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“Il disegno e la psicoanalisi infantile” di M. Balconi, G. Del Carlo Giannini. Recensione a cura di Maria G. Pappa

5/03/25
"Il disegno e la psicoanalisi infantile" di M. Balconi, G. Del Carlo Giannini. Recensione a cura di Maria G. Pappa

Parole chiave: psicoanalisi, Freud, psicoanalisi infantile, Klein, Balconi, Squiggle

“Il disegno e la psicoanalisi infantile”
di Marcella Balconi, Giulia Del Carlo Giannini
Nuova edizione a cura di Filippo Mittino, Maurizio Stangalino, Giuliana Ziliotto
(Raffaello Cortina ed., 2024)

Recensione a cura di Maria Giuseppina Pappa

Forte si sente colui che trova le immagini di cui
la sua esperienza ha bisogno. Saranno molte,
ma non possono essere troppe, perché la loro
funzione consiste proprio nel tenere insieme la
realtà, che altrimenti si disperderebbe in mille
rivoli. E neanche dovrebbe essere un’unica
immagine che fa violenza a chi la possiede, non
lo abbandona e gli impedisce di trasformarsi.
Sono molte le immagini di cui abbiamo bisogno,
se vogliamo una vita nostra, e se le troviamo
presto, non troppo di noi andrà perduto.


ELIAS CANETTI, Il frutto del fuoco

La nuova edizione del libro “Il disegno e la psicoanalisi infantile”, un testo classico, fondamentale nella letteratura psicoanalitica sul disegno infantile, scritto in modo congiunto da Marcella Balconi e Giulia Del Carlo Giannini, è un’occasione particolarmente preziosa per i lettori di oggi, per riscoprire un’opera densa di contributi teorico-clinici, nel solco della psicoanalisi post-kleiniana e bioniana. Marcella Balconi raccontava di aver scoperto l’importanza del disegno nel trattamento analitico del bambino molto precocemente nella sua carriera scientifica, nel momento in cui, giovane terapeuta in formazione a Losanna, le era stata assegnata in cura una bambina psicotica che utilizzava il disegno come unico mezzo di espressione. In quel periodo, nel secondo dopoguerra, la psicoanalisi infantile stava ancora faticosamente cercando di affermarsi ed essere pienamente riconosciuta nell’ambito del movimento psicoanalitico internazionale. Sappiamo come la psicoanalisi infantile, di cui Marcella Balconi è stata una delle principali fondatrici  in Italia, abbia incontrato forti resistenze di natura teorica e relative alla prassi terapeutica, comportando risorse e sfide per l’Istituzione psicoanalitica, “divisa tra la paura di tradire il suo assetto più abituale, il rapporto uno a uno tra analista e paziente, e la consapevolezza che questa diversa area di lavoro, proprio per la sua complessità, possa arricchire non solo l’esperienza pratica, ma anche la teoria psicoanalitica” (Badoni, 2023, p. 29). Questo libro è la testimonianza di un ricco e lungo dialogo tra Marcella Balconi e Giulia Del Carlo Giannini, due pioniere nella storia della psicoanalisi infantile in Italia (Algini, 2007), che hanno organizzato seminari di formazione in comune, spesso nei loro rispettivi servizi di Neuropsichiatria infantile a Novara e a Lucca, e che si sono dedicate allo studio e all’approfondimento sia di autori più lontani: Spitz, A. e S. Freud, Klein, Winnicott, Bowlby; che di quelli più vicini: Bion, Bick, Meltzer, Harris, Tustin, Mahler. Sulla scia del lavoro di Melanie Klein, Anna Freud e Donald Winnicott, che avevano introdotto il disegno nella stanza di analisi, Marcella Balconi e Giulia Del Carlo Giannini affermano di aver “cercato nei segni, negli scarabocchi, nei tratti grafici del bambino, nelle sue rappresentazioni di cogliere i vissuti sensoriali, emotivi, le dinamiche del primo rapporto con l’oggetto, le immagini primarie fissate nell’inconscio e inscritte nel disegno, tentando di ricostruire i passaggi dalle sensazioni alle emozioni e al pensiero” (p. XXVI).

