FORME DELLA FUSIONALITÀ
Attualità del concetto
A cura di Alfredo Lombardozzi e Giovanni Meterangelis
(FrancoAngeli, 2021)
Recensione a cura di Luisa Masina
A distanza di trent’anni dalla pubblicazione del volume “ Fusionalità: storia di un concetto e i suoi sviluppi”, giunge molto opportunamente questo nuovo libro, a consentirci di considerare il cammino finora compiuto e al contempo ad offrirci una visione non solo dell’attualità del concetto, ma anche delle sue possibili ulteriori espansioni.
Ad un primo sguardo, la struttura del volume appare lineare, secondo una prospettiva evolutiva storica: dopo i primi due capitoli, rispettivamente di Claudio Neri e Nicoletta Bonanome, ritroviamo infatti alcuni scritti dell’edizione del 1990 (di Tagliacozzo, Pallier, Soavi, Neri e Petacchi), a cui fanno seguito quelli più recenti (di Meterangelis, Lombardozzi, Bolognini, Speranza, Bonfiglio e Fonda), presentati in un Convegno di grande interesse su questo tema, tenutosi a Roma nel 2019.
In realtà, la lettura del libro consente di coglierne un’architettura tridimensionale complessa, che si articola in diversi scenari: non si tratta solo, infatti, della storia di un concetto e del clima dell’epoca (descritto da Nicoletta Bonanome in modo puntuale ed articolato), ma anche di quella di un gruppo di psicoanalisti (narrata da Claudio Neri con la consueta profondità e competenza), che intorno a questa teorizzazione si sono aggregati ed hanno intrapreso cammini dotati ciascuno di specificità e arricchiti da reciproche contaminazioni, frutto di un lavoro comune.
Da un’altra angolatura è possibile cogliere, inoltre, l’evoluzione del rapporto dei primi Autori con la teoria e, attraverso le esemplificazioni cliniche, i mutamenti della loro tecnica, in una relazione di mutua interdipendenza con i costrutti teorici. Il capitolo scritto da Basilio Bonfiglio conferisce a questo quadro d’insieme un ampio respiro, collocando il pensiero del gruppo di analisti romani che diede alla luce il libro nel 1990, nel milieu della psicoanalisi di quel periodo e mostrando come essi seppero trarne nutrimento per generare idee nuove ed originali. La sua disamina del pensiero dei singoli componenti del gruppo è puntuale e ricca e individua le peculiarità di ciascuno, oltre che i rapporti di complementarietà fra le diverse concettualizzazioni.
I contributi odierni testimoniano poi la varietà e l’ampiezza delle declinazioni del concetto, in continuità con le prime teorizzazioni, ma essendo anche orientate in direzione di diversi ed originali sviluppi. Gli scritti inediti si dispongono a costituire una sorta di arcipelago, in cui le varie isole sono in rapporto di contiguità e indubbiamente tra loro collegate, ma ciascuna portatrice di una preziosa biodiversità.
Procederò nel commentare il volume, attraverso quelli che mi sono parsi concetti-chiave, forme vitali peculiari e distintive sia negli Autori che possiamo definire i precursori, che nei contemporanei.
La concettualizzazione di base che ha rappresentato, a mio avviso, il nucleo di un pensiero nuovo sulla fusionalità, consiste nella sua rivisitazione dal punto di vista della fisiologia, come fase imprescindibile dello sviluppo, ma anche come condizione perdurante in tutto il corso della vita, in alternanza a stati di separatezza.
Lydia Pallier ha posto le basi di questa riflessione, descrivendo in modo magistrale la comparsa della fusionalità in analisi, come condizione di “quiete” in cui viene a trovarsi la coppia analitica, in cui il lavoro procede e in cui sovente nel materiale onirico “paziente ed analista stanno insieme in un fiume, nel mare o all’interno di un oggetto avvolgente” (pag.43), a rappresentare la fantasia fusionale che sostiene la relazione analitica. L’Autrice scrive di “una sana capacità di fondersi con l’oggetto, accanto all’elaborazione del rapporto con gli oggetti separati dal sé” (pag.47). In altre parole, Lydia Pallier ci presenta una modalità di funzionamento non connotata in senso patologico e capace di consentire felici momenti di fusione sia con persone, che con elementi non umani (ambientali, artistici, ecc…), di cui suggestivamente anche Harold Searles (1960) aveva scritto. L’Autrice, inoltre, nega che la fusionalità sia responsabile dell’interminabilità dell’analisi e sottolinea come sia in grado di mitigare i processi schizoparanoidei e le conseguenti idealizzazioni e persecuzioni. Altrettanto interessante è l’ipotesi a suo tempo formulata da Claudio Neri, di una funzione di contenimento della fusionalità, di cui egli ha distinto quattro tipi complementari e in parte sovrapponibili, ma non considerabili come tappe evolutive in successione.
