Corruttori e corrotti. Ipotesi psicoanalitiche.
A cura di Laura Ambrosiano e Marco Sarno. Milano, Mimesis, 2016-06-12
Gianluigi Monniello
L’argomento del libro Corruttori e corrotti. Ipotesi psicoanalitiche (Milano, Edizioni Mimesis, 2016), a cura di Laura Ambrosiano e Marco Sarno, è di attualissimo interesse generale e, nell’ambito della nostra disciplina, è senza dubbio di grande originalità. I diversi autori forniscono apporti innovativi e preziosi.
In primo luogo partiamo dell’Etimologia: corrompere, esercitare un’azione di disfacimento, deterioramento e simili (1282, Ristoro); depravare traviare (1328, Lapo Gianni); indurre con doni, promesse simili a fare cosa contraria al dovere (Compagni,1310); alterarsi, guastarsi (Dante 1304-1308).
Il sistema della corruzione si configura di fronte all’osservatore attento con la forza di una realtà parallela. Non è solo un brutto sogno con un contenuto manifesto e un contenuto latente. La vastità del fenomeno corruzione, mantenendo questa similitudine, infiltra e altera le stesse componenti del lavoro onirico, i suoi ingredienti.
Infatti, quando si cerca di definire in cosa consista, quali siano gli attori, quali i corruttori e quali i corrotti, l’immagine e il vissuto sono di sprofondare nelle sabbie mobili. Basti pensare all’articolo di Roberto Saviano La mafia silenziosa alla conquista di Londra (la Repubblica, 26 maggio 2016). Si tratta di una Lecture di Saviano presentata presso il Parlamento britannico. Sorprendentemente scopriamo che per quanto riguarda il sistema bancario, è il Regno Unito il paese più corrotto!
La “via regia” per decifrare la corruzione è tutta da tracciare in tutta la sua interezza.
Segnalo, a livello descrittivo, come la corruzione sia basata sul calcolo, non sulla passione. Le persone tendono a corrompere e a essere corrotte quanto più i rischi sono bassi. Un noto esperto studioso di corruzione, Robert Klitgeard (Controlling Corruption, 1988) la illustra come una formula matematica:
C (corruzione)= M (monopolio) + S (segretezza) – R (responsabilità). In ultima analisi, più è alta la responsabilità più è basso il livello di corruzione.
Come scrive Laura Ambrosiano “il libro è una prima ricognizione della corruzione e delle sue manifestazioni psichiche” (p. 11), è il tentativo di interrogare la possibile natura primaria dei funzionamenti psichici che sostengono la corruzione e di individuare, grazie all’osservazione psicoanalitica, vie di evoluzione e possibili antidoti.
Una delle profonde qualità di questo libro mi sembra quella, già avanzata in Ululare con i lupi (Gaburri, Ambrosiano2003) e in Pensare con Freud (Ambrosiano, Gaburri, 2013) di considerare a sufficienza, in psicoanalisi, la “spinta vitale”, la vitalità della vita psichica quale elemento essenziale, quale motore e obiettivo della cura analitica.
L’interrogativo è quindi: di fronte al fenomeno della corruzione, alle sue svariate sfaccettature, è possibile ritrovare un barlume di spinta vitale dalla quale ripartire per infondere la speranza che possa esserci una restaurazione narcisistica, per rimettere in moto il processo di soggettivazione, una riparazione interiore e un risveglio della vita psichica?
Come sopravvivere alla corruzione dilagante alla luce dell’indubbia vulnerabilità narcisistica che pervade la moltitudine che, proprio per questo, è più facilmente corruttibile?
È doloroso costatare quanto il corruttore sia favorito da un terreno tanto fertile.
Come non solo sopravvivere ma soprattutto vivere, nonostante la corruzione?
Come uscire dai vortici della corruzione nella quale si è inesorabilmente inghiottiti, distrutti come Achab, che rimane strettamente legato alla fune dello stesso arpione che voleva uccidere Moby Dick? Scrive Castriota (p. 183): “Achab combatte in Moby Dick sia la madre (“la colonizzazione” materna), ma anche il fallo gigante che lo domina lo costringe alla lotta mortale col femminile”.