È noto come Melanie Klein abbia utilizzato in seduta il disegno nell’ambito della più ampia tecnica del gioco da lei messa a punto, corrispondente al principio psicoanalitico delle libere associazioni (Klein, 1953). Più in particolare Klein (1923) concepisce il disegno come derivato da una profonda attività dell’Inconscio, cioè come la procreazione e la produzione nell’inconscio dell’oggetto raffigurato. Nell’approfondire la natura del disegno come espressione dell’attività inconscia, nel corso delle analisi di bambini da lei condotte, il disegno viene descritto come mezzo sublimato per soddisfare le pulsioni, e come gesto magico e riparativo (Klein, 1929). Nel 1927 in Contributi a un simposio sull’analisi infantile, in una delle tante controversie tra le due analiste, Klein invitava Anna Freud a impegnarsi maggiormente per capire il significato simbolico del gioco e del disegno infantile. In realtà anche Anna Freud, seppur con un altro approccio e un altro tipo di interesse, forse più limitato, conferisce valore al disegno infantile come mezzo di comunicazione: “Un altro ausilio tecnico che, accanto all’utilizzo dei sogni e delle fantasticherie, ha spesso una parte di primo piano in parecchie mie analisi di bambini è il disegno: in tre dei casi riferiti esso sostituì addirittura, per un certo periodo, quasi tutti gli altri modi di comunicare” (Freud A., 1926). Sempre a proposito della Klein, che nella sua pratica clinica ha fatto un uso esteso del disegno, correlandolo strettamente e in modo costante con tutti gli altri derivati dell’inconscio e con i principi fondamentali della tecnica della psicoanalisi infantile, va comunque sottolineato come l’Analisi di un bambino (Klein,1961), con i suoi disegni e le sedute di Richard, rappresenti il più importante libro di consultazione per chi si occupi di disegno e di psicoanalisi infantile. Un altro testo fondamentale è il libro di D.W. Winnicott (1971) Colloqui terapeutici con i bambini, in cui l’Autore descrive la sua tecnica dello scarabocchio, creata a contatto con i piccoli pazienti nella sua vasta esperienza clinica. Wallon (1951), nella Prefazione di Les dessin chez l’enfant (che presenta anche una bibliografia sul disegno infantile fino al 1949), scrive: “lo scarabocchio ha già una virtù espressiva, così come l’emissione di suoni nella quale indulge il bambino prima di parlare. Esso inscrive nei tratti spezzati o continui, a raggiera o concentrici, ondulati o angolosi, le reazioni emotive o i ritmi abituali del bambino. Può già essere espressione di una crisi affettiva o di un temperamento. […] lo scarabocchio, realizzandosi, diventa per il bambino un oggetto tra gli altri oggetti e un oggetto privilegiato, poiché è l’oggetto che lui stesso va creando”.

