Il Grande Gruppo
Osservazione psicoanalitica di istituzioni ed insiemi sociali ai margini del Caos.
di Guelfo Margherita
(Franco Angeli, 2021)
Recensione a cura di Ambra Cusin
“L’approccio multidisciplinare che anima questo libro […] rischia di essere molto doloroso. Ti sentirai cacciato via dai legittimi proprietari di un campo che non ti appartiene e che non sei all’altezza di far produrre. Ti sentirai ignorante e pieno di rabbia e di invidia per l’adeguatezza dei linguaggi e la capacità di controllo sperimentale che ha chi in quello spazio è diventato adulto rispetto a te destinato, nel campo che non ti appartiene, a restare comunque bambino per sempre” (p. 20). Ho trovato questo passaggio del libro estremamente evocativo ed è proprio con questo che ho voluto iniziare questa breve recensione dell’ultimo libro di Guelfo Margherita in cui sono raccolti gran parte dei suoi lavori su Il Grande Gruppo in cui, di fatto, Margherita esplora due proposizioni discutibili: può la Psicoanalisi essere utilizzata per comprendere i grandi gruppi, ovvero studiare psicoanaliticamente non solo individui umani ma anche entità complesse che, dice sempre Margherita, una branca della filosofia considera e chiama transumane? E ancora può l’Istituzione che di fatto è uno stato organizzato del Grande Gruppo, essere considerata anch’essa un’entità transumana, un organismo collettivo unico, come uno sciame d’api, dotato di vita e di psichismo propri emergente dalle reti di relazioni in cui si colloca? (p.11)
Se non avete problemi a sapere costantemente che ora sia, né a controllare dove siete, nel vostro studio o magari in vacanza – questi luoghi potrebbero paradossalmente confondersi nel senso che il lavoro per qualcuno è una vacanza mentre per altri è proprio la vacanza ad essere un lavoro – allora potete iniziare la grande avventura che consiste nel leggere questo libro.
Non senza sperimentare dolore.
Lo dice appunto, l’autore stesso, a chiare lettere.
Mi sono sentita così, esclusa da un sapere che non è il mio e che Margherita utilizza, con leggerezza e sapienza pur ammettendo di non conoscerlo, per costruire continue metafore nelle quali, se da un lato ci si perde, dall’altro improvvisamente si giunge a punti di vista, “belvederi panoramici”, da cui godere di un paesaggio psichico, intrapsichico, interpsichico, intersoggettivo, nonché transoggettivo e transumano, inaspettato. Per questo mi pare utile sottolineare la necessità, per chi legge, di appassionarsi anche se, a momenti si farà l’esperienza, fondamentale e necessaria nel lavoro dello psicoanalista, di non capire tutto. Forse di non capire nulla. Momentaneamente.
Margherita non ha scritto queste pagine per ‘far capire’ dei concetti, ma per permettere al lettore l’esperienza di emozioni che oscillano tra il riconoscersi, il sentirsi finalmente compresi, e la rabbia e l’invidia per non riuscire ad avere accesso, o ricordare, quando si ha a che fare con i grandi gruppi, come l’Autore in simili questioni se la sia cavata. Non è un testo esplicativo, è un testo emozionalmente vivo. Del resto, dice l’Autore, mancava nella bibliografia italiana, pur ricca di esperienze e riflessioni sul rapporto tra psichiatria, società e istituzioni, un lavoro teorico che tenga assieme una teoria specifica, non tanto su come gli esseri umani stiano assieme nei grandi gruppi, ma su come il Grande Gruppo si comporti come entità individuata di per sé. (p. 19) Il Grande Gruppo dunque come un’entità che incontra, nei vari crocevia della vita, le sue sfide, la sua Sfinge, dice Margherita, che dall’interno del gruppo chiede a se stesso: ma tu chi sei? Qual è il tuo mito? (p. 90)