(Alla luce della pratica clinica, come non pensare alla forza d’attrazione ammaliante e mortifera che esercita l’abuso di sostanze sulla persona dipendente?)
In fondo, quale può essere il destino di colui che è “narcisisticamente” corruttibile?
Molte sono le probabilità che diventi, a sua volta, corruttore (passando da una condizione di passivizzazione a un ruolo attivo; come quando una persona è vittima di molestie, abusi, violenze e si fa carnefice); ma può, per lo più, restare nella condizione esistenziale di essere “un piccolo ingranaggio” di un sistema che lui neppure conosce nella sua complessità e di cui appena intuisce l’ombra scura e da cui viene pian piano ricoperto.
C’è la possibilità di aiutare queste persone a uscire dalle sabbie mobili o l’unica via è tentare di tenersi lontani, esenti dalla corruzione, considerandola altro da sé?
Come psicoanalisti ciò che possiamo osservare, quando la clinica lo permette nel caso di persone che cercano di riscattarsi o che hanno pagato il loro conto con la giustizia e vivono il dolore della ferita narcisistica subita, o che possiamo semplicemente desumere dal buon senso, è che la persona resta invariabilmente deprivato della sua originale spinta vitale e creativa .
C’è poi da chiedersi, di fronte, ai rari ex corrotti o ex corruttori che ci chiedono un aiuto psicoanalitico come elaborare le nostre eventuali reazioni idiosincrasiche nei loro confronti, la nostra tendenza a mantenere una certa distanza affettiva, la nostra difficoltà a empatizzare con loro. Quali concettualizzazioni psicoanalitiche possono renderci e mantenerci vitali e creativi nell’incontro con loro?
La prima condizione necessaria e ineludibile è il dialogo tra Colleghi così da confrontare i vissuti affettivi, i moti controtransferali che s’incontrano nell’esperienza clinica.
Il volume Corruttori e corrotti ci offre in primo luogo questa condizione proponendo i testi di Colleghi ed esperti che propongono le loro esperienze.
Il libro si compone di lavori di Autori che spaziano in molti ambiti, che vanno dalla clinica (Badoni, Loiacono, Saottini), al teorico (Ambrosiano, Rizzi, Sarno), al sociale (Manoukian, Granieri), al gruppale (Jaffè). Corruttori e corrotti è presentato da Adolfo Cerretti, giurista e introdotto, curato e arricchito con un suo articolo da Laura Ambrosiano.
Il fenomeno della corruzione rappresenta un tema che attraversa moltissimi ambiti delle relazioni umane, sociali e istituzionali. D’altra parte molto si è parlato, in questi ultimi decenni, di disimpegno morale anche in seguito alla caduta delle ideologie e alla relativizzazione degli ideali.
Aggiungo che, allargando lo sguardo, è facile costatare quanto il peso della disinformazione (cattiva informazione o tendenza a semplificare, con finalità superficialmente divulgative, aspetti sempre più complessi del sociale, della storia, del sapere) metta alla prova, fino ad alterare e corrompere il nostro pensiero. In particolare la storia d’interi popoli, territori, paesi, di culture millenarie, l’origine e il senso di antiche tradizioni fanno raramente parte delle acquisizioni dei più. Profondi e rapidi cambiamenti di alcuni punti fermi, ritenuti stabili fino a poco tempo fa, ad esempio la famiglia, la scuola, l’ambiente, l’agricoltura, l’alimentazione costituiscono altrettanti campi che apertamente segnano il passo, di fronte al compito di offrire validi modelli d’identificazione o favorire la costruzione d’ideali comuni. Tutti questi possibili antidoti alla corruzione sono progressivamente meno validi.
In che modo tutto ciò interroga lo psicoanalista nella sua posizione di viaggiatore della vita psichica?
Innanzi tutto va preso atto che i livelli di corruzione fanno paura e, aggiungo, è bene che sia così. Freud aveva posto la paura a fondamento della cultura (Ambrosiano, 2009).
Di fronte alla diffusione capillare della corruzione, inoltre, va riconosciuto come il nostro funzionamento psichico sia colto di sorpresa, come il processo di soggettivazione del singolo sia impedito e messo in scacco.
