Parole chiave: Psicoanalisi, Freud, Corpo
IL CORPO CHE PARLA
A cura di Donald Campbell e Ronny Jaffè
(Mimesis ed., 2023)
Recensione di Amedeo Falci
Il libro curato da Donald Campbell e Ronny Jaffè, è una raccolta di lavori rappresentativi del gruppo di lavoro italo-britannico che ha lavorato dal 2003 con incontri semestrali. Una storia dettagliata delle origini dell’iniziativa, dal 2001, e dei successivi meeting del gruppo è ben presentata, nel secondo capitolo del volume, da Luigi Caparrotta e da Mariapina Colazzo Hendriks. Tra le iniziali motivazioni degli analisti ad una ricerca sul tema vi era la convinzione che la psicoanalisi, nel suo complesso, pur avendo storicamente collocato al centro del suo discorso la pulsionalità naturalistica e corporea, avesse paradossalmente messo in ombra proprio il corpo come ineluttabile matrice dello psichico. Ciò che appariva interessante approfondire era non più e solo il corpo come fonte di malattia psicosomatica e genesi del disagio psichico, ma il corpo tout court nelle sue funzionali relazioni con la mente.
Gli analisti, pur di differenti provenienze teoriche e cliniche, hanno avuto come vertici comuni una prospettiva relazionale dell’interazione corpo-mente, la centralità della matrice corporea del sé, e l’evidenza che lo stesso legame tra due inconsci passi incontestabilmente attraverso l’interazione tra due corpi.
Presenterò adesso una breve rassegna i lavori del libro, che non potranno purtroppo avere l’approfondimento che meriterebbero, dati i limiti di questa nota.
Nel suo lavoro Il corpo pulsionale e le sue implicazioni cliniche, Thanopulos opera una netta distinzione tra il modello del corpo psicoanalitico, il corpo del desiderio — il corpo ‘isterico’ con il suo linguaggio di conversione somatica — e il corpo della biologia e della medicina, che non è sovrapponibile al primo. Questo modello di corpo psicoanalitico viene dall’autore radicato nella comunicazione corporea silenziosa tra bambino e madre (Winnicott, 1965); una comunicazione tra di essi “non attraverso codici dotati di un significato semantico, caratteristici della comunicazione intenzionale, bensì attraverso la trasmissione reciproca, mediata dai loro corpi, di dati esperienziali profondamente radicati nel senso di esistere che non possono essere pensati”. Una parte del lavoro è dedicato all’identificazione isterica, e alla ridefinizione dei concetti di sensazione-sentimento e di affetto, secondo Matte Blanco. Un lungo ed interessante capitolo è estesamente dedicato allo specifico ruolo del corpo nel contesto psicoanalitico, ed una parte è dedicata alla corporeità nelle analisi degli psicotici. Il lavoro analitico per Thanopulos si collocherebbe dunque in una continua oscillazione tra la rappresentazione attraverso il corpo, che implica una “grande quantità di emozione e poco pensiero”, e la rappresentazione attraverso le parole, che implica “una grande quantità di pensiero e poco coinvolgimento emotivo”, una oscillazione che ha nel sogno il suo centro mediatore.