Margherita non si limita, e lo dice lui stesso, a “descrivere fenomenologicamente […] i fenomeni obiettivi complessi” (politici, istituzionali, delle organizzazioni sociali magari con le loro disfunzioni, della stessa società psicoanalitica) ma va ad “individuare il nucleo profondo dentro cui i totem e i tabù gruppali sono custoditi”, al fine di scoperchiare, e ci riesce, “il crogiuolo delle streghe, posto nella pancia della tribù, dove bollono, per fondersi in una pozione unica, i residui dei doni individuali messi in comune dai partecipanti: invidie, gelosie, sopraffazioni, conflittualità, superbie, adorazioni, ritmi […] guerre, prepotenze, ruberie, fino alla globalizzazione dei genocidi e della desertificazione” (p. 15). E a me viene da sorridere pensando a come, giovanissima, alla mia prima analisi, avessi ingenuamente pensato, che, chi fosse riuscito a divenire analista, sarebbe stato tenuto al riparo da tutto ciò, in una posizione quasi idilliaca, ideale, e avrebbe per sempre saputo distinguere il bene dal male! Tutti sappiamo, razionalmente, che non è così, ma credo anche che, nel “crogiolo delle streghe” (p. 14) personale, questa illusione onnipotente ancora soggiorni e produca, all’infinito, meravigliosi pseudo-pensieri fatti di immagini grandiose e megalomaniche, narcisistiche e psicotiche. Immagini da cui, appunto, neanche gli psicoanalisti, con le loro lunghe analisi, vengono liberati per sempre. Immagini preziose per avvicinarsi e soggiornare nei Grandi Gruppi per ascoltare e creativamente oscillare, sostiene Margherita, tra la posizione di Gruppo di Lavoro e indispensabili Assunti di Base in cui sono contenute emozioni fondamentali alla comprensione.
Il libro ha il proposito di collocarsi nel filone che, a partire dal Freud di Psicologia delle Masse e analisi dell’Io, passa attraverso il pensiero di grandi maestri quali Bion, Pichon-Riviere, Anzieu, Bleger, Corrao, Kaës, Neri per individuare “nelle tribù umane vecchie e nuove, capacità psichiche collettive di emozionabilità, pensiero, mitopoiesi e comportamenti rituali strettamente connesse e tipiche della loro organizzazione in sistema” (p. 54).
Margherita sottolinea come il cervello umano sappia dare vita, dal sistema caotico che osserva, come per esempio un cielo stellato, a dei legami che originano delle immagini capaci di dare un senso, e magari costruirlo, attraverso sia il Mito che le Teorie Scientifiche. Meravigliose costellazioni che rendono il cielo notturno una mappa “conosciuta” che ci guida quando tutto attorno è buio.
Ma qui sta l’originalità del libro. Quale cervello? Non tanto quello del singolo essere umano, ma il cervello, o meglio ancora, la mente, l’apparato psichico sia del Piccolo Gruppo ( il gruppo familiare, terapeutico, di studio, ecc.) che del Grande Gruppo, di quelle entità complesse ovvero delle istituzioni, della politica, degli Stati, della società, cioè quei grandi gruppi trattati come soggetti unitari che – Margherita lo dimostra – possono essere indagati con gli strumenti psicoanalitici, o meglio attraverso quelle che chiama le gestalt psicoanalitiche cioè il setting, il transfert e l’interpretazione.
Necessario l’apporto del pensiero di Matte Blanco, da cui Margherita attinge a piene mani, mescolando sapientemente concetti complessi (dalle riflessioni sull’infinito di Cantor a quelle della fisica quantistica, dei frattali, ecc.) soprattutto per stabilire analogie e metafore con il funzionamento della mente gruppale. Mente gruppale che, non solo tratta gli oggetti in un modo caotico e specifico, potremmo dire psicotico, per il quale sono utili le concettualizzazioni di Matte Blanco sul pensiero simmetrico dell’inconscio, ma per le riflessioni che il Grande Gruppo fa su se stesso, gestendo la propria struttura caotica ed elaborando l’ansia che necessariamente ogni attività, specie il gruppo di lavoro, genera.
