La Ricerca

Il soggetto nascosto

9/07/13

Il soggetto nascosto. Un approccio psicoanalitico alla clinica della tossicodipendenza, Franco Angeli, Milano, 2013 

Recensione a cura di Giuseppe Saraò

Con la modernità e la società sempre più globalizzata emerge, come fenomeno sociale, in maniera inquietante l’uso e soprattutto l’abuso di sostanze psicotrope; una vera e propria epidemia sociale che investe le società con sviluppo avanzato. Il fenomeno dell’abuso di sostanza fa parte della storia dell’umanità, ma da tempo è diventato anche problematica socio-sanitaria con servizi dedicati (Sert). E’ un tema complesso che facilmente si presta a contrasti e talora a dispute ideologiche su come affrontare una diffusione sempre più imponente. 

Il libro “Il soggetto nascosto, un approccio psicoanalitico alla clinica delle tossicodipendenze”, a cura di Antonello Correale, Francesca Cangiotti e Alessia Zoppi,  rappresenta un’occasione per rimettere al centro della discussione tematiche cliniche che attraversano l’universo delle tossicodipendenze. L’interesse del libro è centrato non sul fenomeno sociale bensì sulla dimensione soggettiva di chi diventa tossicodipendente che viene esplorata alla luce della psicologia clinica e della psicopatologia. Un libro coraggioso e per certi versi controcorrente rispetto ai sociologismi che sono collegati a questo argomento. 

Mario Rossi Monti, nella bella introduzione al volume, tratteggia molto bene tale impostazione e ne coglie la finalità: “per andare oltre la sostanza e recuperare l’attenzione alla persona”; una scommessa per aprire un dibattito sul fenomeno delle dipendenze. Il tema è di grande interesse e si collega ad un vecchio ma tutt’ora valido argomento che ha attraversato la psichiatria per lunghi periodi con alterne vicende: cosa rappresenta e comunica il sintomo, a quale universo psichico ci riferiamo quando un disturbo comportamentale invade il campo della socialità, come lo leggiamo, a che cosa diamo la priorità, quali i vertici da osservare e da focalizzare. La domanda sottesa è a che cosa rimanda l’effetto spersonalizzante della sostanza che tende a ridurre persone molto diverse tra loro a un comune denominatore: lo stereotipo del tossicodipendente. E infine cosa c’è dietro il sintomo, quale persona e soprattutto di quale soggettività ci parla ? 

Il tema della soggettività è molto presente nella psicoanalisi contemporanea e rappresenta una frontiera di ricerca molto fruttuosa che aiuta ad attraversare i confini ed abbattere le gli steccati ideologici tra scuole di pensiero con impostazioni diverse: basta pensare ai lavori di Kaes (ricerca di una nuova topica per descrivere i diversi inconsci), alla psicoanalisi nord americana (attenzione alla persona dell’analista e allo scambio intersoggettivo), all’antica tradizione argentina (al valore del “vincolo” nel rapporto e scambio tra le persone in socialità), all’interesse sempre crescente verso i fenomeni gruppali, le istituzioni e le dinamiche nelle terapie di coppie e delle famiglie. 

Il libro di Correale rimette al centro la concezione dell’uomo tossicodipendente; la psicoanalisi da questo punto di vista ha molto da dire, con il suo valorizzare la dimensione conoscitiva rispetto al modo con cui l’individuo si confronta con il mondo, ma soprattutto attraverso il rapporto di cura e la relativa esperienza affettiva e soggettiva vissuta con il paziente. Tutto questo può sembrare scontato, già detto o già vissuto, ma non è cosi. Esiste una netta divaricazione, forse potremmo dire una frequente “scissione”, tra i Sert e i Servizi della salute mentale; è un tema organizzativo (in particolare nella regione Toscana, dove si è sempre dato un taglio di tipo sociologico-tossicologico), ma soprattutto è una questione culturale che rimanda a quali modelli gli operatori usano nel lavoro quotidiano. Una divaricazione talmente clamorosa che in letteratura è stato inventato una sorta di artificio (“doppia diagnosi”) pur di far comunicare i due mondi separati dei servizi, una disputa che è diventato un vulnus per i pazienti che hanno bisogno di un aiuto sanitario e sociale per poter vivere. E’dunque necessaria una ricucitura tra il versante dei servizi di salute mentale con quello dei servizi per le dipendenze, non come semplice operazione di razionalizzazione ma come indispensabile integrazione il cui vertice fondamentale è la soggettività e i bisogni del paziente.

La proposta forte del libro è focalizzare l’attenzione dell’operatore, nel rapporto con il soggetto, dalla malattia al sintomo con l’idea di far venir fuori, prima o dopo, il soggetto nascosto; da qui la domanda di cosa ci sia nella richiesta e consumo compulsivo della sostanza e anche di quale sostanza; e ancora come tutto questo calmieri la fonte dell’angoscia che è centrale in ogni esperienza di abuso, una necessità di sopire e stordire qualcosa che fa star male, che non ha nome, che non trova significati, ma a cui comunque bisogna trovare una risposta totale.

