Parole chiave: Psicoanalisi; Adolescenza; Controtransfert; Indifferenza
“Il mondo salvato dai ragazzi indifferenti. Dialoghi sul controtransfert”
di Tito Baldini
(Vecchiarelli ed., Roma, 2024)
Recensione a cura di Daniela Scotto di Fasano
Perché Tito tanta durezza?
Subito si è ‘straniati’ da “Il mondo salvato dai ragazzi indifferenti”, di Tito Baldini.
Ti chiedi: ma chi scrive? Dopo i bei contribuiti di Thanopulos (Prefazione) e di Cupelloni e Russo (Presentazione), un altro scritto introduttivo?
Eppure avevo letto Primo Capitolo…
E poi… sono stata risucchiata in un dialogo imprevisto (la stupita meraviglia kantiana per come l’ha ‘lavorata’ in un suo scritto Giuseppe Di Chiara) tra Tito Baldini e… il suo controtransfert.
Un modo assolutamente creativo e accattivante, non accademico/ingessato, di Tito di prendere per mano il lettore e accompagnarlo a esplorare concetti abitualmente ‘tosti’ e assolutamente indispensabili nella bisaccia dello psicoanalista. Ad esempio, come in questo libro bellissimo il controtransfert.
Dico bisaccia e non come di solito si usa nei nostri scritti dire ‘cassetta degli attrezzi’ perché Tito Baldini persona e Tito Baldini saggista evocano la figura del mago, o quella del viandante, o, ancora, quella della figura degli arcani maggiori dei Tarocchi Il Bagatto.
Leggiamo, ad esempio, a pagina 38, della ricerca del “contatto vero con la persona di te dispersa in te”: ma come non pensare a un salto quantico, a una capriola poetica, a un autentico viaggio di spessore bioniano nei meandri del proprio esistere? Il mondo salvato dai ragazzi indifferenti, con cui Tito ci mette a contatto diretto (anche per certi versi urticante) con l’inconscio, che – come scrive a pagina 39, crea disagio, secondo la lezione di Freud, al nostro processo di civilizzazione.
Proprio come il Bagatto Tito si mette a nudo, ci racconta di averle provate tutte (p.41) finché ha incontrato la Psicoanalisi, che, da allora, come sa bene chi si è imbattuto in lui e in Sallo e in Psicoanalisi e Sociale, di cui Sallo è creatura, non smette di flettere verso il mondo dell’aiuto sociale a quei ragazzi indifferenti. Ragazzi in carne ed ossa e i ragazzi indifferenti del suo – come di quello di tutti noi – mondo interno.
Ho pensato, leggendo queste pagine, a due film struggenti, poetici ma contemporaneamente anche capaci di farci sorridere o, addirittura, ridere.
Si tratta di “Tutto quello che vuoi” (del 2017, regia di Francesco Bruni) e di “The Specials. Fuori dal comune” (del 2019, di Eric Toledano e Olivier Nakache).
Nel primo un ragazzo di ventidue anni, Alessandro, è il classico ‘giovinastro’ che non vorremmo incontrare da soli di notte, che diventa per svariate ragioni il ‘badante’ di un ottantacinquenne, Giorgio, un vecchio poeta dimenticato, affetto dal morbo di Alzheimer. Nella sua casa, poesie scritte sulle pareti, e discorsi trasognati ma anche terribilmente ‘realistici’ su un ‘tesoro’ perduto. Alessandro, e la sua poco raccomandabile banda di amici, partono con Giorgio alla ricerca del tesoro. Il film, come “Il mondo salvato dai ragazzi indifferenti” di Tito Baldini, mostra come cercare – e trovare – una mente che sembra perdersi mentre proprio il perdersi le consente di ritrovarsi. Il film graffia ogni possibile indifferenza, nel dialogo che instaura con essa, per “non mollare la resistenza contro l’attacco sociale al forte dell’innocenza” (p.46). Ecco, si tratta di un film che può perfettamente rappresentare l’inno all’innocenza elevato da Tito nell’inesausto dialogo con il proprio controtransfert.
Il mondo salvato dai ragazzi indifferenti” è la rilettura/riscrittura di “Ragazzi al limite” (2011), il precedente scritto dell’Autore, che ce ne parla a pagina 43.
Questo secondo libro trasuda passione per il lavoro di psicoanalista, per il bisogno (oso dire inguaribile!) di trascinare nei gorghi emotivi le giovani menti con le quali entra in contatto e di farsi a sua volta trascinare da loro nel magma (a volte anche stagnante abisso) delle trasformazioni – emergere-sommergersi-riemergere! (Daniele Biondo, ivi, p. 248), proprio come vediamo accadere nel secondo film di cui ho poc’anzi scritto.
