In difesa della psicoanalisi,Einaudi Editore, pp. 112 (2013)
Recensione a cura di Laura Contran
“A dispetto di suoi detrattori, oggi la psicoanalisi è decisamente viva, pronta ad accogliere un’altra sfida: contrastare le nuove forme di attacco alla capacità di pensare e alla relazione tra le persone, proprie della nostra epoca”.
Queste parole costituiscono la tesi di fondo condivisa dagli Autori, già firmatari di un breve manifesto apparso sul quotidiano La Repubblica il 22 febbraio 2012, in risposta a un ennesimo attacco contro la psicoanalisi. Le critiche riguardavano in particolare lo statuto scientifico e l’efficacia del metodo psicoanalitico nella cura dell’autismo e delle patologie gravi. Gli Autori, appartenenti a “scuole” e modelli diversi (due psicoanalisti freudiani, uno psicanalista lacaniano e un analista junghiano), hanno deciso di mettere da parte antiche diatribe e divergenze per riconoscere la comune radice culturale del pensiero psicoanalitico, riprendendo la querelle ciascuno dalla propria personale prospettiva.
Nulla di nuovo sotto il sole, potremmo dire, in quanto notoriamente la psicoanalisi è stata osteggiata sin dalla sua nascita. Non possiamo tuttavia esimerci dal constatare un certo paradosso: la psicoanalisi, con i suoi concetti rivoluzionari e il suo linguaggio, è ormai diventata patrimonio comune, applicata a diversi campi del sapere, incluso quello letterario e più in generale artistico oltre, naturalmente, quello che più le compete ovvero la cura del disagio psichico. Come nota Simona Argentieri, le critiche risentono di una certa confusione e ambiguità che necessitano di opportuni chiarimenti per sgomberare il campo da luoghi comuni a volte imbarazzanti. Si tende, infatti, a etichettare come psicoanalitico tutto ciò che ha a che fare con un “ascolto”, a omologare le più diverse figure professionali che a vario titolo si occupano della “psiche” senza preoccuparsi di differenziare o distinguere.
La psicoanalisi è una cura molto specifica (per citare il titolo di un libro di Giuseppe Di Chiara) che richiede una formazione adeguata e impegnativa, a partire da un percorso di analisi personale che il futuro psicoanalista dovrà intraprendere prima di curare “gli altri”. Inoltre le indicazioni per un trattamento analitico rientrano nelle competenze di uno psicoanalista in quanto riguardano un aspetto etico del suo lavoro, così come saper riconoscere possibilità e limiti del suo intervento.
Ciò vale in particolare per quanto concerne le patologie gravi, oggetto della controversia, su cui Stefano Bolognini si sofferma avanzando alcune precisazioni. Prima fra tutte il fatto che, dopo 110 anni di ricerca, la psicoanalisi non si è fermata a Freud e alla cura delle nevrosi, ma ha ampliato il campo d’indagine ad altre forme di sofferenza psichica con uno sguardo sempre più attento ai cambiamenti sociali e alle inevitabili ricadute in termini di disagio individuale e collettivo.
A fronte di un problema di grande complessità com’è quello dell’autismo (ma meglio sarebbe parlare di autismo al plurale), in cui fattori organici e processi psichici sono strettamente legati tra loro, nessuna disciplina (appartenente all’area delle cosiddette scienze dure) detiene verità assolute o risolutive, tantomeno la psicoanalisi; si tratta piuttosto di integrare e di fare buon uso delle rispettive conoscenze e di creare un ponte tra le varie discipline.
Vengono inoltre ricordate (Bolognini, Di Ciaccia) le numerose esperienze di psicoanalisti e gruppi di lavoro impegnati da anni nel campo delle patologie gravi e dell’autismo i cui contributi teorico-clinici hanno sostanzialmente modificato il paradigma della cura, nel senso di una revisione del “dispositivo analitico classico”, senza però rinunciare ai principi di fondo che guidano il pensiero psicoanalitico. Naturalmente gli errori e gli insuccessi fanno parte di questo cammino impervio, data la difficoltà ad entrare in contatto con pazienti ritirati e quindi difficili “da raggiungere”, e che a maggior ragione richiedono una particolare capacità e sensibilità da parte del terapeuta e dell’ambiente “curante”. Si tratta, nonostante tutto, di procedere con la consapevolezza dolorosa (pensando anche al contesto familiare) che occorre rinunciare “all’illusione di progressi vistosi in tempi brevi” (54) o all’idea di guarigione.
Sul concetto di guarigione Luigi Zoja mette in evidenza il persistere di un equivoco di fondo circa il significato che essa viene ad assumere secondo un modello medico tuttora vigente, quello di macchina-uomo (94), per cui guarire significa ripristinare le funzioni precedenti la comparsa dei sintomi, ma che si allontana molto dalla cura intesa come processo trasformativo ed evolutivo della personalità individuale (e dunque irripetibile) verso una nuova condizione.
Il rapporto della psicoanalisi con la verità, il sapere e il reale (come sintomo che causa sofferenza) mantiene la centralità del valore dell’essere umano nella sua singolarità e non iscrivibile in alcuna formula. A proposito della dibattuta collocazione della psicoanalisi nell’ambito delle scienze, J. Lacan affermava che lo psicoanalista non è un ingegnere d’anime, non è un “fisico”, e non procede stabilendo delle relazioni di causa effetto.
Resta infine un interrogativo su che cosa, ai giorni nostri, debba veramente temere la psicoanalisi. E’ opinione degli Autori che il pericolo di una sua eventuale o paventata eclissi non provenga tanto dall’esterno, a opera dei suoi detrattori; al contrario, le critiche possono svolgere una funzione utile in quanto ci obbligano a riflettere sui fondamenti epistemologici delle nostre teorie e sulla nostra pratica clinica. Piuttosto il rischio potrebbe nascere, per così dire, dall’interno, da “interventi burocratici supportati o suffragati da posizioni ideologiche” (Di Ciaccia, 58) o, come sostiene Argentieri, dalla tendenza da parte di molti aspiranti psicoterapeuti a scegliere percorsi formativi più “sbrigativi”. Del resto è risaputo: il nostro tempo va veloce.
Ma questo punto va a toccare un tema altrettanto importante per il futuro della psicoanalisi poiché la sua difesa passa anche attraverso la passione, il rigore (esente da dogmatismi) e l’onestà con cui noi psicoanalisti siamo in grado di garantire la sua trasmissione.
Giugno 2013