La Ricerca

“Il sogno necessario” di Giuseppe Civitarese. Recensione a cura di Graziano de Giorgio 

31/07/13

Il sogno necessario. Nuove teorie e tecniche dell’interpretazione in psicoanalisi. Franco Angeli, Milano, 2013

Recensione a cura di Graziano de Giorgio

Siamo fatti della stessa stoffa dei nostri film. 

“Imputato alzatevi: siete dichiarato colpevole di maestria del sospetto!”. Così sentenziava rivolto a me Don Leo, preside del liceo retto da religiosi dove ho compiuto gli studi superiori, e ora seduto su uno scranno da tribunale kafkiano che fungeva da scenario a un mio sogno giovanile, quando avevo deciso di studiare la psicoanalisi. Io lo ascoltavo intimorito ma esibendo a muso duro la medaglia d’argento vinta di recente ai campionati studenteschi di atletica. Appuntata proprio sul cuore e molto più grande di quella vera. Sembrava un po’ la scena finale di Per un pugno di dollari. Quei dollari di cui avevo bisogno per studiare e che mio padre sembrava volermi rinfacciare il pomeriggio precedente il sogno. Il suo “senso comune” lo portava a suggerirmi di intraprendere la carriera di chirurgo: “Non si mangia coi sogni!”.
Questo il “reale” doloroso che non ero riuscito a digerire e con cui, forse, mi confrontavo nel sogno. Una difficile identificazione con il padre della psicoanalisi che faceva da contrappunto al difficile rapporto con mio padre.
Siamo fatti della stessa stoffa dei nostri sogni, sentenziava Giulietta prima dell’invenzione del cinematografo, così come oggi si potrebbe dire che siamo fatti della stessa stoffa dei nostri film.
La parafrasi di Shakespeare mi pare possa introdurre adeguatamente il discorso che Civitarese sviluppa nel suo ultimo libro Il sogno necessario . Sogno e cinema si interfacciano di continuo nelle proposizioni che l’autore porta avanti cercando di compiere un altro passo verso la comprensione dell’affascinante e irrisolto problema del passaggio dalla materia allo psichico. La suggestiva ipotesi è che siano i sogni la via di collegamento tra il corpo e la mente,  il transito indispensabile tra la pura corporeità dell’esistenza e quell’ordine simbolico cui ci conduce l’elaborazione onirica delle emozioni. Di queste ultime viene data una lettura in chiave evoluzionistica. L’omeostasi degli stati interni, necessaria alla vita tanto per l’uomo quanto per gli animali, porta il corpo a reagire a stimoli esterni e interni, cercando nuovi livelli di organizzazione: gli elementi alfa e le stesse immagini dei sogni corrispondono all’emergere di questi ultimi. Le variazioni di stato della psiche all’inizio confuse, nel corso dell’evoluzione si raffinano al punto da identificarsi con i contenuti della coscienza. Col passaggio dalla coscienza “primaria” alla coscienza “estesa”, la discriminazione più fine delle emozioni rappresenta per l’uomo un significativo vantaggio evolutivo, consentendo una risposta più efficace alle sollecitazioni dell’ambiente, sia interno che esterno. Ecco allora che la funzione onirica della veglia diventa “necessaria” per immaginare il futuro, pianificare le nostre azioni e ricordare il passato.
Il delicato passaggio di quello che nella metapsicologia freudiana è lo statuto dei rappresentanti psichici della pulsione alle teorizzazioni bioniane della funziona alfa e del processo di interpretazione cognitiva delle emozioni, sono oggetto di una chiara illustrazione nell’ultimo capitolo del libro. Un’illustrazione che mette ben in evidenza sia gli elementi di continuità che le differenze tra i due modelli. Ne risulta un confronto dialettico in cui il modello freudiano, in fondo, mi sembra  tragga  nuova linfa dalla sintesi che l’autore fa, dopo avere dato forza alla lezione bioniana  del sogno della veglia come substrato indispensabile del pensiero. Particolarmente interessante, infatti, risulta questa sorta di “spoletta” che Civitarese mette in moto tra la possibilità di intendere ancora il sogno come guardiano del sonno, appagamento mascherato del desiderio infantile rimosso e via regia  per l’inconscio, ma anche, e soprattutto, come prodotto sociale che separa il conscio dall’inconscio, via di collegamento tra il corpo e la mente, indispensabile per dare un significato personale all’esperienza e rigenerare così la pelle psichica che ci protegge dai traumi della vita.