Nel contributo di Jaffè, Transizioni di stati somatici e sensoriali, l’autore, partendo dai concetti di controtransfert, di assetto mentale dell’analista, di funzione analitica della mente, di relazione contenitore-contenuto, di pensabilità in relazione alle emozioni e agli affetti della coppia analitica, intende richiamare l’attenzione alle risonanze corporee e sensoriali basiche determinate dal paziente nell’analista; risonanze che possano poi costituire il necessario veicolo per la comprensione di disarmonie e di malesseri somatici dell’analizzando. Il lavoro da grande rilievo ai contributi di Gaddini (1980), Hautmann (2003) e Marcelle Spira (1986, 1993, 2005), autori che non hanno solo approfondito i temi della corporeità, della sensorialità e della relazione mente-corpo, ma hanno soprattutto focalizzato l’attenzione sull’ascolto e sull’elaborazione dei “frammenti corporei” (Gaddini), delle “cicatrici corporee” (Hautmann), di quell’intollerabile esperienza di vuoto di contatto che si genera dalla “mancanza di continuità tra soma e psiche” e dalle rotture del legame inconscio tra corpo e mente (Spira). Il contributo di Jaffé si arricchisce della presentazione di due casi in fasi avanzate delle loro analisi, tesi a mostrare come attraverso un percorso elaborativo delle memorie sensoriali vi sia la possibilità di costruzione di simbolizzazioni laddove prima erano cicatrici corporee. Riprendendo le indicazioni dell’autore sulle necessità di una delicata regolazione controtransferale, si può affermare che “il contatto da parte dell’analista con i suoi stati corporei e le sue memorie sensoriali ha permesso di tenere nella sua mente questi due pazienti come menti più integrate, accogliendo la loro richiesta di essere presi nelle loro parti scisse, clandestine, disarmoniche, per restituire loro diritto di cittadinanza.“
Luigi Caparrotta nel suo contributo, Espressioni corporee di stati affettivi non rappresentati, argomenta sulle difficoltà dell’analista nell’individuare e decifrare espressioni nascoste e distorte di stati affettivi. La gradualità nel riconoscimento, nella regolazione e nell’integrazione di esperienze sensoriali e motorie multimodali basilari, porta alla conclusione che la “rappresentazione del sé prima di tutto è una rappresentazione del sé corporeo” (Sandler & Sandler, 2002), in modo tale che l’Io corporeo divenga precursore dell’organizzazione dell’Io. L’autore fa molto riferimento alla fase dell’imitazione (Gaddini 1969), che, insieme all’introiezione, costituisce parte della struttura del processo di identificazione al servizio dell’adattamento e del principio di realtà. La fase di imitazione, tuttavia, deve combinarsi con un adeguato grado di affect attunement (Stern, 1985), per cui se l’imitazione non è integrata con l’introiezione, allora essa tende a persistere e portare a manifestazioni psicosomatiche generate dal deficit della rappresentazione mentale e della capacità di introiezione. Così pure, un’ insufficiente strutturazione psichica prima del linguaggio può condurre frequentemente a soluzioni somatiche. In un caso che l’autore riporta, una disarmonia di base del rapporto mente-corpo sottendeva un profondo conflitto d’identità sessuale ed agiti autolesionistici. In altro caso viene presentata una condizione analitica caratterizzata da una forte comunicazione inconscia di stati affettivi corporei non rappresentabili; elementi, questi appena citati, che sono ben ripresi nel contributo di Berti Ceroni.
Di carattere più fortemente epistemologica è la premessa del lavoro di Cristiano Rocchi, Il corpo in psicoanalisi. In coerenza con la sua opzione filosofica do orientamento decisamente monista, l’autore muove le sue argomentazioni partendo da una critica verso il sapere psicoanalitico rimasto ancora vincolato, senza riconoscerlo, ad un dualismo cartesiano mente-corpo, che ha ostacolato una vera visione integrata sia nelle teorie che nelle applicazioni cliniche. E proprio in questa direzione, l’autore cerca di ricostruire il senso mentale delle funzioni somatiche a partire dalle fantasie originarie del Sé come fantasie nel corpo (Gaddini, 1980). Molto correttamente Rocchi pone la questione se il senso del mentale vada dedotto dalle funzioni somatiche, ovvero, all’opposto, se siano i meccanismi biologici a trarre origine dal simbolismo dei fantasmi inconsci. Nella prima eventualità il senso mentale delle operazioni somatiche, incorporato nel concreto funzionamento fisico, diverrebbe successivamente autonomo e mentalizzato nella simbolizzazione psichica. Nella seconda evenienza, si tratterebbe del modello che ricorda molto quello della conversione isterica — che è esattamente l’opzione del lavoro di Thanopulos — la quale si estenderebbe alle strutture governate dal sistema nervoso autonomo e agli organi interni di muscolatura liscia, secondo una simbolizzazione sessuale e conflittuale, come nella prima tesi della psicosomatica analitica. La posizione di Rocchi si colloca invece, all’ opposto, in un modello che vede il corpo come la matrice originaria attraverso gli affetti, delle funzioni mentali, in cui lo psichico è una differenziazione dello sviluppo biologico del corpo umano (Ferrari, 1992).