Pertanto, confrontata con la paura la corruzione corrode ancor più silenziosamente. È un tarlo, una ruggine. Alimenta una paura sotterranea, è un fenomeno subdolo e silenzioso. Se la paura è la più umiliante delle emozioni, la corruzione può diventare l’aria che respiriamo, può divenire un alimento costitutivo del nostro corpo e del nostro funzionamento psichico.
Ce ne rendiamo conto quando siamo già “fatti” di corruzione, quando siamo già corrotti.
Nel suo significato etimologico corruzione significa anche logoramento e, per estensione, anche consumazione di sé e delle proprie risorse.
Quali risposte può fornire la psicoanalisi per fronteggiare i moti di “corruzione psichica”, accanto alle più comuni ricette, come quella di suggerire il valore della sublimazione e di considerare la libertà che può scaturire dal nostro processo di soggettivazione e dall’importanza di liberarlo da questa possibile fonte di disfunzionamento?
L’azione di corrompere rimanda al disfacimento e al deterioramento di persone, gruppi, istituzioni tali da alterare il loro buon funzionamento.
Che fare quando le istituzioni non fungono da argine all’angoscia e alla paura, quando non si offrono come garanti nella communitas?
Solitamente il fenomeno della corruzione implica un’appropriazione indebita di denaro. Come riparare allora al “mal tolto”?
Molte di queste condotte spesso rientrano nel campo della giustizia. La soluzione della pena quale deterrente non basta.
Si tratta, infatti, di azioni che inducono alla complicità e s’insinuano non solo nelle condotte collettive ma soprattutto nell’immagine di se stessi, minando la propria personalità. Sono soprattutto gli aspetti creativi del soggetto a essere danneggiati quando si è corruttori e quando si è corrotti. Il termine psicoanalitico che più si avvicina a tale fenomeno è la seduzione. Si parla in questo caso di seduttori e di sedotti.
Il sistema della corruzione implica la presenza e la messa a fuoco di obiettivi che sono coscienti o addirittura lucidamente perseguiti. Che dire invece di condizioni di corruzione primaria, dove spesso sono le basi narcisistiche del soggetto a essere minate dal narcisismo del caregiver ?
Che cosa avviene quando all’adulto soccorritore si sostituisce l’adulto corruttore?Per inciso ricordo l’opera Gioventù traviata di Aichorn, commentata da Freud nel 1925, dove il traviamento è ritenuto la fonte dell’antisocialità giovanile. La costruzione dell’identità sociale degli adolescenti è puntualmente trattata da Saottini nel libro.
Come psicoanalisti tutti gli Autori fanno iniziare le loro osservazioni su tale fenomeno umano dalla primissima infanzia e dalle peculiarità dell’accudimento, dalle dinamiche che possiamo ipotizzare, attraverso le esperienze psicoanalitiche, abbiano potuto caratterizzare il clima, l’atmosfera intima della relazione madre/bambino.
Come facilitare il lavoro analitico intorno alle carenze e/o agli eccessi provenienti dall’ambiente esterno di accudimento e in particolare da quella che è definita la seduzione materna?
L’antitesi del corrotto potrebbe allora essere l’eroe, “il cavaliere senza macchia e senza paura”, ma anche il saggio.
“La via trasformativa passa per la pensosità che esplora la mobile dialettica tra il nesso naturale con gli altri e la propria specificità individuale” (Ambrosiano, p. 88).
Nel lavoro analitico si tratta di rendere possibile l’incontro con un referente che disponga di una mente pensante, “capace di pensiero sognante e di rêverie” o, in altre parole, di “basi narcisistiche consolidate e di tensione etica”.
“La tensione etica non si riferisce tanto alla regolazione intrapsichica delle pulsioni sulla base delle richieste ambientali; essa nasce da subito come domanda. È quanto si avvia nel bambino quando comincia a chiedere come si nasce e cosa sia la morte; egli non è interessato tanto alla sua nascita o alla sua morte, ma a questi eventi che riguardano l’umanità e il suo destino” (Ambrosiano, p. 87).
