La Ricerca

Fare psicoanalisi con Genitori e Bambini di Dina Vallino

28/01/10

Dina Vallino (2009)

Roma, Borla, pag, 293

Recensione di Anna Scansani

Non è facile recensire in modo adeguato questo libro in cui Dina Vallino presenta con precisione, passione e rigore, il suo ricco percorso di lavoro con i bambini e i loro genitori, oltre ai suoi studi sullo sviluppo mentale e l’attenzione alle condizioni fondamentali per favorire l’incontro analitico e le possibilità trasformative.

Il testo è vivo e toccante, muove molte emozioni nel lettore ed è in linea con lo sviluppo di una psicoanalisi sempre più interprete delle esigenze del proprio tempo.

È l’Autrice stessa che ci racconta come è giunta alla Consultazione partecipata, finemente descritta nella prima parte del libro. Negli anni in cui metteva a fuoco il proprio stile di lavoro analitico, rimase «fulminata dalla bellezza del metodo dell’osservazione, rispondente alla sua esigenza di verità e di rapporto con la realtà» (151). Lei stessa farà dell’Osservazione uno strumento prezioso, mai adoperato meccanicamente, dotato di una connotazione anche poetica. Per dirla con Bion, se «la psicoanalisi è una sonda che espande il campo che esplora», Dina Vallino ci ha mostrato molte estensioni dell’Infant observation: studio della conoscenza e dello sviluppo mentale del Neonato, osservazione del gioco come strumento di formazione nel lavoro con gli operatori delle Scuole Materne e dei Nidi, fino ad approdare, in tempi più recenti, alla Consultazione partecipata.

Genitori e figli sono dunque protagonisti di un nuovo lavoro psicoanalitico e Vallino ci ricorda che il momento della consultazione si rivela fondamentale per l’avvio di un valido progetto. Progetto che può giungere ad una collaborazione attiva con i genitori nell’affrontare il disagio del figlio attraverso un apprendimento, con l’analista, sui temi del fraintendimento familiare.

Entrando nella stanza della Consultazione partecipata, facciamo la conoscenza di questo metodo. L’Autrice, infatti, mostra in presa diretta come accogliere un momento di crisi e sofferenza, ma pure la creatività del piccolo paziente e dei suoi genitori. La capacità, da parte di Vallino, di modulare le inquietudini, “respirando l’atmosfera emotiva” in cui si è immersi, restituendo speranza e fiducia, la conosciamo e la vediamo qui all’opera. Ci viene aperta la porta della stanza di lavoro e possiamo partecipare a moltissime consultazioni che scorrono davanti al nostro sguardo con filmica efficacia. Naturalmente questo implica delle premesse teoriche molto puntuali: l’intreccio delle coordinate teoriche psicoanalitiche, i disegni, i dialoghi, i giochi nella stanza si intrecciano in un movimento emotivo, teorico, affettivo di grande spessore e unità.

L’Autrice cita i colleghi del CMP con cui ha collaborato negli anni e non solo. Ricorda i lavori ai quali si è ispirata, la scuola londinese da cui è partita, e coloro che hanno partecipato ai gruppi da lei condotti: citare tutti, per chi recensisce, è impossibile, ma nel libro tutti hanno un posto. E a tale proposito Dina Vallino considera un elemento fondamentale lo stabilirsi di un clima amichevole e di vero scambio fra colleghi dei Centri di Psicoanalisi al fine di comprendere meglio i propri pazienti e lavorare in modo affettivamente ricco e creativo.

Il libro inizia con la descrizione della consultazione con i bambini da 0 a 2 anni. Così conosciamo Andrea (17 mesi) il quale esprime il suo disagio con un ritardo nel camminare, Ines che può differenziarsi dalla mamma, Ludovico che a 4 mesi deve affrontare non solo il problema di una malformazione fisica, ma soprattutto ciò che questo comporta nella relazione con la madre la quale sente di avere un “bambino rotto”.

L’analista vede che il piccolo Ludovico ha già introiettato un vissuto materno disperato: riuscirà, poco a poco, avvalendosi anche del contributo di un papà meno ansioso rispetto alla mamma, a mostrarlo come un bambino intero e non rotto, che può essere amato per com’è. Per arrivare a questo l’analista ha dovuto lasciarsi pervadere dalle emozioni dolorose della mamma, permettendo quindi che emergesse e fosse compresa dai genitori la personalità effettiva del loro bambino.

Così avviene con Dan, 13 mesi, con Sofia che ha quasi 2 anni, con Maria a 7 mesi. Lascio al lettore la curiosità e la bellezza della lettura di queste consultazioni che vedranno protagonisti anche bambini più grandi, in età scolare.

Sullo sfondo di queste pagine è presente il pensiero di Bion, autore assiduamente frequentato da Dina Vallino, e il suo richiamo alla necessità di osservare, mettere a fuoco la propria attenzione (Bion 1970).