Marcella Balconi nel suo lavoro seguiva un metodo più affine a quello prospettato da Melanie Klein, oltre che riguardo al disegno e al gioco, riguardo alla possibilità di sintonizzarsi anche con pazienti molto piccoli. La visione balconiana è più “globale”, contemplando la possibilità di consentire da subito l’espressione del mondo interno del bambino, attraverso l’osservazione delle dinamiche nella relazione con lui e del significato assunto dal disegno, dal gioco, sin dai primi incontri di “consultazione”, aventi già una valenza trasformativa. Inoltre Balconi, è in linea con un’impostazione di impronta winnicottiana, di una psicoanalisi attenta al sociale, in cui l’intervento trasformativo della cura include anche i genitori e l’ambiente familiare, proponendo un modello in cui i piccoli pazienti vengono accolti inizialmente insieme al genitore. Tale modello, nel suo essere innovativo,  sembra essere il preludio a successivi sviluppi della psicoanalisi infantile che condurranno fino alla concettualizzazione della Consultazione partecipata, ad opera di Dina Vallino (2009). Si tratta di un’impostazione moderna, straordinariamente attuale e necessaria alla psicoanalisi contemporanea, in cui, come afferma Marta Badoni (2004), i genitori sono protagonisti, assieme ai figli, di un rapporto intersoggettivo estremamente complesso, e quindi anche parte essenziale del lavoro terapeutico. Per quanto attiene alla interpretazione del disegno in analisi, bisogna sottolineare come Marcella Balconi, abbia attinto alla sua grande passione per l’arte e alla sua cultura pittorica per introdurre elementi di analisi del disegno dei piccoli pazienti. Alla luce di questo prezioso apporto, colori intensi, così come espressioni violente di colore spesso sono un indice di straripamento emotivo, che l’Io fatica a contenere. Altre volte l’attenuazione, fino alla scomparsa del colore, con l’affiorare di elementi astratti, disegni “tutta forma”, fanno pensare a un Io in difficoltà nello sforzo di difendersi da spinte emotive eccessive. Come contributo alla comprensione del disegno infantile, il libro è ricco di riferimenti all’opera di Paul Klee e Wassily Kandinsky. Per motivi di spazio, mi soffermerò solo su alcuni di essi. Il modo di procedere di Balconi, nella teoria e nella clinica, è quello di “tenere insieme” i vari campi di osservazione delle dinamiche del bambino, per cui l’impiego del disegno va sempre considerato dal terapeuta in combinazione con il gioco e il linguaggio, in un campo di attenzione fluttuante e sognante, sul modello bioniano. A questo proposito Marta Badoni (2023) scrive che come il gioco, il disegno che un bambino fa in seduta, non è un disegno qualsiasi, ma può passare dall’atto alla rappresentazione e viceversa, e resta comunque un’operazione condivisa, con delle sfumature diverse. Così come certi racconti di sogni, il disegno può essere presentato e subito stracciato senza possibilità alcuna di ulteriore lavoro comune. In altre situazioni invece il disegno si dipana seguendo movimenti associativi, sulla base di una parola evocatrice, allo stesso modo in cui il particolare di un sogno può essere ricordato a seguito di una parola dell’analista. Dunque il disegno presenta analogie e differenze con il racconto di un sogno: anche se il sogno è notturno e il disegno nasce alla luce del sole, resti diurni e pensieri oscuri caratterizzano sia il disegno che il sogno. Come il racconto del sogno assume tonalità diverse a seconda dell’atmosfera emotiva che si crea in quel momento tra analizzando e analista, così è per il disegno, per come si manifesta in seduta nella sequenza dei temi presentati, nella qualità del tratto, nella disposizione spaziale, nella scelta dei colori, oltre che nel commento sonoro e in parole che il bambino può darne. Il disegno arriva pertanto a somigliare a un sogno fatto in presenza dell’analista. Sia il racconto del sogno come l’evolversi di un disegno tracciato nella mente dell’analista, si dispiegano come pensiero onirico della veglia, con un’alternanza tra messa in comune e scarto. Lo sguardo di Marcella Balconi e di Giulia Del Carlo Giannini è rivolto ai bambini e ai loro disegni in età precedente all’epoca di latenza, in quel momento particolare dello sviluppo in cui i processi primari si intrecciano con quelli secondari. Ora i bambini esprimono i loro vissuti più primitivi e angosciosi in una situazione che pare essere tra il sonno e la veglia, dove conscio e inconscio sembrano ora alternarsi, ora integrarsi, e dove sensorialità ed emozioni si fondono per fare spazio al pensiero. Balconi osserva come lo stare di fronte allo psicoterapeuta, seduti al tavolo, potendo volgere lo sguardo a lui, e trattenere i suoi occhi, permette al bambino una comunicazione intensa, che implica l’intrecciarsi dello sguardo, l’agire disegnando, il lasciarsi andare, il parlare, l’intendersi e il difendersi, in un periodo dello sviluppo in cui l’espressione verbale non può essere ancora mezzo privilegiato per comunicare sentimenti complessi. Bisogna poi considerare che il gioco, strumento abituale di espressione per il bambino, venga a volte abbandonato, o lasciato in disparte, per il timore di un coinvolgimento troppo intenso. D’altro canto Balconi nota come attraverso il gioco, il bambino non riesca ad esprimere quelle sensazioni primarie legate alla bocca-mano, all’interno-esterno, che solo l’attività grafica può fissare in un movimento che segna stabilmente il foglio. A questo proposito Dolto (1982) scrive: “Torniamo al cordone ombelicale. Ogni feto ha stretto il cordone tra le mani, vale a dire ha una rappresentazione immaginaria nel palmo. Si tratta di un significato “canalizzato”, perciò ogni bambino può arrivare a un certo momento a mettere sulla carta ciò che ha sentito in maniera tattile. Già il disegnare è una metafora tattile, la trasposizione metaforica di un vissuto. È già un linguaggio, ma linguaggio tattile. È il linguaggio della mano. L’occhio, per parte sua, dà poi un senso a ciò che è stato disegnato”. Del Carlo Giannini commenta dicendo che la mano dunque, insieme alla vista, ed entrambe prima del linguaggio, è portatrice di una parte dell’esperienza primaria fusa e confusa con la bocca, e, come essa, con il seno della madre. Bick (1964) descrive così tale esperienza: “ è estremamente chiaro che il bambino ha un rapporto diverso con i due seni e che la mano tende a comportarsi come se fosse una bocca  […]. A volte le sue mani si mettono in relazione fra loro,”. Il fare dei segni che rimangono sul foglio, il creare forme che si possono trasformare, accompagnandole con parole che diano ad esse significato, fanno sì che il bambino possa sentirsi più vivo, avere una parte attiva e arrivare a pensare. Paul Klee (1956) scrive: “Nei tempi antichissimi, quando scrittura e disegno ancora coincidevano, la linea era l’elemento primo. Anche i nostri bambini per lo più cominciano da essa; un giorno scoprono il fenomeno del punto in movimento (con quale entusiasmo a noi riesce ormai difficile immaginarlo). La matita prende allora a muoversi con la massima libertà, ad andare a piacimento. Quando poi guardano quel che hanno fatto, si accorgono che le vie percorse sono rimaste fissate sulla carta”. Quando i bambini disegnano, nel trasmetterci le loro sensazioni-emozioni che stanno trasformandosi in pensiero, vogliono essere capiti e contenuti. Nel contesto di un lavoro analitico il disegno diventa il punto di congiunzione di due esperienze, una passata e una presente, un mezzo per esprimere nel “qui” e nell’”ora” della seduta, ciò che ha avuto luogo in uno spazio e in un tempo antecedenti. In virtù del rapporto di transfert, tutto ciò che avviene nella stanza di analisi, altro non è che la ripetizione di un già avvenuto e che è riattualizzato per essere elaborato (Freud, 1914). C’è la tendenza a ripetere ciò che è rimosso come esperienza presente, anziché ricordarlo come un frammento del passato, e nel trattamento dei bambini psicotici c’è piuttosto una “ripetizione di ciò che non riesce ad essere rimosso”, a causa dell’esperienza primaria di rapporto che ha determinato l’arresto dello sviluppo evolutivo.

