Antonino Ferro (2007)
Milano, Raffaello Cortina editore, Pagine 230, Euro 21,00.
Qualcuno mi ha detto che comparivo nella bibliografia di questo libro e mi è venuta la curiosità di leggerlo. L’ho trovato, cosa insolita per un saggio, avvincente da leggere e chiaro anche per me che non sono psicoanalista. Oltre all’articolazione del discorso, ad avvincermi è stato il “rovescio” del suo tessuto: i riferimenti a romanzi, film, non solo, anche a personaggi televisivi, eventi di cronaca, insomma, le narrazioni condivise della nostra epoca, alcune delle quali descrivono realtà così profonde da avere la statura del mito: il vampiro, Heidi, il protagonista del Silenzio degli Innocenti. Ferro attinge dalle immagini forti del nostro tempo metafore utili a dialogare con il paziente e con il lettore. Prendendosi questa libertà, fa evolvere e respirare il pensiero psicoanalitico, lo spinge all’aperto, sul tetto-terrazza dell’edificio delle sue teorie, per guardarsi attorno, o nella cantina della cantina, per andare ancora più a fondo.
Tutto il libro è percorso da metafore legate alla cucina e alla filatura-tessitura. Io che pratico ambedue questi campi le ho apprezzate molto. Anzi, andrò ancora più a monte dell’abito e del tessuto. Per usare il vello di una pecora, o qualsiasi altra fibra tessile, bisogna per prima cosa filarla. Il fuso (il campo) gira, le dita (l’analista) raccolgono dalla conocchia le piccole fibre (le proto-emozioni) e ne fanno un filo che poi si può usare in infiniti modi. Non si diventa abili nella filatura se non dopo anni e anni di esercizio.