Elena Riva (2014)
Il mito della perfezione
Fragilità e bellezza nei disturbi del comportamento alimentare
Edizioni Mimesis
Commento di Laura Colombi in occasione dell’iniziativa del CMP “Aperitivo con l’Autore”
Ringrazio molto Elena per avermi chiesto di fare da discussant alla presentazione qui al Centro Milanese del suo ultimo libro “Il mito della perfezione”.
Non è solo un ringraziamento formale, ma anche autenticamente motivato dal piacere, oltre che dall’interesse, che la lettura di questo testo mi ha dato quando questa estate – anche con la mente più sgombra dal surplus di stimoli che ci occupano solitamente la mente – ho potuto riapprezzarne la qualità. Una seconda lettura che ha fatto emergere maggiormente quello che considero il suo tratto specifico e la ragione per cui lo consiglio. Se dovessi scegliere solo una frase per definire questo libro, direi che in esso sono amalgamati in modo particolarmente equilibrato elementi di carattere storico-biografico, con elementi tratti dall’evidente competenza che l’A. ha attorno al tema dei disturbi del comportamento alimentare. Un impasto che rende il sapore molto gustoso (giusto per stare nell’area dell’oralità….)
Entrando in medias res. Elena Riva (che, oltre ad essere membro della SPI è socio fondatore dell’Istituto Minotauro e in questo contesto è impegnata da anni) si occupa da tempo del tema dei disturbi del comportamento alimentare avendo lavorato e lavorando a livello clinico (e di supervisore) su con pazienti con una sofferenza di tipo anoressico-bulimico. Ma, proprio avvalendosi della sua personale esperienza e del fatto di aver potuto fruire di una casistica allargata che di quel’secondo occhio’ – competente ma alla giusta distanza- che ci è dato quando riflettiamo sul materiale clinico che altri ci portano, è riuscita a fare quel passo in più (che non è da tutti) che traduce l’impegno e l’esperienza clinica in una riflessione a più ad ampio spettro, che ha preso forma in libri specifici su questo argomento.
Nel 2009, pubblicato con Cortina, esce “Adolescenza e anoressia. Corpo, genere, soggetto”, un testo che, a partire dal carattere epidemico che il disturbo alimentare ha assunto dalla fine del secolo scorso, si apre al tema del possibile terreno socio-culturale nel quale ha radicato la trasformazione di questa sintomatologia: da specifico quadro individuale a espressione allargata del disagio femminile di questa fase evolutiva. Un quadro con cui si esprime, cito, “la fragilità narcisistica e il carattere conflittuale del processo di costruzione dell’identità di genere femminile in questo momento della crescita”.
E in questo approccio già si coglie, a mio parere, una caratteristica specifica della produzione di Elena Riva: la capacità di coniugare con competenza il livello intrapsichico, quello relazionale e quello sociale, inquadrando la complessità dell’argomento del comportamento anoressico-bulimico dallo stimolante vertice delle interazioni dialettiche di queste dimensioni .
Un testo, quello del 2009, che, a me sembra, faccia da base a quello che presenta oggi che, come a proseguire il’discorso’, ne allarga ulteriormente l’orizzonte d’indagine (mi piacerebbe però che fosse l’A. stessa a dirci qualcosa sull’eventuale legame di parentela tra questi due libri).
Là, io direi, lo sguardo è centrato prioritariamente sulle nefaste ricadute che la contemporanea ‘cultura del narcisismo’ comporta sulla mentalizzazione del corpo sessuato che l’adolescenza esige. Qui lo sguardo abbraccia differenti periodi storici in cui spiccano i profili di donne d’eccezione in cui il disturbo alimentare- in modo più o meno esplicito- caratterizza, come la punta di iceberg uno specifico stile di funzionamento mentale. Ma, ci dice l’autrice… “Scopo di questa ricerca, non è diagnosticare un disturbo alimentare a personaggi celebri del passato, bensì individuare nelle loro storie i germi e le specificità dell’ideologia affettiva che alimenta questo tipo di sofferenza” .
Alla ricerca dei miti affettivi – concetto che Elena riprende anche in omaggio a Pietropolli Charmet – che ispirano i disturbi del comportamento alimentare, l’autrice ricostruisce nelle storie di donne di spicco – Santa Caterina, Simon Weill, Emily Brontë, Emily Dickinson, e poi, tra le altre Elisabetta d’Austria, Silvia Plath, Maria Callas fino a giungere al ‘punto di svolta’ con Rita Levi Montalcini – quella costante tensione a costruire una personalità d’eccezione che sembra rappresentare il filo conduttore di vite anche molto diverse per altri versi.
Vite “votate alla realizzazione dell’Ideale” scrive Riva, “ Ideale etico, religioso, artistico o politico e, solo nelle espressioni più recenti, estetico”. La costante di questa organizzazione affettiva, Riva insiste su questo punto ( molto importante a mio parere), non è dunque il culto della magrezza, ma un “ideale spirituale” che si accompagna alla noncuranza per il corpo e per le sue esigenze. “Una scissione mente –corpo fondata sull’idealizzazione del polo spirituale e sulla svalutazione di quello materiale”; una scissione da cui deriva quella distorsione del rapporto con il nutrimento e la cura di sé, che assume, nelle protagoniste narrate, caratteri patologici.