Donald Campbell nel contributo La violenza fisica e la sua configurazione in un adolescente maschio, presenta un suo lavoro terapeutico con un adolescente dove atti di violenza esprimono l’uso difensivo del proprio corpo sia contro i rischi della sua eterosessualità, sia contro le fantasie di passivizzazione omosessuale. Campbell mostra l’importante ruolo della sublimazione nel favorire una transizione dall’acting out violento alla comunicazione, e alla risoluzione del rapporto con il proprio corpo.
Un altro interessante resoconto analitico è nel lavoro di Joan Schächter, Afferrato da un dolore selvaggio, con un giovane a rischio suicidario che perseverava in attacchi alla propria vitalità somatica attraverso un estenuante regime di diete e di debilitanti esercizi fisici; espressioni patologiche del suo intrappolamento psichico legato alla costante fantasia di unione con una madre idealizzata. I riferimenti teorici riguardo all’asimmetria tra la passività inerme del bambino e la seduttività materna vanno a Laplanche (1999), a Green (1983, 1993), a Roussillon (1999).
Mariapina Colazzo Hendriks, con Profumi, porta un originale resoconto analitico imperniato sulla comunicazione sensoriale olfattiva tra paziente ed analista. Il lavoro è molto centrato sulla discussione delle delicate regolazioni transfert/controtransfert, ed offre anche una interessante rassegna di letture sul tema mente-corpo.
Barbara Piovano, nel suo Il corpo nella stanza d’analisi, concorda con le premesse del gruppo di lavoro sulla necessità di recuperare una certa negligenza della psicoanalisi verso i fenomeni corporei. Il corpo entra oggi nella stanza d’analisi come presenza significativa, e non solo nell’analisi dei bambini e degli adolescenti. Dopo una rassegna storica della relazione corpo-mente in psicoanalisi, viene presentata l’ipotesi di lavoro su come l’ascolto del corpo consenta una piena ed integrata espressione di tutti gli idiomi del paziente. Ne deriva che l’analista può diventare strumento di cura attraverso il sapiente uso del controtransfert ed il contatto con il proprio corpo. Il felice conio della formulazione ‘touching cure’ accanto alla nota formulazione di ‘talking cure’ esprime con efficacia l’importanza di una sorta di rêverie sensoriale e verbale che tocchi emotivamente il paziente andando incontro ai suoi bisogni di touching profondo e di trasformazione simbolica. Da segnalare ancora nel lavoro di Piovano un interessante capitolo dedicato al corpo nell’analisi infantile, ed una illustrativa sintesi dei punti di concordanza e discordanza sul tema mente-corpo tra le due scuole psicoanalitiche a confronto.
Patricia Grieve, nel suo Una pelle propria. Sui confini, la pelle e la sessualità femminile, esplora attraverso la narrazione di una delicata esperienza analitica i rapporti tra confini del corpo, sensorialità cutanea e femminilità. Centrali sono i riferimenti ad Anzieu (1983), a Winnicott (1969), a Gaddini (1980), a Green (2005). Il lavoro con la sua giovane paziente è stato diretto verso la trasformazione di quelle configurazioni proto-simboliche cariche di angoscia, e quindi non rappresentabili, che coinvolgono corpo, Sé, ed oggetto, ma anche verso quelle delicate relazioni tra i tessuti che avvolgono e proteggono l’integrità del corpo, e gli orifizi del corpo eroticamente investiti. La possibilità di ricostruire le ripetute intrusioni nei fragili tessuti della paziente, ha permesso una ri-significazione del trauma precoce, con una più compiuta integrazione della sessualità femminile.