Qui, il protagonista (rappresentato da Vincent Cassel, che per di più somiglia a Tito anche fisicamente!) non smette di lottare contro l’ottusità sorda e cieca delle istituzioni perché, come Eraclito ha detto, “Se non speri l’insperabile non lo raggiungerai”. Come vediamo nell’episodio di Hulk, di Fragole e Panna…. Se lo vuoi lo puoi… Se ci credi, con salti mortali e giochi di prestigio come quelli del Bagatto, apprenderai, con Bion, a Apprendere dall’esperienza, e, con Melanie Klein, che a partire dall’Invidia puoi arrivare alla Gratitudine (pp.50-55).
Questo è un elemento da sottolineare delle pagine di cui vi sto parlando.
Dietro alla maschera del linguaggio piano, quotidiano, di Tito, senti (e ne godi) un grande spessore culturale, non solo nell’area della Psicoanalisi ma in quella di una cultura con la C maiuscola: film, letteratura, poesia, fisica, ermeneutica… sono gli strumenti che mostra di utilizzare direi come giocando e, comunque, anche quando si tratta di fatti dolorosi, con gioia.
Lo sperimentiamo nelle bellissime pagine dedicate a Socrate, perché a te la cicuta e la croce a Gesù? Dialoghi, dove incontriamo Mantegna, Pasolini, Curzio Malaparte, per non citare che alcune delle figure alle quali Tito fa riferimento e con le quali, soprattutto, entra in contatto (pp 61 e segg).
Tra le molte evocazioni di cui sono grata a Tito, mi sono tornati alla mente due libri che mi hanno fatto da ‘guida’ durante l’adolescenza: “I Santi vanno all’inferno” (1952, pubblicato da Longanesi nel 1966) e “Cani perduti senza collare” (1954, ripubblicato da Rizzoli nel 1995), di Albert Cesbron. Nel primo Cesbron narra – mediante quella di Pietro – le storie dei preti operai che tra il 1944 e il 1954 andarono a vivere nelle periferie, lavorando in fabbrica, a Parigi. Il tema del romanzo è la testimonianza di come si possa aspirare a una religione vicina agli invisibili, capace di parlare la loro lingua. Come Baldini aspira a una Psicoanalisi altrettanto capace di trovare e ridonare senso a vite che apparentemente un senso non ce l’hanno.
In “Cani perduti senza collare” invece il protagonista è Lamy, giudice dei minorenni, che opera, nell’immediato dopoguerra, con giovani allo sbando, che devono costruire da sé il proprio futuro. Egli ogni giorno lavora per far emergere, anche dove sembra non esserci alcuna speranza, fra lo scetticismo e la derisione di chi lo considera un ingenuo (come il protagonista del film “The Specials. Fuori dal comune”), la ‘bellezza’ dell’‘innocenza’.
Possiamo pensare a quest’ultimo libro di Tito, così come ai film e ai romanzi che ho evocato, come a una continua ‘provocazione’ che non smette di interrogare il lettore, nella proposta continua di guardare se stessi e il mondo da un vertice imprevisto, con stupita meraviglia.
Esattamente come accade in un altro film che ho molto amato, Oltre il giardino (del 1979, regia di Hal Ashby), un giardiniere analfabeta (interpretato da un grandioso Peter Sellers) è l’‘innocenza’ disarmante fatto persona, che ‘spegne’ con il telecomando una banda di ragazzotti aggressivi che lo importunano. Davvero, come nella scena in cui percorre a piedi un laghetto, sembra ‘camminare sulle acque’, e davvero qui, come nel libro di Tito, e come in una celebre frase di questo film, “La vita è uno stato mentale”.
Come leggiamo a pagina 211, bisogna tollerare di scendere, scendere a profondità a volte anche abissali, ma poi “non si può e non si deve rimanersene là sotto troppo a lungo… salire e scendere…a cicli continui… e questo ci attira e ci spaventa… non sempre e non tutti lo fanno nei vari mestieri di vivere” (pp. 211-212).
Come ha sottolineato Daniele Biondo nella Postfazione, è continuamente, in analisi, ma non solo, un emergere-sommergersi-riemergere!
Non solo, ho scritto.
E infatti a proposito dei ‘mestieri di vivere’ Tito evoca alla nota 131 (p.212) Cesare Pavese e il suo Il mestiere di vivere (1952). Scrive: “Il riferimento a Il mestiere di vivere di Cesare Pavese è voluto e ineludibile. In punto di morte egli scriverà: «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti.»”. E nelle righe successive si chiede se non abbia sulla pelle, soffrendo anche delle morti reali e metaforiche, se non ‘incontrato’ la Psicoanalisi per trovare la strada per convivere con le profondità, personali e degli altri. E conclude che (sottolineando di dovere tale acquisizione a Lucio Russo) la via maestra per poterlo fare sta nello “specifico della trattazione del controtransfert, connesso ai vari livelli dell’interpretazione” (p.212).
Insomma un bel libro, di tecnica e teoria ma non solo, anche di bella lingua (eco degli studi – e della passione per essi – dei suoi studi umanistici?), da un lato, ma anche, dall’altro, per i magnifici contributi, caldi e appassionati, di Saradis Thanopulos, Patrizia Cupelloni e Lucio Russo, Daniele Biondo e Maria Rosa Irrera (Appendice).