Il concetto di fusionalità così delineato negli scritti contenuti nel volume del 1990 viene contestualizzato oggi nello scritto di Giovanni Meterangelis, che a giusta ragione lo colloca nell’ambito della psicoanalisi relazionale, della quale descrive i capisaldi teorici e gli aspetti innovativi, con le loro ricadute sulla tecnica analitica. L’Autore porta all’attenzione del lettore il nuovo paesaggio di tale teorizzazione, che ha dato risalto alle fasi precoci dello sviluppo, antecedenti la posizione schizoparanoide, e alle carenze ambientali, ritenute responsabili di molte configurazioni patologiche. Alla base di queste condizioni, si può riconoscere la compromessa possibilità di beneficiare di una felice fusionalità originaria, delineando una condizione traumatica “per difetto” che interferisce con la formazione dei legami intersoggettivi e di quelli con gli oggetti-Sé. L’Autore ci ricorda, infatti, come il gruppo romano originario che si occupava della fusionalità si avvicinò alle teorie di Kohut e alle sue concettualizzazioni sul narcisismo, alla sua funzione evolutiva e agli oggetti-sé. A partire da questi presupposti storici e teorici, lo scritto di Meterangelis acquista un respiro contemporaneo, soffermandosi su alcuni concetti chiave della psicoanalisi attuale (la memoria implicita, l’inconscio non rimosso, gli stati non mentalizzati, l’enactment…), riconoscendone le connessioni con le teorizzazioni del gruppo di studio originario, come nel caso delle rappresentazioni inconsce delle esperienze traumatiche e il lavoro su “Il bambino mostruoso” di Lydia Pallier.
Altra questione centrale, affrontata nel volume da Alfredo Lombardozzi, è la distinzione fra il concetto di fusionalità e quello di simbiosi, con il conseguente approfondimento di quest’ultima nel pensiero di Bleger; a ciò si affianca la riflessione sulla posizione contiguo-autistica di Ogden e su un’ulteriore declinazione del concetto di fusionalità, che si ritrova nel pensiero di Eugenio Gaddini. Lombardozzi riprende poi i contributi degli Autori del gruppo sulla fusionalità, mettendone in luce gli aspetti generativi e riconoscendo in ciascuno uno o più concetti-chiave, che hanno dato origine a nuovi originali sviluppi.
L’altro nucleo centrale di questo capitolo è costituito dalla suggestiva riflessione che l’Autore compie sulla vicenda contenuta nel secondo volume dell’”Uomo senza qualità” di Musil e poi su un interessante caso clinico, che divengono spunto per riflessioni originali sui temi della separatezza e della fusionalità, che risultano in tal modo vivificati agli occhi del lettore. Così, nel commento a Musil, il pensiero psicoanalitico è integrato con riflessioni antropologiche e nella discussione del caso, si fa riferimento all’ultimo Kohut e alla sua teorizzazione dell’interiorizzazione trasmutante.
Il libro è arricchito da contributi che testimoniano la generatività del concetto di fusionalità, in quanto ne rappresentano evoluzioni feconde e originali: si tratta dei capitoli di Stefano Bolognini, Anna Maria Speranza e Paolo Fonda.
Bolognini riconosce al pensiero del gruppo romano sulla fusionalità il ruolo di ispiratore della teorizzazione che egli ha successivamente sviluppato. Dalla riflessione sulle prime modalità relazionali fra madre e bambino, (quindi a partire dalla fisiologia), egli ha valorizzato gli equivalenti psichici di questi primi scambi intercorporei, per comprendere le relazioni fra paziente e analista e fra parti del sé, in ambito interpsichico, dunque, ma anche intrapsichico. “Nella condizione di fusionalità – scrive Bolognini – si crea il potenziale relazionale per poter fare nostri alcuni elementi interni dell’altro che ci vengono trasmessi, o viceversa”. (pag.104) L’equivalente fisico è quello dello scambio mucosale, in quanto è attraverso le mucose che si verificano i passaggi dall’interno dell’uno all’interno dell’altro. Su queste basi si fonda e si sviluppa la teorizzazione di Bolognini dell’interpsichico.
