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“Femminile melanconico” di C. Chabert. Recensione di S. Lombardi

22/10/24
"Femminile melanconico" di C. Chabert. Recensione di S. Lombardi

Parole chiave: Freud, sessualità, femminile, melanconia

Femminile melanconico.

Catherine Chabert, 2006, Borla, Roma

Recensione di S. Lombardi

Catherine Chabert introduce il libro interrogandosi su di una propria latente motivazione provocatoria a proporre la comprensione di fondamentali aspetti dello psichismo per il tramite dell’associazione femminile-melanconia. In sé, infatti, l’idea del femminile melanconico contiene l’attribuzione culturale e psicoanalitica (p.5) di un sessuale masochistico che si riscatta e trionfa nella realizzazione del materno. O si disconosce se vira verso il rifiuto della mancanza ed una posizione rivendicativa.

Ma, per Chabert, il melanconico qualifica il femminile presente in ambedue i sessi, accomunati dalla condizione di passività della prima infanzia e dunque esposti ad intrusione ed effrazione (J. André 1995)[1]. Questa condizione è il crogiuolo in cui la bisessualità psichica persiste rimescolata e confusa in quanto negazione della differenza tra i sessi: la differenza, soggettivamente inconoscibile e all’uno e all’altro sesso, diventa possibile solo perché la pulsione sessuale, che non è autoconservativa, deve avere necessariamente come oggetto un altro, di un altro sesso (p. 6). L’organizzazione genitale compiuta della sessualità avviene infatti al crocevia edipico di identificazioni e di scelte oggettuali con le figure genitoriali riconosciute come differenti. L’Edipo, nel pensiero di Chabert, rappresenta la tappa finale dello svelamento della natura delle due diverse correnti pulsionali, esitando la sessualità nell’istituzione di un rapporto tra un soggetto ed un oggetto, tra l’Io e l’altro.

Non è certo un caso che la desessualizzazione (intendendo con questo termine l’abolizione della differenza tra i sessi) si accompagni o segua la perdita della soggettività e dell’alterità (p. 6).

La perdita è appunto il vissuto della melanconia: stato umorale persistente, alienato da sentimenti o emozioni suscitabili da eventi recenti, fissato ad un’onnipotenza distruttiva che è plausibile sia una delle facce dell’onnipotenza presente nello stato bisessuale infantile: pre-edipico e senza oggetto. E senza parola.

Mi sembra evidente che un pensiero su femminile, bisessualità e melanconia, messo in questi termini, dà un importante contributo alla comprensione delle due questioni più profonde ed urgenti del nostro attuale psicoanalitico: il negativo nella clinica, con la sua immensa eterogeneità[2] ed il sessuale moderno (nudo, sotto l’abbigliamento fluido del genere).  Connotate da smarrimento identitario e desessualizzazione, attingono, probabilmente alla stessa sofferenza.

In tutti i trattamenti, comunque, nel transfert Chabert riconosce un doppio  vettore dell’analisi: quello seduttivo e conflittuale dell’Edipo più completo (Freud, L’Io e l’Es, 1923, p.495 ) e quello del timore della perdita d’amore con i suoi contenuti di lutto, perdita e morte.

Potrei dire, seguendo il pensiero di Chabert, che il bambino pre-edipico è un bambino melanconico, costretto a mettere al lavoro la sua stessa condizione di passività e con la prospettiva di non poter mai risolvere perfettamente la dipendenza dalla madre. Egli incorre nel destino edipico, in sé passivizzante, sovente come un eroe tragico. La passività ha la sua controparte nell’eccitazione procurata dagli stimoli da cui il piccolo è inondato e che deve cercare di padroneggiare.

Ciò che m’interessa è soprattutto il lavoro dell’apparato psichico nel gestire l’eccitazione e il contributo delle fantasie originarie alla costruzione della realtà psichica, afferma l’Autrice (p.23).

La cura psicoanalitica è un luogo in cui la passività funziona come motore di guarigione ma anche di resistenza per il doppio gioco degli elementi erotici e delle rappresentazioni mortifere che evoca. Essa è lo scenario in cui si rappresenta, presenta a se stesso, il bambino piccolo, oggetto di sconvolgente esposizione a fantasie di scena primaria, seduzione, castrazione, ritorno al ventre materno: prospettive pericolose e fascinanti ma, in un’ottica filogenetica, già indizio di costruzione di senso della propria esistenza. Chabert le propone, piuttosto, come un primo tentativo di uscire dalla posizione di inermità.

Si può risolvere la melanconia? La risposta di Chabert si trova nell’evoluzione del femminile, starei per dire nell’emancipazione, di Zoe Bertgang-Gradiva, la donna che avanza (p. 121). Ed è a lei che Norbert affida inconsapevolmente il suo destino nel momento in cui è attratto dall’immagine marmorea di una figura femminile che risplende nel camminare. Inconsapevole, d’altra parte, fu W. Jensen nel costruire la narrazione dei sogni del protagonista del suo racconto in maniera così consona alla teoria freudiana da esserne per Freud una prova a favore.