Inoltre è facile sentirsi inerti di fronte all’eterna dialettica tra corruttori e corrotti che si nutre della convinzione per cui “non si poteva fare altrimenti”. In questo caso non si può che assistere al collasso della tensione etica. Dall’altra parte non è pensabile prescrivere, come ho già segnalato, la sublimazione come toccasana e come soluzione alla complessità del sistema della corruzione.
Tornando al linguaggio penso sia molto utile partire dalla differenziazione che Marta Badoni (p. 94) pone tra corruzione dell’Io e corruzione del sé. Essenziale è riconoscere se l’azione di corruzione ha intaccato la costruzione delle basi narcisistiche del soggetto oppure costituisce una funzione dell’Io.
In quest’ultimo caso possiamo parlare di sfruttamento dell’oggetto ad opera di un soggetto che persegue i propri fini. Il primo caso invece ci porta a riflettere su tutti quelli che possono essere gli impedimenti al processo di soggettivazione che limitano la persona fin dall’inizio della vita in ragione del “proprio ambiente di cura”, dove “la madre è il porta-parola del bambino” (Badoni, p. 93).
Per lo psicoanalista è fondamentale interrogarsi sulla sua risonanza ai movimenti di corruzione. La sua posizione gli conferisce un’autorevolezza della quale deve tener conto soprattutto ascoltando il suo preconscio e i possibili derivati del suo inconscio, dando credito a quei luoghi psichici tutti da scoprire anche per lui dove si gioca la maggior parte della sua risonanza profonda e della sua capacità di sintonizzazione.
Ben sappiamo che anche l’empatia può essere soggetta alla corruzione, perché il suo esercizio può essere finalizzato a scopi utilitaristici proprio a partire dall’intuizione della vulnerabilità della vittima.
In particolare la corruzione è frutto di un intrico relazionale che contagia, sulla scia di un oggetto primario particolarmente intrusivo e non in grado di realizzare un contratto narcisistico con il figlio. La natura primaria del funzionamento psichico da cui potrebbe originare la corruzione ne giustifica la sua pervasività e la difficoltà a dipanare la matassa dalla quale il soggetto finisce per essere avvolto.
Marco Sarno, co-curatore del libro, segnala nel suo contributo “Tempi che strapiombano”, due preziose caratteristiche, a fondamento dell’antropologia psicoanalitica: “la prima è ritenere che tutto quel che accade a noi e agli altri sia importante e rimandi alla costituzione dell’inconscio gruppale e individuale” (Sarno, p. 25), condizionata dall’ambiente esterno. “La seconda è l’attenzione agli aspetti deboli, difettuali che contro ogni logica vanno più verso la morte che verso la vita” (p. 26).
Sarno si sofferma sulla storia, sulla sociologia per arrivare a focalizzarsi sul “vertice psicoanalitico” (p. 30). Il testo psicoanalitico di riferimento non può che essere Il disagio della civiltà di Freud (1929) che, alla luce dei nostri tempi, potrebbe essere pensato, secondo l’Autore, come “il disagio dell’inciviltà”. La psicoanalisi dovrebbe fare da battistrada a una revisione critica dei modi di vivere nel collettivo. Tale via risulta però molto ardua per la debolezza dell’offerta identificatoria fornita da uno Stato che si connota per la sua assenza e la sua inadeguatezza. In questo caso al centro del processo di soggettivazione si pone il potere in tutte le sue manifestazioni.
Scrive Sarno: “Come psicoanalisti sappiamo quanto sia al centro del nostro lavoro il cammino di soggettivazione, come acquisizione della libertà di – ma soprattutto libertà da – per conoscere da chi sia parlato il desiderio di ognuno di noi” (p. 40).
Descrivendo poi le ragioni del potere delle famiglie mafiose è necessario considerare la loro origine culturale che rimanda alla tradizione matriarcale che caratterizza la Grande Madre mediterranea. Siamo allora di fronte all’impossibilità ad accettare la separazione dall’oggetto totalizzante Grande Madre; l’oggetto assente diventa un vuoto terrorizzante fronteggiato, riempito dalla concretezza e dalla ripetizione delle condotte corruttive criminali. Come non sentire pervasiva la corruzione di fronte allo spreco spettacolare di risorse economiche e civili, alla profanazione della vita da parte della cultura della morte, all’attacco alla bellezza con la dilapidazione di ambiente e oggetti culturali?