La rêverie dell’analista permette alla rêverie dei genitori di accendersi aiutandoli a diventare più competenti a trattare con il proprio figlio. La Consultazione partecipata predispone uno schermo sul quale i genitori possono guardare con uno sguardo nuovo al loro bambino.

Osservazione – attenzione – rêverie – trasformazioni sono la cornice nella quale si animano parole, dialoghi, sorrisi, pianti, disperazione, sollievo, attraverso cui l’Autrice cerca e individua “un fatto clinico scelto” che trova le parole adeguate per i genitori.

Dina Vallino ci mostra inoltre come sia necessario lavorare sul fraintendimento e sulle identificazioni patologiche nei confronti del figlio. I genitori divengono “Osservatori partecipi”, i nostri migliori colleghi, direbbe Bion.

Per questi genitori accolti, incoraggiati e dai quali l’analista si pone nella condizione di apprendere notizie importanti sulla vita del figlio, si prospetta una possibilità di esperienza preziosa, che parte certamente da una crisi, ma che può divenire un’avventura, trasformativa e unificante, di pensiero, di gioco e di fantasia.

Sempre delicato e profondo è l’intervento di Dina Vallino che ci segnala vari tipi di crisi, da distinguere (nel primo colloquio è da considerarsi il principale obiettivo): crisi della maternità interiore, della genitorialità o crisi familiare di cui assumersi la responsabilità.

Come realizzare tutto ciò? Veniamo dunque al setting della Consultazione partecipata nel quale è prevista una consultazione distribuita in un certo numero di incontri, in genere cinque, che, se necessario, possono essere prolungati. Il primo incontro avviene con i genitori, ne seguono tre con genitori / figlio-a e uno finale con i genitori. Ove sia necessario è previsto un ulteriore incontro con il bambino. L’analista richiede ai genitori di partecipare al gioco del bambino, come a casa, aiutandolo: può così rendersi conto di cosa non funziona nella relazione e, in un altro momento, discuterne con loro.

L’analista non restituisce un significato decodificato, ma facilita la relazione e la comprensione tra i partecipanti: si possono così scoprire aspetti sconosciuti che riguardano sia il legame sia il bambino. I genitori possono finalmente parlare non solo “del” loro bambino ma “con” lui.

Le illustrazioni cliniche di Marta (10 anni), Nadia (40 giorni), Aldo, Lucina, Bea, Silvana e Luisa… e tutte le altre che incontreremo nel corso della lettura, non possono venire qui riassunte, ma vi segnalo che la stanza di consultazione diventa una casa viva e ci troviamo catapultati di fronte al “dramma”, al punto di crisi che evolve, attraverso la perizia, la fatica, il dolore, (sperimentato e contenuto dallo stesso analista), verso un ritrovamento di senso, uno sviluppo trasformativo.

La fiducia nel metodo sorregge l’analista, e ci porta a vedere che il “campo” respira e la storia si apre a nuove trame possibili.

Contenendo intense ansie gruppali si giunge a dare forma al caos, alleggerendo così il bambino dal senso di estraneazione vissuto nei confronti dei genitori che non lo capiscono più.

Attentamente l’Autrice studia e distingue i vari tipi di Identificazione, normale e patologica, che attraverso la Consultazione partecipata risultano evidenti.

Uno spazio significativo è dedicato al “luogo immaginario”. Lo conosciamo bene grazie i precedenti lavori e al Convegno dedicato a questo tema. Dina Vallino ne mostra la funzione fondamentale, a partire da Freud (“Il poeta e la fantasia”, 1907) e dalle geniali intuizioni di Klein e di Winnicott sul gioco quale via per accedere all’inconscio. In sintonia anche con il pensiero di Nino Ferro sul momento narrativo attraverso cui, con i personaggi della storia, si giunge al riconoscimento di emozioni e affetti (Ferro, 1992). È importante, per il bambino, avere un luogo dove portare le idee più terribili, i mostri, ma anche gioia, felicità o paura e l’analista crea uno schermo su cui ciò può venir proiettato.

Dopo aver potuto narrare di paure, mostri, terrori, il bambino potrà tornare al proprio mondo affettivo, senza il pericolo di rimanere imprigionato in quel mondo immaginario. Anzi. Chi ha lavorato con questo metodo (e con Dina Vallino), ha sperimentato che, a un certo punto, il bambino, la ragazzina, risolta l’angoscia che li ha portati alla consultazione, non “fanno più la storia” – come dicono – ma escono armonicamente dal luogo immaginario per iscriversi a un corso di teatro, di danza e quant’altro prima era desiderato, ma ritenuto impossibile da realizzare.

Un discorso di grande interesse riguarda il conflitto fraterno e la solidarietà fraterna. L’Autrice non solo ci mostra come modulare sentimenti di esclusione e gelosia, ma come scavalcare pregiudizi culturali che rischiano di fornire una visione precostituita di quanto realmente avviene tra i fratelli. Non a caso, infatti, si parla anche di solidarietà fraterna, della spinta irresistibile ad essere amati, del bisogno di condivisione e amicizia.