Il libro di Marcella Balconi e di Giulia Del Carlo Giannini si configura come una raccolta di saggi sul disegno nella psicoanalisi infantile, in cui a ogni saggio, tranne l’ultimo, fa seguito la storia del bambino; le sedute in cui il bambino ha disegnato, vengono sintetizzate nel testo, o riportate in appendice; i disegni su cui le autrici si sono soffermate nel testo, sono stati riprodotti. Nelle varie parti del volume, la clinica non è mai disgiunta da un’ampia panoramica di orientamenti teorici. Un Autore che ricorre spesso tra le pagine del libro è W.R. Bion, con particolare riferimento al suo libro Trasformazioni (1965). Di fronte a un disegno infantile, come davanti alla tela di un pittore, siamo al cospetto di una trasformazione avvenuta, a un prodotto finale, ma non conosciamo, o conosciamo poco, il paesaggio iniziale (la O di Bion) che è in esso rappresentato e di cui dobbiamo andare alla ricerca, nel tentativo di risalire all’esperienza originaria di rapporto. Nei disegni dei bambini è frequente l’uso del punto, della linea, del cerchio, forme elementari portatrici di una temporo-spazialità peculiare, poiché nello spazio geometrico il punto è adimensionale, la linea unidimensionale, la superficie bidimensionale, il volume tridimensionale. Tali forme elementari conferiscono un notevole significato alla rappresentabilità dell’esperienza primaria, collocandola nell’ambito dei parametri spazio-temporali che le sono propri. Il punto si rivela essere un elemento figurativo di rilievo, sia comparendo sporadicamente tra immagini meglio definite, sia moltiplicandosi e aggregandosi in forme più o meno regolari, o accumulandosi in corpi spaziali, sia venendo utilizzato come immagine rappresentativa a sé, nominata in modo esplicita dai bambini. Nella pittura astratta il punto è concepito come una forma che rappresenta il massimo della concisione spaziale e temporale. Per Kandinsky (1912a) “Il punto è l’unione suprema e unica di silenzio e di parola” (p.15). Bion (1965) seguendo l’ottica della geometria euclidea, utilizza il punto, la linea e il cerchio come segni insaturi, allo scopo di rappresentare le posizioni dell’oggetto. Il punto rappresenta il luogo un tempo occupato dal seno; la linea rappresenta la posizione di dove un tempo era il pene, e il suo futuro e il suo passato; il cerchio rappresenta il limite spaziale. Dunque punti, linee e cerchi costituiscono l’architettura di tutte le dimensioni dello spazio sia esterno, sia interno. Nell’insieme questi segni definiscono la struttura spaziale per l’individuo normale, ma quando diventano entità negative, si configura la condizione di – K, cioè la psicosi (Grotstein, 2007). Il cerchio è l’elemento grafico più studiato nel disegno infantile, ed è considerato da tutti l’inizio delle forme rappresentative, data la sua comparsa precoce, subito dopo la fase dello scarabocchio. E. Gaddini e R. Gaddini (1984) vedono l’immagine circolare come l’ “immagine mentale del Sé corporeo separato”, che non deve essere confusa con l’immagine corporea più tardiva del disegno dell’omino.