Esiste in fondo una zona grigia rappresentata dal meccanismo di arruolare al male le stesse vittime: è quanto segnalato da Primo Levi.
Inoltre Sarno ricorda che già Guicciardini aveva segnalato come “ciascun italiano fa tuono e maniera a sé”.
Dalla parte dei “salvati” non restano che iniziative di volontariato o piccoli gruppi creativi capaci di prescindere dal clima generale e mantenere vivo “un allargamento della libertà positiva” (Sarno, p. 42).
Pietro Rizzi nel capitolo “Tutto ha un prezzo”: (onni)potenza del corrompere muove dalle derive semantiche dei termini corrompere e corruzione, per arrivare a segnalare che la forma più temuta di corruzione è quella che riguarda “il corpo, corpo malato e reso effetto da una malattia incurabile. La metafora del corpo sociale è subito disponibile” (p. 46).
Come trasferire queste osservazioni nel linguaggio e nell’ottica della psicoanalisi?
“L’essere persona” (Winnicott) nasce dal percorso di integrazione che conduce l’infante a formare un sé psicosomatico coerente, e questo, attraverso la relazione con un oggetto materno che può intervenire più o meno favorevolmente in quest’opera” (Rizzi, p.47). Cosa avviene quando tutto, persino il nostro corpo finisce per avere un prezzo al quale può essere venduto o comprato? Sarno parla di “corpo-denaro” come intimamente connesso con il sistema della corruzione nelle società attuali e ricorda in particolare le parole di Hannah Arendt : “La burocrazia può rappresentare la peggiore violenza perché è senza volto”.
Franca Manoukian nel capitolo Perché è interessante oggi riflettere e confrontarsi sulla cosiddetta “corruzione” ? si sofferma sui rapporti che i singoli hanno con le amministrazioni pubbliche e con il malfunzionamento organizzativo. In questo caso “la corruzione diventa ‘corrosione’, ‘progressiva alterazione’, consunzione che avviene a poco a poco con azione incessante, lento deterioramento che finisce nell’ ‘erosione’, nella disgregazione nel venir meno dei vantaggi, delle ‘convenienze’ che sostengono il convenire, in uno stesso patto sociale per poter convivere” (p. 65).
Laura Ambrosiano nel capitolo Interrogare la corruzione muove dalla posizione sospesa, di non adesione al conformismo del gruppo di Ismaele, voce narrante in Moby Dick di Melville per esplorare la corruzione “per cogliere il funzionamento mentale che la sorregge e individuare possibili vie di elaborazione trasformativa, andando oltre la reazione di scandalo che essa suscita in noi” (p. 67). Interrogare la corruzione, secondo l’Autrice, può fornirci informazioni su un funzionamento mentale e su forme di patologia che potrebbero anche avere lo scopo di fronteggiare l’angoscia di vivere in questi nostri giorni.
I garanti metasociali (Kaës) con la loro precarietà, manca la fiducia nella communitas, costituiscono una fonte di disagio che non permette il mantenimento della tensione etica e generano l’elusione del pensiero. Ci si muove allora nella zona grigia dove tutto è possibile e giustificabile.
Il bambino che condivide lo spazio primario con la madre si trova esposto a funzionare sotto l’azione di un potente pulsione d’impossessamento, tutto gli appartiene e non si configura il tempo dell’attesa, il tempo per scegliere la liberazione e la soggettività. Manca lo spazio della riservatezza e quindi della differenziazione.
C’è da chiedersi quanto il cedimento dei garanti metasociali si ripercuota sulla tenuta e la solidità del setting nel trattamento analitico. Ciò che intendo proporre e che la vulnerabilità narcisistica del soggetto può essere particolarmente trattata proprio all’interno di un setting ben interiorizzato nel suo senso più profondo. Solo allora lavorare sulla vulnerabilità delle basi narcisistiche del paziente, offrendo un ambiente terapeutico sufficientemente buono, diventa possibile. La cura e la tenuta del setting acquista ancora più significato nel caso della sofferenza narcisistica.
