Parole chiave: Psicoanalisi; Freud; Bion; mito; sogno; rêverie
“Improvvisamente in un sussulto, in un moto di stupore. Sull’uso del mito con la Psicoanalisi”
di Valdimiro Pellicanò
(Mnamon Editore, 2024)
Recensione a cura di Angelo Moroni
La prima associazione dopo la lettura di quest’ultimo, interessantissimo quanto impegnativo libro di Valdimiro Pellicanò, è che sia un testo che porta avanti una riflessione oggi più che mai necessaria per tutta la nostra comunità psicoanalitica. “Impegnativo” in quanto richiama ad un impegno, ad uno studio approfondito, ad allontanarsi cioè da quella che Heidegger chiamava “la chiacchiera” di un pensiero superficiale, inautentico. Un’epoca come quella che stiamo vivendo è per di più dominata da una “Dreamless Society”, come la definiscono acutamente Civitarese & Distel (2024) in un loro recente articolo omonimo. Una società che ha dunque urgente bisogno di ritrovare le proprie spinte al sogno, alla narrazione del Sé degli individui e dei gruppi, aspetti da sempre intrecciati (“interwined”) tra loro, come la lezione di Bion (1958, 1967) ci indica da tempo. Ecco che il libro di Pellicanò sembra giungere come a dare una risposta, pur provvisoria e “in progress”, alle angosce di questa “età dello smarrimento” (Bollas, 2018): un’età di guerre, pandemie, traumi collettivi da sradicamento identitario, di immigrazioni che si portano dietro carichi dolorosi spesso inelaboraboli, di identificazioni a massa di tipo tecnologico-virtuale. E tutto questo in totale assenza di nuovi contenitori narrativi, di “mitemi” (Kereny, 1951) in grado di dare parola, di narrare il periodo storico di transizione che stiamo attraversando. Certo, la psicoanalisi ha costruito negli ultimi centocinquant’anni anni i suoi miti, li possiede e li utilizza – il mito di Edipo in primis -, ma siamo sicuri che i miti della psicoanalisi siano sufficienti a dare conto, a rappresentare la sua teoria, ma anche la sua prassi socio-culturale in questo mondo che cambia ad un ritmo sempre più veloce? Quello di Pellicanò è dunque innanzitutto un richiamo ad un ritorno necessario al mito e alla sua potenza evocativa in senso narrativo, come vettore di figurabilità (Botella & Botella, 2001) delle emozioni più violente e incontenibili che pure fanno sentire la loro presenza – molto spesso agita in modalità evacuativa – dal genere umano. Un richiamo tuttavia non solo meramente storico, letterario o culturale, ma anche, se non soprattutto clinico, cioè rivolto alla tecnica psicoanalitica, oltre che alla sua specifica epistemologia. Il riferimento teorico cardine dell’Autore è senz’altro il Bion della Griglia (Bion, 1970) e la forte sottolineatura euristica che Bion dà al mito stesso. Dopo la pregevolissima Prefazione di Antonello Correale, il libro si dispiega fino al capitolo 8 approfondendo, sul piano storico-mitografico, varie figure mitologiche, da Eros e Psiche, a Hypnos, a Lete, a Mnemosine, ad Aion, a Medea. Mentre i capitoli 9, 10, 11 e 12 sono dedicati al ruolo del mito in Freud e in Bion, nonchè ad una analisi del concetto di “incestuale” in psicoanalisi.
Nella prima parte del libro, l’Autore fa dialogare con grande rigore metodologico, lo studio dei miti delle origini e l’archeologia, rifacendosi alle più recenti interpretazioni paleontologiche delle prime pitture rupestri rinvenute nella grotta francese di Lescaux. Ritengo questa un’operazione interessante, poichè va ad appoggiare su basi empirico-scientifiche e storiografiche un’ermeneutica più squisitamente psicoanalitica, che trova peraltro poi, nel testo, ulteriori riscontri molto suggestivi, sia nella prassi clinica, che sul piano teorico. Per fare un solo esempio, tra i molti citati da Pellicanò, l’Autore evidenzia la copresenza iconografica del legame originario, “arcaico” in senso filogenetico e ontogenetico, tra Eros e Thanatos, intesi come “miti metapsicologici” freudiani, in diverse pitture rupestri, come anche indicato dalla ricerca paleontologica contemporanea. Pellicanò delinea dunque una linea di ricerca come “paradigma indiziario” (Ginzburg,1979), che ci riporta ad Amore come figura mitica fondativa (il legame L, contrapposto al legame H, di odio, secondo Bion, 1970). E’ un tema ripreso anche dalla filosofia, in particolare da Lévinas, laddove il filosofo lituano, allievo di Heidegger afferma che “l’amore viene prima dell’Essere” (Lévinas, 1978). L’ Essere dell’individuo non è infatti possibile prima di un atto d’amore e di un riconoscimento che lo fonda: è l’amore della coppia dei genitori, e soprattutto quello che soffonde lo sguardo materno nell’incontrare e riconoscere l’essere peculiare, unico, differenziato, del suo bambino. L’Essere dell’uomo ha cioè, innanzitutto, uno statuto affettivo. Ma l’Amore è continuamente minacciato dalla Morte, sottoforma di “attacco al legame”. Il mito ricompone narrativamente questa antitesi conflittuale originaria ed è per questo che può essere utilizzato “con” la psicoanalisi, come recita il sottotitolo del libro stesso.