Concludendo, in linea con quanto scrivono i curatori di questa nuova edizione, se leggere oggi il libro di Marcella Balconi e Giulia Del Carlo Giannini ci permette di immergerci nel fecondo clima degli inizi della psicoanalisi infantile, abbiamo anche il compito di custodire, e riscoprire un’eredità storica così fondante, e farne fruttare i semi nel terreno odierno della contemporaneità.

Riferimenti bibliografici

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Badoni, M. (2023), Prendersi in gioco. Una psicoanalista racconta. Milano, Raffaello Cortina.        

Bick, E. (1964), “Note sull’osservazione del lattante nell’addestramento psicoanalitico”. Tr. it. in BONAMINIO, V., Iaccarino, B. (a cura di), L’osservazione diretta del bambino. Torino,   Boringhieri, 1984.

Bion, W.R. (1965), Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita. Roma, Armando, 1973.

Dolto, F. (1982), Seminario di psicoanalisi infantile. Milano, Emme, 1984.

Freud, A. (1926), Quattro conferenze sull’analisi infantile. Tr. it. in “Opere” , vol. 1. Torino, Boringhieri, 1978.

Freud, S. (1914), Ricordare ripetere rielaborare. OSF, 7.

Gaddini, E., Gaddini De Benedetti, R. (1984), “La frustrazione come fattore della crescita normale e patologica”. In Crescita, 6, pp. 37-43.

Grotstein J.S. (2007), Un raggio di intensa oscurità. L’eredità di Wilfred Bion. Milano, Raffaello Cortina, 2010.

Kandinsky, W. (1912a), Punto e  linea nel piano. Tr. it. in Tutti gli scritti, vol. 1 Milano, Feltrinelli, 1973.

Klee, P. (1956), Teoria della forma e della figurazione. Milano, Feltrinelli.  

Klein, M. (1923), “La scuola nello sviluppo libidico del bambino”. In Scritti 1921-1958. Torino,Boringhieri, 1978.

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Klein, M. (1929), “Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo”. In Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Klein, M. (1953), “La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato”. In: Klein, M. Heimann, P., Money-Kyrle, R.  (a cura di) Nuove vie della psicoanalisi, Milano, Il Saggiatore, 1966.

Klein, M. (1961), Analisi di un bambino. Torino, Boringhieri, 1971.

Vallino, D. (2009), Fare psicoanalisi con genitori e bambini, Roma,Borla.

Wallon, H. (1951), “Prefazione”. In Naville, P., Zazzo, R. Weil P.G., Bried, C., Boussion-Leroy, A., Horinson, S., Le dessin chez l‘enfant. PUF, Paris.    

Winnicott, D.W. (1971), Colloqui terapeutici con i bambini. Interpretazione di 300 ‘scarabocchi’.  Roma,Armando editore, 1974.

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