Pertanto come realizzare una “preoccupazione terapeutica primaria” nei riguardi della sofferenza narcisistica in un ambito in cui a sua volta la costruzione e la tenuta del setting è vulnerabile e precaria?
Ciò che avviene nella stanza d’analisi è reso possibile dalla tenuta interiorizzata del setting ma è proprio il setting a costituire attualmente uno degli aspetti più fragili del contratto psicoanalitico. L’alternativa è allora quella d’immaginare e sostenere una formazione dell’analista ancora più attenta agli affetti e alle sintonizzazioni emotive che si muovono nella relazione analitica. Tutto ciò non è così facile.
Alla ricerca di una maggiore sicurezza e stabilità, continuamente da costruire, la possibilità di modifiche del setting rischia di essere non il risultato di “pensosità” ma piuttosto di compromessi tra il fragile narcisismo del paziente e la “corrosione” del metodo analitico. Hanno il sopravvento allora “quei linguaggi che sono stati definiti orali, cioè discorsi che si muovono all’interno di una cultura ignara della scrittura” (p. 73). Come scrive Laura Ambrosiano, parlando del linguaggio dei politici: “Il linguaggio orale crea rinforza una mentalità tradizionalista che scoraggia la ricerca di significati, chiama all’identificazione”. Può allora svilupparsi un atteggiamento per cui l’analista si configura, a livello fantasmatico, come una Grande Madre che tutto promette e tutto perdona. Il setting non garantisce più il confine, lo spazio nel quale la relazione intersoggettiva può proficuamente dispiegarsi.
Marta Badoni nel capitolo Tradimento e corruzione affronta la questione relativa “agli accadimenti che il processo di soggettivazione richiede affinché sia garantito al soggetto il sentimento del proprio esistere e la possibilità di occupare una propria libera posizione del mondo. Si tratta di un processo che vede coinvolti all’origine il bambino e il proprio ambiente di cura, ma che si ripete con continuità e rotture in tutto il percorso della vita” (p. 93). Badoni distingue il tempo dell’origine, l’originario dall’originalità che caratterizza ogni soggetto. Nelle primissime fasi dello sviluppo è proprio la personale originalità a fare la differenza e a alimentare il dialogo intersoggettivo tra la madre e il bambino. L’originalità è nuovamente in gioco in adolescenza, quando l’appropriazione soggettiva di sé e dei propri funzionamenti corporei e psichici è cruciale. Badoni si sofferma poi sul potere corruttivo dell’amore materno e sul “buon uso del tradimento. Quando la madre inconsciamente intima al bambino di essere come lei vuole il processo di soggettivazione è guastato, alterato, contaminato. Scrive Badoni: “L’amore che ‘ricopre ogni colpa’ si fa corruttivo quando la colpa è quella di esistere, colpa che ha bisogno di essere trasformata, non di essere coperta” (p. 95).
“Le mamme per tenere i loro bambini e portarli a dormire e a sognare debbono poter pensare di allontanarli: tenere non è trattenere” (p. 98).
Il tradimento e la corruzione “intercettano certamente il tema del NO (capacità di dire no del bambino), ma prima ancora riguardano la tenuta del sé e la capacità di difendere una propria realtà: il tradimento in quanto apre alla possibilità di differenziarsi da, la corruzione in quanto stato di degrado e di dissolvimento che qui riferisco all’originario e al costituirsi del sé, possibile oggetto di fenomeni corruttivi da parte dell’ambiente di cura” (p. 98).
Il “buon uso” del tradimento è descritto a partire dai momenti in cui i genitori accompagnano il bambino a dormire. “Il bambino che sta per addormentarsi sa invece, e lo sanno anche i genitori, che il problema è quello di sostenere una separazione: il sonno richiama anche l’ultimo sonno, dal quale non ci si risveglia. […] Potremmo dire che li addormentano a tradimento, illudendoli su un possibile viaggio di famiglia. Il tradire si fa in questi casi una evenienza naturale: tradere, consegnare, tramandare: consegnare a un altro mondo, quello del sonno e del sogno, per iniziare un giorno nuovo: me ne sono andato, ma sono ancora qui, nessuno si è offeso. Questo fa anche l’analista in seduta ed è questo che mi ha fatto pensare al ‘setting, con i suoi tempi, i suoi ritmi, i suoi silenzi, come a braccia pensanti” (p. 103).