Soffermandomi personalmente sul significato di questa icona pre-psicoanalitica divenuta con la psicoanalisi icona dell’eterno femminino, mi sento di riportare che il pezzo di bassorilievo conservato nei Musei Vaticani è parte di una triade di fanciulle, identificate come le Aglauridi. Le numerose versioni del mito (Biblioteca, PseudoApollodoro; Fabulae, Igino) concordano abbastanza nel descriverle come folli e suicide per sfuggire al compito impostogli dagli dei di custodire in segreto un loro bambino mostruoso, perché frutto di unione incestuosa e adulterina: dunque prodotto nel caos originario. Con la psicoanalisi, Aglauro o Pandroso o Erse (le tre sorelle), diventa Gradiva, musa di desiderio raggiunto per soddisfazione allucinatoria attraverso la costruzione di un delirio.

Se Jensen conserva una traccia inconscia della natura bisessuale della futura Gradiva, questa è nella scelta del nome: da Gradivus, colui che va (in battaglia), uno degli epiteti di Marte.

Tornando alla nostra letteratura, l’innamoramento di Norbert prende la forma del delirio tanto quanto quello di Zoe si svolge con la delicatezza e la fermezza del proposito di risvegliare il giovane, le cui potenzialità libidiche sono evidentemente minori, al bisogno d’amore. L’esperienza che deve fare Norbert, direbbe Winnicott, sarebbe quella dell’”oggetto trovato-creato”. In un’ottica freudiana, d’altro canto, Zoe, bambina orfana di madre, è riuscita nel compito edipico di rinunciare all’amore del primo oggetto per rivolgersi al padre e poi ad un compagno. Cioè, è diventata una donna, abbastanza solidamente da potersi consentire una riedizione delle passioni edipiche di abbandono e seduzione.

Il capitolo che Chabert dedica alla donna che avanza è l’ultimo del libro.

Se l’Autrice vi ripresenta una veloce rilettura del pensiero freudiano sull’enigma della femminilità, è per porlo al servizio del suo discorso. E’ ben noto come Freud consideri disperata l’impresa di stabilire con chiarezza che cosa sia la femminilità e che cosa sia la donna.

Dopo aver esaminato, senza buon esito, la predilezione per le mete passive e la gestione dell’aggressività a fini autolesivi, ancora una volta Freud cerca di individuare una caratteristica femminile: la donna preferirebbe nella ricerca dei propri oggetti una soluzione narcisistica piuttosto che per appoggio [3]. Si può allora ipotizzare, dice Chabert, una identificazione narcisistica originaria … femminile (p. 123). L’oggetto ha, di fatto, una sorte ben diversa a seconda che venga raggiunto con modalità isterica o narcisistica: conservato, nel primo caso, incorporato e perduto, nel secondo. Il lutto e/o la melanconia mostrano, infatti, come identificazione, oggetto e perdita siano consustanziali.

La lettura che Chabert privilegia dell’identificazione melanconica con l’oggetto è la sua trasformazione in un sostituto dell’investimento amoroso e che nonostante il conflitto con la persona amata “non è necessario abbandonare la relazione d’amore” (Freud, 1915, p. 192). Al contrario, l’identificazione isterica, attiva nella dinamica edipica ed utile all’evoluzione dalla bisessualità, comporta la necessità di ritirare l’investimento da un oggetto per spostarlo sull’altro.

La possibilità di rinunciare testimonia, tuttavia, della solidità del legame all’oggetto e della resistenza di questo investimento. L’identificazione narcisistica, al contrario, è determinata da un debole investimento oggettuale originario (p. 125): cioè mosso indubbiamente da tenace amore ma spietato nell’annullare caratteristiche e differenze fra soggetto e oggetto, arrivando alla de-differenziazione che riguarda sia il maschile che il femminile (p.126).

Da qui, è breve il passo da compiere verso il materno per spiegare quell’identificazione narcisistica originaria … femminile supposta da C. Chabert, citata qualche riga più in alto. La madre, oggetto primario con cui ogni bambino, maschio o femmina, maschio e femmina, si identifica, è anche il “primo altro”: paradossalmente “altro” perché mal differenziato, mal identificato come l’oggetto perduto della melanconia (p.127): un’identificazione primaria bisessuale con un oggetto primario bisessuale.


[1] André J. (1995), Alle origini femminili della sessualità MI Borla 1996

[2] Quinodoz D.  (2002)  Le parole che toccano. Una psicoanalista impara a parlare MI Borla 2009

[3] Freud S. (1914) , Introduzione al narcisismo  OSF7 TO Bollati Boringhieri 1989

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