Il capitolo di Anna Maria Speranza ci offre uno sguardo sulla fusionalità (intesa come una modalità particolare e specifica di fare esperienza di sé con l’altro) secondo la prospettiva dell’infant research, esplorando da questa particolare angolatura gli stati fusionali presenti fin dagli inizi della vita, che si articolano con i processi di individuazione (come già Soavi aveva sostenuto), non secondo un modello sequenziale, piuttosto secondo un’organizzazione simultanea e complementare. L’esperienza della fusionalità viene posta nell’esperienza del sé nucleare e della relazione nucleare, la cui emersione e consolidamento sono collocati temporalmente fra il secondo e il settimo mese di vita.
Paolo Fonda riprende il concetto di fusionalità come meccanismo base dello psichismo umano e del rapporto essenziale e continuo fra separatezza e fusionalità, riconoscendo a quest’ultima un ruolo fondamentale in tutti i rapporti umani. Egli condivide, dunque, questo concetto di fondo con altri autori del volume e attraverso una ricognizione storica, si dedica alla descrizione dei concetti centrali della sua teorizzazione sulla fusionalità, rappresentati, per citarne alcuni, dai luoghi di coincidenza, in cui si dissolvono, o meglio si estendono, i confini del sé, dal coefficiente di separatezza e dai canali fusionali. Vengono così descritte in modo suggestivo ed efficace le modalità di funzionamento fusionale, incluse le declinazioni nella relazione analitica ed le estensioni ai contesti gruppali.
Si può dire, infine, che tutti gli autori del libro siano accomunati dall’importanza attribuita alla relazione con l’altro, alle connessioni con l’ambiente, secondo modalità che variano dalla separatezza alla fusionalità. Questo pensiero che permea tutte le concettualizzazioni, malgrado le loro diversità e i loro tratti distintivi, implica inevitabili ricadute sul modo di condividere con i pazienti l’esperienza analitica.
Per concludere, si può affermare che il tratto distintivo e il pregio di questo libro, oltre alla elevata qualità dei contributi, è la capacità di trasmettere l’evoluzione di un pensiero, in cui si può cogliere l’effetto trasformativo che ha sortito negli analisti stessi che ne sono stati e ne sono i protagonisti.
Bibliografia
Neri C., Pallier L., Petacchi G., Soavi G.C.,Tagliacozzo R., (1990) Fusionalità. Scritti di psicoanalisi clinica. Borla, Roma.
Kohut H. (1978). La ricerca del Sé. Boringhieri, Torino, 1982.
Searles H. F. (1960) L’ambiente non umano nello sviluppo normale e nella schizofrenia. Torino, Einaudi, 2004.
Vedi anche:
“Forme della fusionalità” a cura di A. Lombardozzi e G. Meterangelis
CdPR – Fusionalità. Storia del concetto e sviluppi attuali. Roma, 23 e 24 marzo 2019
“Simbiosi/Fusionalità e costruzione delle soggettività” di B. Bonfiglio. Recensione di D. Cinelli
“Transpsichico, Intrapsichico, Interpsichico”, a cura di N. Rossi e I. Ruggiero
“Simbiosi/Fusionalità e costruzione delle soggettività” di B. Bonfiglio. Recensione di D. Cinelli
“Flussi vitali fra Sé e non-Sé” di S. Bolognini. Recensione di B. Guerrini Degl’Innocenti
CPB – Flussi vitali fra Sé e Non-Sé. S. Bolognini. Bologna, 7/12/19
In ricordo di Lydia Pallier di C. Busato Barbaglio
Ricordo di Giulio Cesare Soavi. A cura di C. Neri
VideoIntervista a Giulio Cesare Soavi
Enactment Parola e azione in psicoanalisi P. Boccara, G. Meterangelis, G. Riefolo (a cura di)