L’A. ci porta (con particolare cura per il ritmo della descrizione biografica e per le ‘fonti’ di cui si serve, altra nota di merito del testo) all’interno di realtà, culture e contesti diversi, ma accomunati da storie infantili, ambienti, relazioni familiari e amorose che mettono in scena analogie con i più aggiornati rilievi della clinica dei disturbi alimentari, confermando un “continuum tra normalità e patologia e anche la centralità della questione femminile nella loro genesi”. (Continuità tra normalità e patologia che forse dovremmo discutere meglio se ce ne fosse la possibilità).
E’ il “mito della perfezione” lo snodo del discorso anoressico, ci dice Riva, ed è per questo che Rita Levi Montalcini, autrice dell’“Elogio all’Imperfezione”, viene prescelta dall’A. come emblema di una rielaborazione possibile e vitale, che svincola il destino di una femminilità offesa e illusoriamente curata con la ricerca dell’eccellenza, da questo claustrum autodistruttivo. Un mito della perfezione che si imbrica alla questione femminile e che diviene- lo si vede nelle storie narrate- la via prescelta per sottrarsi ad un’assimilazione ad un’imago materna potente e disprezzata, simbolo del dovere imposto dalla cultura dell’ambiente familiare. Scelte espressive che si accompagnano alla rinuncia della femminilità. L’Ideale, protagonista della scena, si impone e determina rinunce e scelte che, nel divenire dei differenti profili narrati, assumono tragicamente la qualità dell’ingabbiamento in amputazioni autodistruttive. Cito da p.12 “ Queste donne hanno volontariamente sacrificato la propria vita all’Ideale, comunque lo definissero, spesso rinunciando al ruolo materno o interpretandolo in modo drammaticamente conflittuale, perché incompatibile con il progetto di autoregolazione cui erano votate. Anche il loro rapporto con l’universo maschile è stato profondamente ambivalente”.
Un significato radicalmente antimaterno della scelta anoressica che ribalta l’ideologia affettiva con cui Freud definiva la femminilità, in un ideale femminile in cui diventano valori primari: autonomia, separatezza, e controllo delle pulsioni. Dunque un ideale che s’ ispira ai valori maschili e in cui lo stile anoressico “ sembra riflettere ed esasperare i conflitti dell’identità femminile contemporanea: attaccando l’onnipotenza materna e rifiutando con ciò ogni relazione di scambio per rifugiarsi in una rigida corazza narcisistica, con cui si esprime anche la vulnerabilità narcisistica dei ‘nuovi adolescenti’.
Un libro che include, come dicevo, vari livelli di analisi e che per questo intercetta sicuramente la ‘curiosità’ – in senso bionianamente conoscitivo- di lettori interessati, da diversi vertici, ad un tema così inquietante e complesso come quello dei disturbi di carattere alimentare.
Per lasciare il tempo alla discussione, visto che ci sono numerosi ‘ascoltatori’, sintetizzo al massimo l’ambito delle domande su cui mi piacerebbe potessimo soffermarci e, visto che siamo al Centro di Milano di Psicoanalisi, mi focalizzo, tra i tanti, su punti del testo che più possono dialogare con l’approccio psicoanalitico a questo argomento.
Una brevissima premessa: sullo sfondo delle mie domande (ma in primo piano per il significato delle nostre riflessioni e, soprattutto dell’approccio clinico che di volta in volta opzioniamo) sta la necessità- come viene ripreso dall’autrice nell’Allegato finale ‘la diagnosi del disturbo del comportamento alimentare’ – di operare delle distinzioni tra sintomatologia di carattere disturbo alimentare e sindrome anoressica vera e propria. Il discorso si farebbe troppo complesso per poterlo approfondire oggi, ma qualche spunto verrà sicuramente da Elena stessa e dal pubblico.
Allora, dal canto mio, mi piacerebbe, in prima battuta, che Elena si soffermasse sulla tematica legata alla dinamica Ideale dell’Io/Io Ideale come snodo dal vitale all’autodistruttivo: che peso nella clinica delle forme lievi e più drammatiche di questo disturbo, dal tuo punto di vista?
Inoltre: Rispetto alla scissione mente corpo che è stata ripetutamente- e molto opportunamente- richiamata più volte: che peso assume, dal tuo punto di vista, nel divenire dei disturbi di carattere alimentare, il danno precoce e/o “cumulativo” della relazione con l’ambiente?
Terzo punto: Quale co-dipendenza, nelle pieghe più sottili, vedi tra questi due fattori: ideale dell’io tirannico e area traumatica?
Less but not least: rispetto al concetto di antimaterno, che peso può assumere a tuo parere la non risoluzione dell’area pre-edipica con la ‘madre ambiente’ in questo quadro clinico?
Concludo, congratulandomi ancora e …pronta all’ascolto.
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Novembre 2015