Il prodotto è un tessuto prezioso con cui ripulire le lenti di quanti ritengono ancora che si possa immaginare una moderna teoria del sogno prescindendo da Freud o, al contrario, che il paradigma di quest’ultimo possa ritenersi unico ed esaustivo. “A seconda degli autori il sogno svolge diverse funzioni: testimonia della storia del paziente, rivela la geografia dell’inconscio, dà significato all’esperienza. Ciascuna di queste prospettive si basa su un modello psicoanalitico e ha una sua validità. Se non lo ammettessimo, tradiremmo lo spirito ambiguo del sogno. I sogni affascinano proprio per la loro inesauribile ricchezza e perché più di qualsiasi altra produzione psichica esprimono il gioco dei punti di vista che è in fondo il gioco dell’inconscio e dell’analisi.” Anche le felici incursioni in alcune delle più accreditate teorie delle neuroscienze, contribuiscono allo smantellamento di alcuni steccati che certo non favoriscono l’integrazione di punti di vista diversi che, pur nel rispetto dei differenti vertici di osservazione, risultano utili alla comprensione di fenomeni così complessi.  Ritengo quest’opera particolarmente importante, visto che il libro nasce con intenti formativi, scaturiti dai seminari tenuti dall’autore presso il Centro Milanese di Psicoanalisi “Cesare Musatti”.
L’affascinante traiettoria della teoria del sogno e della relativa tecnica d’analisi si dipana in un percorso che viene sviluppato nei nove capitoli, sempre accompagnati da personaggi che appartengono al mondo del cinema. I film che Civitarese utilizza non sono tutti dei capolavori, diciamocelo. A volte difficili persino da rintracciare. D’altronde le ragioni della scelta sono dichiarate: si tratta di film che possono rivelare agli analisti qualcosa di se stessi e delle loro teorie, un cinema che interpreta la psicoanalisi, e non il contrario.
L’oramai classico accostamento che si usa fare tra cinema e psicoanalisi, basato su ragioni anagrafiche, di linguaggio e altro, nel nostro libro si giustifica con una comunanza ritenuta dall’autore ancora più profonda tra la teoria del sogno e la teoria del cinema: il rapporto di simulazione o falsificazione che essi intrattengono con la realtà. “Il processo di lavorazione di un film è una metafora concreta del modo in cui falsifichiamo o costruiamo percettivamente il reale. Tutti i trucchi e gli effetti speciali -le luci, gli obiettivi, le scale dei piani e così via- evocano la fabbricazione della realtà da parte della mente. Il montaggio del film equivale al lavoro onirico e poi al lavoro del sogno, prima denominato della funzione alfa, che per Bion è attivo anche nella veglia. Cinema e sogno nascono dal buio del sonno ed entrambi sono simulacri della realtà”.
E allora ecco che, lavorando con il secondo capitolo del libro, sono Diane Bayler e Isaac Barr, incarnati da Uma Thurman e Richard Gere in Analisi finale di Joanou, insieme allo stesso Freud e Alfred Robitsek, a guidarci nella scoperta del teorema freudiano della realizzazione allucinatoria di un desiderio rimosso. Con un intrigante intreccio tra i personaggi del film e i principali autori delle teorizzazioni psicoanalitiche, Civitarese parte dal tema della falsificazione del sogno, dell’insincerità, della deformazione imposta dalla censura, per arrivare al significato della colonna2 della griglia di Bion e al pensiero onirico della veglia. Il film di Joanou, secondo l’autore, non fa altro che ripercorrere il dramma freudiano dell’abbandono della teoria della seduzione e della scoperta dei fantasmi originari, che è poi la scoperta di ogni analisi. La conclusione…da sogno è che la vera vittima di Analisi finale è la concezione ingenua della realtà del senso comune, e il vero colpevole è il sogno stesso, o meglio il detective Freud che, svelandone il segreto, scopre se stesso colpevole di “maestria del sospetto”.
La descrizione della scena d’apertura di The Cell ci immerge nei fondali inconsci della mente criminale di Carl Stargher, col quale prenderemo contatto con la natura concreta del suo mondo interno e dei personaggi che lo abitano. Entriamo così negli sviluppi della teoria del sogno nella scuola kleiniana, per la comprensione della quale, saremo accompagnati a prendere dimestichezza, qualora non l’avessimo già, con la natura e il significato degli oggetti interni, visto che il sogno è proprio il film che racconta la vita proprio di quelle “agglutinazioni, conglomerati, incrostazioni o sedimentazioni di vissuti che hanno connotato le prime esperienze di vita”. Riesaminando l’opera della Klein, viene messa in evidenza l’importanza dell’avere intuito l’equivalenza tra sogno e gioco: questa operaione consente infatti di realizzare una saldatura tra simbolizzazione e sogno.
Ma seguiamo ancora un po’ il mondo dolente del piccolo Carl, il bambino abusato che si trasforma nel mostro perverso che rapisce giovani donne che tiene prigioniere in una cella di plexiglas, prima di violentarle e ucciderle. La ripresa di pezzi della sceneggiatura, alternata a considerazioni che scaturiscono da un excursus che va ben aldilà delle teorie della Klein e dei suoi epigoni, ci consente davvero di vedere come, lavorando con il film, si possa effettuare una sorta di smontaggio della personalità, con interessanti considerazioni di tecnica psicoanalitica.