Antonella Granieri in La comunità contaminata di Casale Monferrato: aspetti corruttivi della governance e sopravvivenza psichica tratta della vicenda di un’intera comunità che si è trovata, per la logica del profitto, esposta a gravi patologie polmonari. Il testo ripercorre la storia di una zona che aveva vissuto per anni lavorando l’amianto. La tossicità di questo minerale, per ironia della sorte amianto significa immacolato ma anche incorruttibile, segnalata dai primi anni sessanta è stata riconosciuta solo quando i danni alla salute della popolazione sono stati drammatici. La corruzione e il profitto hanno svolto un ruolo dominante, fino all’intervento definitivo della Magistratura.
Il grande valore del contributo di Granieri sta nel resoconto della sua esperienza di conduzione di un gruppo terapeutico psicoanalitico “con la mente gruppale traumatizzata di quel territorio” (p. 120). Il gruppo multifamiliare, sul modello proposto in Argentina da Jorge Garcia Badaracco, ha rappresentato, secondo l’Autrice, il setting più opportuno per promuovere un cambiamento psichico profondo, favorendo lo sviluppo di risorse egoiche genuine a sostegno delle parti sofferenti del sé e permettendo di storicizzare la malattia. , consentendo l’emergere di molteplici narrazioni del dolore somato-psichico. Il gruppo è aperto a chiunque desiderasse partecipare: pazienti, familiari, operatori dei servizi sanitari assistenziali in genere ogni cittadino interessato” (p. 120).
Noè Loiacono nel testo Pazienti difficili da raggiungere: contaminazione e corruzione si sofferma sulla clinica della patologia narcisistica, che sarebbe alla base della corruzione del funzionamento psichico. Scrive: “Per offrire un aiuto a questi individui sul bordo della vita, mai pienamente vivi, troppo impauriti, occorre che anche il terapeuta si spogli un poco del suo bagaglio personale professionale della sua soggettività, che possa diventare pietra, roccia, appiglio relativamente impersonale” (p. 131).
Quanto Loiacono sviluppa è il rischio che può generarsi nell’assetto analitico dell’analista. Si tratta delle svariate forme attraverso le quali è possibile arrivare a colonizzare il paziente, volerlo “convincere” a vivere, a volersi bene o nutrire un inconfessabile disappunto nei riguardi di quanto ci comunica e con cui ci sentiamo in disaccordo. Soprattutto quando non apprezza la nostra dedizione nei suoi confronti. La via che Loiacono segnala quale possibile antidoto a tale rischio è di affinare il nostro linguaggio affettivo, facendo posto nella nostra mente, a uno condizione stabile di vicinanza che resista ai tentativi del paziente di saggiare la tenuta della nostra presenza accanto a lui e a prescindere da lui.
Il testo di Saottini Corruzione e affiliazione. Il patto narcisistico nella costruzione dell’identità sociale degli adolescenti sostiene la necessità di dar voce all’esigenza di ricostruire legami forti che facciano rinascere la speranza di essere riconosciuti e aprirsi al riconoscimento dell’altro che solo permette di tollerare l’incontro con se stessi. La sua esperienza nasce in un contesto in cui gli adolescenti autori di reato sono già immersi in una corruzione che riguarda sia la loro affettività sia la loro capacità di raccontarsi, di ricostruire una narrativa di se stessi e di trovarsi a loro agio e riconosciuti nella loro identità soltanto in ambiti culturali corrotti. Richiedono un’affiliazione che si realizza per la forza negativa dell’appartenenza. Si tratta di ragazzi dall’identità blindata per i quali pensare soprattutto a sé è sentito come particolarmente antagonistico alla sicurezza che deriva dall’inclusione collettiva. In questi casi la possibilità di salvarsi sta nel coraggio di uscire dal patto narcisistico contratto con il gruppo di appartenenza.