La seconda parte del testo si addentra in una profonda riflessione e in un’altrettanto innovativa rilettura dell’Edipo e del rapporto tra incesto ed “incestuale”, alla luce della ricerca effettuata nei primi otto capitoli. Viene ripreso il pensiero di Freud, messo in tensione con quello di Bion sul sogno e sul mito, ma naturalmente anche quello di Racamier (Racamier, 1995). Il libro si chiude con una intensa postfazione di Loretta Cifone, e con la traduzione a cura dell’Autore, della Tragedia in tre atti “ Edipo e la Sfinge” (1903), di Joséphin Péladan, mai tradotta in italiano.
Bion invece, viene ripreso da Pellicanò per il collegamento, presente nella sua teorizzazione, tra mitopoiesi e teoria del pensiero. Scrive infatti Pellicanò: “Il mito (…), diversamente dalle teorie, non può essere manipolato come viene fatto dalle teorie psicologiche, dice Bion in “Cogitations” e aggiunge che esso serve anche a studiare un’esperienza emotiva e ad apprendere da essa” (Pellicanò, 2024, p. 229). Il tal senso, il mito, attraverso la clinica, ha certamente a che fare con l’etica. Il Logos , nel suo carattere poietico, in Pellicanò, come in Heidegger (1950), si intreccia costitutivamente all’ethos, all’abitare, al soggiornare, all’accogliere, al condividere. Si intreccia con la cura. E la cura per la psicoanalisi e il suo dangerous method, ci porta appunto alla centralità della clinica, che attraversa tutto il libro mediante vignette e stralci di sedute molto evocativi.
Per Heidegger risulta centrale il detto di Eraclito secondo cui “ethos anthropo(i) daimon”. Il soggiornare dell’uomo, potremmo dire, accade nel segno del daimon, vale a dire del presentarsi della figura divina, mitologica, in quanto ciò che, nel cuore dell’abituale, testimonia l’inabituale. Soggiornare, per il poeta – così come per lo psicoanalista, ci ricorda Pellicanò – significa collocarsi tra il divino e l’umano, condividere con l’umano la parola che nomina il divino. «Pieno di merito, ma poeticamente abita l’uomo su questa terra», scrive Hölderlin in un verso su cui Heidegger (1950) si sofferma a più riprese e che fa emergere il concetto dell’abitare mitopoietico. Heidegger definisce “urto” (Stoss) la messa in crisi, la distruzione dei rapporti che prima erano familiari, e che successivamente, con l’intervento dell’opera d’arte o della parola poetica, diventano extra-ordinari, cioè non più sicuri e stabili. Una sorta di cambiamento catastrofico (Bion, 1966) necessario perchè tale evento rinvii all’Essere che l’ha messo in opera. Rivelando, il logos mitico si sottrae al suo abituale rinvio alla comprensione calcolante ed epistemologica, e si apre all’Essere. Questa è la cura. Le strade della scienza, della comprensione epistemica, conducono ad un progresso che è sconosciuto al mito, così come alla psicoanalisi. I linguaggi ontologici intrinseci nel mito e nell’opera d’arte, così come quello dell’”arte della psicoanalisi” (Ogden, 2022), non producendo un “progresso” ontico, ed essendo apertura di un mondo dopo un ”urto” col “divino”, si pongono sempre all’inizio, cioè nel mitico, e insieme reale, “luogo delle origini”.
Riferimenti bibliografici
Bion W.R. (1958), Esperienze nei gruppi, Armando, Roma 2013.
Bion, W.R. (1966), Catastrophic change, in Bulletin of the British Psycho-Analytical Society, n. 5, The Institute of Psycho-Analysis, London, 1966 – Edizione italiana, Il cambiamento catastrofico, in Il cambiamento catastrofico, pp, 13-37, Loescher Editore, Torino, 1981.
Bion W.R. (1970). Attenzione ed interpretazione. Armando, Roma 1973.
Bion, W.R. (1992), Cogitations, Roma, Armando, 1996.
Bollas, C. (2018), L’età dello smarrimento. Senso e malinconia, Milano, Raffaello Cortina, 2018.
Botella C., Botella S. (2001), La raffigurabilità psichica, Borla, Roma 2004.
Civitarese, G., Distel, E. (2024), “Thus far and no further”: Inquiry into a dreamless society, in International Journal of Psychoanalytic Studies, Volume 22, Issue 3, August 2024.
Ginzburg, C. (1979), Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Gargani, A. (a cura di), Crisi della ragione, Einaudi, Torino, pp. 57-106.
Heidegger, M. (1926), Essere e tempo, Milano, Longanesi, 2005.
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Kerény, K. (1951) Dioniso. Gli dei e gli eroi della Grecia, Milano, Il Saggiatore.
Lévinas, E. (1978), Altrimenti che essere, Jaka Book, Milano, 1983.
Ogden, T.H., (2004) This art of psychoanalysis, in International Journal of Psychoanalysis, 85/4, pp. 857-887.
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Ogden, T. H. (2019), Ontological Psychoanalysis or “What Do You Want to Be When You Grow Up?”, in The Psychoanalytic Quaterly, 88:4, 661-684.
Ogden, T.H. (2022), Prendere vita nella stanza d’analisi, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Racamier P.C. (1995), Incesto e incestuale, Franco Angeli, Milano 2003.
Agosto 2024.