Direi che oggi, in cui tutto il mondo, sta affrontando con successi e sconfitte, il complesso problema di una pandemia, le riflessioni di questo libro appaiono quasi profetiche e ricche di spunti utili, e financo indispensabili, alla gestione del bene comune. Alla gestione delle tante situazioni che come psicoanalisti di gruppo ci troveremo necessariamente a dover affrontare: dalle supervisioni delle équipe e delle istituzioni non solo sanitarie, ma scolastiche, delle forze di polizia, di istituzioni del lavoro e delle diverse professioni, così come i problemi nuovi che si evidenzieranno tra gli adolescenti – in merito penso al bell’articolo sugli hikikomori comparso su Psiche (Piotti 1/2020), che guarda dal punto di vista individuale ma potrebbe benissimo arricchirsi di questo sguardo sul Grande Gruppo cui gli adolescenti appartengono – alla violenza di genere, ai suicidi che la letteratura scientifica sta segnalando in aumento. E tanto altro ancora.
A Margherita interessa, e lo ammette, “la produzione di pensiero psicoanalitico in grado di inventare teorie, modelli e tecniche che funzionino come ‘griglie’ contenitive e comprensive, dentro il nostro cervello gruppale, per avviare un percorso di addomesticamento e trasformazione”, concetti cari a Bion, “delle energie distruttive e delle catastrofi” (p. 169) . Non si tratta, aggiunge, di “occuparsi di un ‘naufrago’, quanto di stimolare la Psicoanalisi (nelle sue qualità di Teoria e Istituzione ed Insieme di analisti) a “produrre sia pensiero teorico, sia eventuali setting pratici per confrontarsi con un ‘naufragio’ ” (p. 169). Il naufragio dell’Europa che sembra non saper cosa fare con le migliaia di persone che fuggono dalla miseria e dalle guerre approdando sulle coste italiane, il naufragio del mondo intero davanti ad un microscopico virus estremamente contagioso e i mille naufragi quotidiani di una società cieca e muta. Priva, sembra, di attività di pensiero vitale e creativo.
Il libro è una summa degli scritti, generati in una vita di studio, esperienza e generosa operatività con piccoli e grandi gruppi cui Margherita ha partecipato. Questo fatto può dare origine alla ripetizione dei concetti cari a Margherita: l’Insieme Multistrato Complesso, lo sguardo polioculare della mosca nella situazione gruppale versus lo sguardo binoculare della relazione psicoanalitica individuale, il tema della verità e del rapporto tra Grande Gruppo e Istituzione. Ma queste “ripetizioni di concetti” permettono anche al lettore di saltellare creativamente da un articolo all’altro, leggendone anche solo uno, per avere stimoli sufficienti a riflettere, diagnosticare, prendersi cura del proprio lavoro quotidiano, e di se stesso, nella consapevolezza che siamo sempre, lo si voglia o meno, inseriti nelle dinamiche di Grandi Gruppi.
Anche io che me ne sto tranquilla nel mio studio, in attesa del prossimo paziente con il suo bagaglio di angoscia e di novità che ancora non sa di avere dentro di sé, convinta di starmene di fatto sola, lontana da tutto. Niente di più falso, mi fa capire Margherita. Comunque sono parte del mio Paese e delle sue scelte, del territorio parzialmente sconosciuto in cui sto vivendo provvisoriamente, ma anche delle mie idee e ideologie, delle mie credenze ambientaliste, del mio essere psicoanalista, o solo e semplicemente una donna moglie e madre. E tutto questo si intreccia nella mia mente in un grande caos che mi, e ci fa paura, cioè ci emoziona. L’errore sarebbe sfuggire da questa emozione per proteggersi. Fuggire dalla paura di essere vivi e di emozionarsi, così caratteristica di questo nostro mondo che vuole, pretende di poter garantire, onnipotentemente, sicurezza assoluta per tutti. Invece di lavorare per saper stare nella sospensione dell’incertezza pur assumendosi le proprie responsabilità e impegnandosi a costruire un mondo migliore.
Il lavoro di Margherita aiuta piuttosto a vivere la ricchezza emotiva di tutto questo. La generatività che si origina in ogni attimo in cui so di appartenere, e lo sento, lo soffro e quindi lo penso, ad una infinità complessa di cui non capisco nulla.
Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io, O.S.F., 9.
Piotti A. (2020). La dimensione Hikikomori. Effetti del virtuale nel ritiro sociale, Psiche, 1/2020, Il Mulino, Bologna.
Dossier Psicoanalisi e Guerre – Gennaio 2014
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