La psicosi, scrive Freud, “può comparire di colpo, con un sogno efficace che contiene l’illuminazione delirante, oppure svilupparsi lentamente attraverso altri sogni che devono ancora lottare con il dubbio”(Freud, 1899). Il rapporto tra la psicosi, il sogno, l’incubo, l’allucinazione, insieme al lavoro del sogno e alla funzione alfa, sono i temi principali su cui Civitarese si sofferma nel capitolo L’incapacità di sognare in They e Dark City.  Del primo film, l’autore sembra preferire un finale alternativo, scartato dal regista, ma visibile come contenuto extra del DVD, in cui allo spettatore è consentito di “svegliarsi” dal mondo allucinatorio della protagonista: una ragazza che non è più in grado né di sognare né di svegliarsi. Internata in un ospedale psichiatrico fin dai sedici anni, trasforma le figure  del reparto negli esseri mostruosi che sono i personaggi del mondo persecutorio che ella stessa ha inconsciamente organizzato per difendersi dal pericolo di annichilimento psichico. Le ipotesi sui meccanismi che portano alla disgregazione psichica di Julia, consentono a Civitarese di approfondire ancora meglio la teoria del sogno di Bion, che viene visitata da varie angolazioni in tutto il libro. Molto interessanti le analogie che vengono proposte con le due forme di coscienza, primaria e secondaria o nucleare ed estesa, di cui parlano rispettivamente Edelman(1992, 2004) e Damasio(1999), pur rispettando l’avvertenza sulla  difficoltà di corrispondenze precise tra i concetti. Quello che nel linguaggio di Bion è lo stadio degli elmenti beta, in quello di Damasio corrisponde al proto-sé, e la capacità di sognare/pensare trova corrispondenza nella coscienza estesa o sé autobiografico cui si giunge transitando per gli elemeti alfa, che a loro volta trovano una corrispondenza nei qualia di Edelman. La coscienza estesa, che presuppone necessariamente quella nucleare, può essere presente a vari livelli d’intensità in base ai gradi variabili dell’attenzione: è debole nel sogno e forte nella veglia. All’attenzione come funzione della barriera di contatto, e quindi discriminante fondamentale tra il processo primario e il processo secondario viene dedicata particolare attenzione, prima di una interessante rassegna sui diversi tipi di sofferenza psichica a seconda del tipo di alterazione cui è sottoposta la barriera stessa.
Winnicott, Khan, Meltzer, Ogden, Ferro, ruotano intorno alla visione bioniana della mente umana, articolandosi dialetticamente con Freud, Klein, ma anche Ferenczi, Lacan, Derrida, Merleau-Ponty, e trovando spesso una sintesi accattivante nelle proposte teoriche originali di Civitarese.
“Freud decentra il soggetto dalla coscienza, dal luogo classico in cui insediava la sua signoria e afferma che l’io non è padrone in casa propria. La Klein accentua il peso della realtà psichica. Bion detronizza il soggetto da se stesso , dal suo stesso inconscio, dalla casa in cui anche se non più come padrone incontrastato pure continua a dimorare e lo rinvia a un’area protomentale comune al gruppo. Ogden e Ferro portano a compimento la seconda rivoluzione copernicana avviata da Bion. Dal dualismo cartesiano, cui sostanzialmente sottoscrive anche Freud, essi passano a una concezione radicalmente intersoggettiva, cioè sociale del sé esperienziale”. Da tale modello derivano un modo di intendere sia il processo di soggettivazione che quello psicoanalitico, con significative modificazioni di tecnica, di cui Civitarese tratta ampiamente nei capitolo sesto e settimo(sic!), riprendendo a ampliando un discorso già affrontato in La violenza delle emozioni. Bion e la psicoanalisi post-bioniana(2011).
Prima delle considerazioni conclusive, un sintetico e interessante riassunto di quanto esposto nel libro, l’ultimo affascinante argomento cui è dedicato un intero capitolo è quello del sogno nel sogno: anche questo un tema caro a Civitarese, che vi aveva dedicato almeno altri due lavori(Civitarese 2007, 2011). In un libro in cui si tratta di sogni e si usano film che possono anche essere esplicativi delle teorie psicoanalitiche, era difficile che mancassero Jorge Luis Borges e il film di Andy e Larry Wachowsky The Matrix. Ecco infatti che ritroviamo entrambi protagonisti del capitolo Sogni di sogni, in cui Civitarese parte sempre da Freud, per il quale “l’inserimento di un certo contenuto in un sogno nel sogno va dunque equiparato al desiderio che ciò che è definito sogno non sia accaduto”(Freud, 1899). Ancora il desiderio come componente fondamentale di un delicato impasto con cui la mente tratta un evento negativo, verosimilmente traumatico, che si vuole eliminare. E ancora una volta l’autore segue Freud e il suo discorso fin nelle più sottili argomentazioni per poi ribaltarne il paradigma fino a dare al fenomeno il senso di una costruzione narrativo-estetica, che rappresenta un più fine procedimento cui il riferimento è continuo durante tutto il libro: non più un lavoro sui sogni quanto un lavoro coi sogni.