Per Correale il tema psicopatologico centrale è il disturbo borderline, è l’asse su cui si situano la maggior parte dei casi clinici; l’abuso di sostanza cerca di dare una risposta parziale e rappresenta semplicemente un sintomo che oblitera il senso del malessere e dell’angoscia. Per questo motivo è fondamentale la domanda: che fine ha fatto il soggetto nel tossicodipendente?
In questa direzione la psicoanalisi non ricerca i segni dell’inconscio ma è interessata alla ricerca della soggettività e del soggetto. Lo stesso concetto di transfert va rivisitato non solo come un prototipo della ripetizione, come un ripetere al posto del ricordare e come tale ostacolo alla terapia, bensì come speranza intesa come attenzione ai piccoli scarti che nascono nell’incontro con il terapeuta e nel gruppo dei curanti, alle possibilità che si attivano, alle crisi e alle dimensioni passionali del transfert che propongono interazioni e sequenze evolutive. Ma questo non basta, è da verificare anche la sostenibilità del transfert che in questi casi è intenso, fusionale e soprattutto puntiforme, molto diverso da quello che si attiva nel disturbo psicotico. Ecco la necessità di un servizio, di un gruppo di lavoro con varie figure professionali che abbia la funzione di accogliere ma anche di contenere aspetti potenti e drammatici che nel rapporto a due talvolta sono impossibili; gruppo di lavoro come gradiente di possibilità, come capacità di diffrazione rispetto all’intensità degli investimenti emotivi massivi, come sistema tampone rispetto alla passionalità che c’è dietro l’abuso di sostanza. Naturalmente la questione successiva è come si articolano e integrano la rete dei transfert collaterali con quello centrale, indispensabile per elaborare i vissuti e le esperienze significative del paziente. 

Ormai da tempo Correale si batte per differenziare e riconoscere le tematiche transferali rispetto all’inflazionato concetto di relazione; concetto usato molto nello slang degli operatori ma che spesso nasconde una difficoltà ad avere una idea ed una rappresentazione di quello che accade con il paziente, una sorta di reciprocità generica di stampo buonista in cui si perde l’interesse per la propria passionalità e per la soggettività dell’altro. 

Correale e M. Rossi Monti hanno avuto il grande merito, in questi anni, di avere favorito nel nostro paese l’affermarsi di una cultura psicoanalitica capace di dialogare, senza pregiudizi, con la psichiatria e il mondo dei servizi, aperta alle scienze neuro cognitive, con una costante ed appassionata ricerca finalizzata a  incontrare e integrare le conoscenze della fenomenologia che da sempre è attenta alla psicopatologia e ai relativi vissuti. 

Il libro propone di prendere il paradigma psicopatologico del disturbo borderline come il modello di riferimento intorno a cui gli operatori devono pensare il fenomeno delle dipendenze, un modo di caratterizzare e di descrivere l’esperienza della dipendenza dal vertice del funzionamento mentale; associato a tale concetto emerge con forza la tematica del trauma e delle relazioni traumatiche che si ripetono inesorabilmente, anche attraverso l’abuso della sostanza. 

Il compito degli operatori è avere consapevolezza e riconoscere. La domanda tecnica fondamentale è come lavorare sull’area traumatica, quali cautele e quali azioni terapeutiche si possono proporre al paziente senza ripetere un rapporto traumatico. Questa è la dimensione della cura, per chi lavora nei Sert o nella salute mentale, ma anche per i professionisti che si cimentano nel rapporto individualizzato; il tema è  come lavorare intorno e sui bordi dell’area traumatica, per fare esperienza con il paziente e aumentare i processi di mentalizzazione che favoriscano una maggiore soggettivazione. Tale lavoro è importante perché permette di esplorare, con il paziente, l’area traumatofilica come possibilità di conoscenza, direttamente collegata all’esperienza inquietante e talvolta panica della depersonalizzazione e della dissociazione. Qui siamo nella zona che da sempre interessa i clinici e i fenomenologi: cosa vive il paziente, da che cosa scappa, da cosa si difende, come fa a sopravvivere? Domanda fondamentale, molto psicoanalitica, che pone al centro l’esperienza vissuta dal soggetto intorno a cui poter costituire un riconoscimento, una possibile elaborazione, un necessario pensiero che cerchi di descrivere e socializzare una esperienza estraniante e misteriosa. Ma questo può avvenire se il paziente intuisce come funziona la mente del terapeuta, se lo vede all’opera, se coglie elementi di spontaneità e di genuino interesse anche verso il suo mondo dissociato; in poche parole emerge la persona del terapeuta come potente osservatore di fenomeni mentali che fanno impazzire ma che nel tempo, attraverso una esperienza di condivisione, possono essere contenuti, rielaborati e considerati come potenti emozioni ma che non travolgeranno il soggetto in difficoltà. 

Il libro è articolato in due parti: la prima è dedicata alla ricerca del soggetto nascosto, “tra “sintomo e malattia”; la seconda  confronta modelli di interventi nell’operatività con il tossicodipendente. In un capitolo sulla formazione, Correale mette a punto la questione fondamentale della formazione degli operatori. 

Firenze 5 luglio 2013 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

“Al cinema con il mio paziente"  di G. Riefolo. Recensione di P. Boccara

Leggi tutto

"Femminile melanconico" di C. Chabert. Recensione di S. Lombardi

Leggi tutto