Ronny Jaffè nel suo contributo Freulein Else ovvero gli elementi corruttivi nella trasmissione generazionale prende lo spunto per trattare del passaggio intergenerazionale di elementi corruttivi dal racconto “Fraulein” Else di Arthur Schnitzler. Lo scrittore è stato riconosciuto da Freud come esploratore dell’inconscio e come critico raffinato e sensibile del perbenismo e il mondo decadente e in crisi dell’Austria dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Si tratta della tragica storia di Else il cui padre si appropria indebitamente del patrimonio della figlia, che lui avrebbe dovuto tutelare. Per evitare la bancarotta familiare, la madre “impone” alla figlia di “offrirsi”, per ricevere un prestito, ad un mercante d’arte, il nobile Von Dorsday.
È così descritto il sistema della corruzione e ciò che ne consegue, cioè una sorta di contagio radioattivo che umilia il processo di soggettivazione della persona.
La questione, dunque, è la trasmissione della corruzione tra le generazioni.
“Perché questo sia reso possibile è tuttavia necessario che il genitore crei uno spazio differenziante tra sé e il figlio e che non si impianti nella sua esistenza attraverso forme tiranniche, ricattatorie e seducenti. A mio parere, la vicenda di Else disconferma la possibilità di creazione di tale spazio: le viene richiesto di obbedire al mandato parentale nello stesso istante in cui genitori abdicano alla loro funzione di garanti con l’esplicito crollo della funzione edipica e genitoriale; la richiesta è semplicemente quella di una dipendenza assoluta e acritica, fondata sulla presunzione di meccanismi imitativi” (p. 165)..
Per quanto riguarda il sistema della corruzione è come se vi fosse una naturalità basica e acritica nella sua trasmissione come avviene solitamente nelle famiglie mafiose. Si tratta in questi casi di una sorta di “contagio radioattivo” per cui l’ambiente esterno corrotto “entra all’interno dell’apparato psichico del soggetto, senza che questi abbia alcun controllo sulla sua inoculazione, sul suo innesto e su quelli che saranno gli effetti”. Jaffé segnala come possano esserci almeno due diverse forme di propagazione corruttiva. “La prima forma […] è quella che si trasmette e si depone in modo fisiologico e indiscusso da una generazione all’altra”. Invece la seconda è quella che può travolgere quello che Freud definiva la coscienza morale e che riguarda la funzione etica e di responsabilità. […] Il problema allora non è solo relativo all’intromissione automatica dei sistemi perversi e corruttivi da una generazione all’altra nell’individuo e nel gruppo, ma riguarda anche la facilità con cui tenui fili di coscienza morale coniugati alla funzione edipica, possano venire spazzati via e questo avviene in particolare quando il soggetto è permeato dal gruppo e dalla massa” (p. 166-167).
Quando poi l’individuo soggiace all’autoritarismo della corruzione, i fattori sono fondamentalmente tre: un comprensibile stato di panico quando il potere corrotto agisce in modo violento, ricattatorio, implacabile; un’angoscia sociale per cui risulta insopportabile uscire dal proprio gruppo di riferimento, quando la corruzione è diventata legge; un’attrazione obbediente a forme seducenti e ammalianti visto che solitamente la proposta corruttiva si fa spesso forte di false promesse e illusioni.
Ciò che è ricordato è l’importanza della spontaneità che può solo generarsi in un soggetto capace di identificarsi con il suo referente ma anche di disidentificarsi e prendere le distanze dai modelli d’identificazione (Jaffè ricorda i leonardeschi con tutti i loro limiti artistici), perché la sola trasmissione rende corrotto nella sua spontaneità il suo protagonista.
Scrive Jaffè: “Come analisti siamo continuamente chiamati a riflettere sul legame tra il potere e la seduzione, poiché forte può essere la tentazione di cavalcare questo legame con l’esito di corrompere, nel senso di ‘deteriorare e guastare’ le qualità personali ed originali di chi desidera intraprendere e apprendere questo mestiere” (p. 173).
Il volume si conclude con alcune creative e poetiche riflessioni psicoanalitiche di Castriota dal titolo All’apparir del vero. Riflessioni analitiche dal “Moby Dick di Melville, che cita i versi di Leopardi per ricordarci quanto solo il cadere dell’onnipotenza possa salvarci e farci sentire che il “naufragar m’è dolce in questo mare” (p. 175).