Partendo dall’impianto teorico freudiano che colloca nell’infanzia l’origine dei sentimenti di ambivalenza, sottolinea il merito di L. Kancyper il quale ha messo in evidenza la specificità del complesso fraterno che non deve essere assimilato a quello edipico, avendo uno statuto proprio. Le aree traumatiche silenti iniziano a parlare, i dialoghi familiari si movimentano: bellissima la citazione di E. Bick (1977) che con freschezza ci invita a buttar via i nostri clichè per sentire veramente ciò che sente il bambino.

La funzione del sogno nella Consultazione partecipata è un capitolo affascinante. Inizia descrivendo una situazione di altissima conflittualità che l’analista riesce a contenere tanto che Genni, la ragazzina infuriata, potrà fare un disegno in cui racconta il suo incubo.

La lettura del sogno è a più voci: quella di Genni, della mamma, dell’analista che riallaccia legami, dà valore a significati nuovi che emergono, rinunciando a un modello tradizionale e portando così alla luce il desiderio di rapporti affettivi diversi da quelli violenti in cui i protagonisti sono invischiati.

Dina Vallino riesce a “fare respirare i legami” percorrendo sentieri nuovi, a volte imprevedibili.

Nella seconda parte del libro l’Autrice ci propone, modificati, saggi e lavori che ci permettono di entrare in contatto con lo sviluppo del suo pensiero nel corso della sua vastissima esperienza clinica.

Infine Dina Vallino conversa con Marco Macciò (filosofo, coautore di svariati articoli e del libro “Essere Neonati”, 2004) sul significato e l’orientamento che la fenomenologia conferisce alla ricerca clinica e osservativa. Un’analista e un filosofo si interrogano su amore, identificazione e altro ancora. Freud, Winnicott, E. Paci, Husserl e i piccolissimi neonati osservati coesistono nel loro dialogo.

È un saggio colto, e anche tenero. Lo associo a quanto scrive Laura Tognoli ( 2009, 489):

«Così come la vita è concepita all’interno di una coppia, anche la crescita mentale ha bisogno di essere continuamente stimolata e promossa da un lavoro di coppia: maschio e femmina, padre e madre, contenitore e contenuto, pensiero ed emozione, introiezione e proiezione, ansia e coraggio, fantasia e realtà… capace di integrare e rendere creativi stati mentali diversi.»

Conclude il libro un articolo toccante che appare nel 1992 come contributo al saggio “L’esperienza condivisa” a cura di L. Nissim e A. Robutti. Si tratta di “Sopravvivere, esistere, vivere: riflessioni sull’angoscia dell’analista”. Così con Alice (sopravvivere), Cecilia (esistere), Francesco (vivere) l’Autrice si accomiata da noi.

Penso che questo libro possa interessare non solo gli analisti di bambini ma anche chi lavora con gli adulti, per le questioni che pone, per la bellezza della lettura e perché tanti aspetti sono sempre presenti, come sappiamo, nella stanza d’analisi.

Anna Scansani

 

Bibliografia

Bion W.R.(1962). Apprendere dall’esperienza. Armando, Roma 1972.

Bion W.R.(1965). Trasformazioni. Armando, Roma.

Bion W.R.(1970). Attenzione e interpretazione. Armando, Roma,1974

Di Chiara G.(1985). Una prospettiva psicoanalitica del dopo Freud: un posto per l’altro.Rivista di Psicoanalisi 31.

Ferro A.(1992). Due autori in cerca di personaggi: la relazione, il campo, la storia. In Rivista di Psicoanalisi 38,1.

Freud S.(1907). Il poeta e la fantasia. Cortina,Milano 1999.

Kancyper L.(2004). Il complesso fraterno. Borla,Roma 2008.

Tognoli L.(2009). Il legame di coppia come modello di integrazione. Rivista di Psicoanalisi LV,2.

Vallino D.(1992). Sopravvivere, esistere, vivere. Riflessioni sull’angoscia dell’analista. In Nissim Momigliano L. Robutti A.(a cura di). L’esperienza condivisa. Saggi sulla relazione psicoanalitica.Raffaello Cortina Editore, Milano, 1992. 

Vallino D.(1998). Raccontami una storia. Dalla Consultazione all’analisi dei bambini. Borla,Roma.

Vallino D.(1999). L’infant observation come strumento di conoscenza dello sviluppo mentale. In(a cura di Riva Crugnola C.) La comunicazione affettiva tra il bambino e i suoi partner.Cortina, Milano

Vallino D., Macciò M.(2002) Il senso di esistere del neonato e l’attrazione fatale dell’identificazione In Borgogno F.(a cura di) Perchè Ferenczi oggi?Bollati Boringhieri,Torino 2004.

Vallino D., Macciò M.(2004). Essere neonati.Osservazioni Psicoanalitiche. Borla, Roma 2004.

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