Il lavoro di Bernard Roberts, Il segreto nascosto. La distorsione dell’Io nella deformità facciale, tratta di un lunghissimo e drammatico lavoro analitico con un giovane affetto fin dalle prime fasi di vita da una grave malformazione buccale che ha richiesto e continua a richiedere nel tempo continui interventi chirurgici, che tuttavia hanno comportato una parziale amputazione della lingua. Particolarmente impegnativa è stata la regolazione del controtransfert, per le condizioni profondamente inquietanti del giovane, che hanno suscitato nell’analista un misto di preoccupazione, pietà e repulsione e paralisi psicologica di fronte al ragazzo. Il profondo vulnus fisico ha plasmato la percezione di sé del giovane, e l’immagine corporea deturpata è stata determinante nelle ripetute distorsioni nello sviluppo, nelle patologie nell’organizzazione difensiva, nella sessualità, e nei frequenti break down. Oltre ad impulsi distruttivi e vendicativi, il lavoro con il paziente ha anche fatto scorgere desideri di una riparazione magica o di una rinascita in un mondo con un corpo normale e una madre in grado di arginare uno stato paranoico della mente.
Infine il volume porta, a testimonianza del loro apporto al gruppo di lavoro italo-britannico, lavori di due colleghi che purtroppo non sono più tra noi, Sergio Molinari e Giuseppe Berti Ceroni.
Nel lavoro Dall’ombelico del sogno al figlio della notte, Sergio Molinari ritorna al suo campo di esplorazione dell’interpretazione onirica recuperando la relazione tra i temi freudiani dell’’ombelico del sogno’ (1899) e de ‘il figlio della notte’ (1932). Attraverso un percorso che attraversa l’inconoscibile [unerkennbar] freudiano — piuttosto che semplicemente lo sconosciuto [unbekannte] — (Anzieu, 1975), l’inconoscibile kantiano, l’O bioniano, ed il modello dei mirror neurons (Rizzolatti), Molinari giunge all’ipotesi che questo per Freud ‘pensiero rinnegato’, ‘ il figlio della notte’, sia un particolare caso di identificazione personale dell’analista con il sognatore “così inquietante da richiedere uno sforzo interpretativo particolare”.
Giuseppe Berti Ceroni, nel suo lavoro La relazione terapeutica e i sensi, si interroga sul perché sensorialità ed emozioni non compaiano nel paradigma della cura psicoanalitica e psicoterapeutica, sviluppatasi totalmente intorno alla parola: egli avanza dunque l’idea che si tratti di una grave storica elisione del corpo, ritenuto quasi un non indispensabile costituente della relazione terapeutica. Sottolineando una corrispondenza inversa tra modello dei sensi e fasi della vita Berti Ceroni indica come il più immediato emergere dei sensi in seduta sia quello dell’’hic et nunc’, vale a dire la sensorialità intermodale, la vista e l’odorato, accanto all’udito. Quindi secondariamente emergerebbero i sensi del ‘nunc et illic’, vale a dire quelli che riguardano le esperienze sensoriali e le emozioni percepite nella vita attuale fuori della seduta. Ancora successivamente emergerebbero i sensi del ‘tunc et illic’, vale a dire quelli relativi ad altri periodi della vita del paziente. E infine, più indecifrabili, emergerebbero le sensorialità del non-rappresentato, del non-simbolizzato e del non-linguistico, tutte modalità relazionali intrise dei sensi delle emozioni dell’esperienza originaria, costituitesi quando rappresentazioni e linguaggio non erano ancora a disposizione. Vengono citati Enriquez (1987) circa il destino della “memoria non rievocabile, immutabile, ripetitiva, amnesia non organizzata”, posta a confronto con “la memoria che oblia, amnesia organizzata”, ed anche Ferrari e Stella (1998), a proposito della necessità di connessioni significative fra dato sensoriale e dato rappresentazionale, e della necessità quindi di un senso che funzioni da “organizzatore fisico” che nel tempo si strutturi come “organizzatore psichico”.
A commento finale aggiungerei come il libro curata da Campbell e Jaffè sia non solo una preziosa testimonianza dell’utilità e dell’opportunità di scambi di idee e di metodi di lavoro tra psicoanalisti di differenti ambiti nazionali e culturali — in nome di un’auspicabile cross fertilization — ma sia anche un’importante pubblicazione dove quanti interessati al sempre più emergente campo del corpo e della corporeità in psicoanalisi, potranno trovare molte e preziose elaborazioni e ricche indicazioni bibliografiche per proseguire ed approfondire gli studi su questo ancora poco esplorato campo della psicoanalisi contemporanea.
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