un grande come Christopher Bollas, che già nel ‘ 92 scriveva: «ogni tentativo di costruire una teoria generale dell’omosessualità può essere soddisfatto solo al prezzo di gravi distorsioni delle discrete e importanti differenze tra omosessuali, atto che potrebbe costituire un “genocidio intellettuale”». Come a dire: se spostiamo l’attenzione sulla qualità e le dinamiche delle relazioni, si può parlare ancora di omosessualità al singolare? Ci saranno gli omosessuali capaci di amare e quelli che ancora saltabeccano da un corpo all’altro, forse più disperati che “gai”: in fondo, niente di così tanto diverso da quello che accade negli incontri raramente idilliaci degli eterosessuali, in tante loro storie non si sa se più aride o sgangherate.