Una recensione di questo volume è apparsa, a cura di Francesco Capello, nel sito State of Mind: <http://www.stateofmind.it/2013/07/sogno-necessario-psicoanalisi-recensione/>

Luglio 2013

Bibliografia

Civitarese G. (2007), “Sognare l’analisi”, in Ferro A. et al., Sognare l’analisi. Sviluppi clinici del pensiero di W.R. Bion, Bollati Boringhieri, Torino, 2007

Civitarese G. (2011), La violenza delle emozioni. Bion e la psicoanalisi post-bioniana, Raffaello Cortina, Milano

Civitarese G. (2011), “Il sognato del sogno”, in G. De Giorgio, F. Petrella, S. Vecchio, a cura di,  Sogno o son desto? Senso della realtà e vita onirica nella psicoanalisi odierna, Franco Angeli, Milano, 2011

Edelman G.M. (1992), Sulla materia della mente, Adelphi, Milano, 1993

Edelman G.M. (2004), Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, Einaudi, Torino

Freud S. (1899), L’interpretazione dei sogni, OSF, vol. 3

 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

“Al cinema con il mio paziente"  di G. Riefolo. Recensione di P. Boccara

Leggi tutto

"Femminile melanconico" di C. Chabert. Recensione di S. Lombardi

Leggi tutto