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Evitare le emozioni, vivere le emozioni – Recensione G. Mattana

12/01/09

 Altro importante punto di riferimento dell’Autore è la teoria del campo, così come egli stesso l’ha sviluppata e ampliata insieme ad altri studiosi italiani a partire dalla sua iniziale formulazione ad opera dei Baranger. Il campo, che Ferro accosta a concetti come quello di “terzo analitico” di Ogden, rappresenta nel suo pensiero una sorta di “superamento” in senso hegeliano di concetti psicoanalitici fondamentali come quelli di transfert e controtransfert, identificazione proiettiva e funzione analitica della mente, che vengono ricompresi e risignificati in una situazione meno “personalista” e “individualista”. Ferro rivendica la fedeltà al principio fondamentale secondo cui la psicoanalisi si occupa della realtà psichica, per cui qualunque comunicazione analitica di principio pertiene al campo, dove il transfert viene “diffratto” in una serie di personaggi la cui narrazione avvia trasformazioni veicolate da interventi largamente insaturi e rispettosi del testo manifesto e della capacità del paziente di tollerare la verità. Come sottolinea l’Autore, quello di campo analitico non è un concetto autoreferenziale, dato che l’interazione analitica continuamente lo espande nel tempo e nello spazio acquisendo nuovi punti di vista e possibili narrazioni.

L’inconscio di cui parla Ferro non è né un dato di partenza prepersonale né il ricettacolo del rimosso, bensì un’acquisizione e una conquista preziosa che continuamente evolve da quelle “cose in sé” prive di forma e significato che sono gli elementi beta o protoemozioni. Elaborando le protoemozioni impregnate di sensorialità e prive di profondità la funzione alfa della mente dà origine all’inconscio, vero nucleo germinale del pensiero, del mentale e dell’umano. Il libro è l’ultima tappa di un percorso intellettuale che è andato progressivamente delineando un nuovo modo di intendere e fare psicoanalisi, proponendo un mutamento di vertice la cui portata richiama il passaggio dalla fisica classica a quella relativistica. Ci si può tuttavia interrogare sull’opportunità dell’impiego da parte dell’Autore di metafore e simbolismi sessuali per descrivere i rapporti fra le menti dentro e fuori della stanza d’analisi. Dopo aver mostrato quanto di mentale vi sia nel sessuale e come il sesso non sia che uno dei “derivati narrativi” che descrivono i funzionamenti mentali, perché tornare a sessualizzare il pensiero costringendolo all’interno del sistema binario maschile/femminile? Della complessa eredità bioniana fa parte un certo schematismo matematizzante e combinatorio, e un forse non sempre metaforico riferimento sessuale di funzioni mentali complesse e in realtà largamente indipendenti dal sesso anatomico. C’è da chiedersi se si tratti di una componente tuttora euristicamente valida, oppure di una “griglia” ormai un po’ stretta e non del tutto adeguata a contenere la psicoanalisi “einsteiniana” così brillantemente esposta in questo libro

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