Parole chiave: Fachinelli, Psicoanalisi, Corpo, Fantasma
Esercizi di psicoanalisi
Elvio Fachinelli, Feltrinelli, 2022.
A cura di Cristiana Cimino
Si è svolta il 18 novembre, in occasione della presentazione dell’ultimo libro postumo di Elvio Fachinelli “Esercizi di psicoanalisi”, Feltrinelli, 2022, una conversazione sull’Autore organizzata dall’Istituto Psicoanalitico di Ricerche Sociali e dell’Istituto Elvio Fachinelli. Nonostante la diversità di formazione e provenienza, i partecipanti Anna Ferruta, Cristiana Cimino, Sergio Benvenuto, Marco Conci, Gioele Cima, hanno avuto uno scambio fertile anche con i presenti, e sono riusciti ad individuare alcune delle tante linee del pensiero di Fachinelli. Come il tema del corpo-linguaggio, centrale, che apre, come estrema ratio, al territorio della psicosomatica e alla questione del rapporto diretto tra inconscio e corpo, caro a Fachinelli e, secondo lui, tradito da Freud che avrebbe abbandonato un’altra “terra promessa”, come quella del “femminile”. Fachinelli non si rassegna alla riduzione del corpo al linguaggio, e in questo contesta Lacan ipotizzando per il corpo una sua propria lingua. Effettivamente in questo libro, ancora più che in altri, l’Autore mette in questione e ingaggia un confronto duro con i suoi maestri, Freud e Lacan (ancora più duro con quest’ultimo), ben esemplificato dalla conversazione avuta con Lacan nel 1972 a Milano, organizzata dalla Scuola Freudiana, in cui evidentemente Fachinelli non si accontenta, a proposito del corpo e di altre possibili lingue, delle risposte di Lacan per il quale il corpo è ciò in cui si incarna il fantasma. Qui Fachinelli sembra in qualche modo non tenere (o non voler tenere?) conto dell’ultima parte della ricerca e dell’insegnamento lacaniano per il quale la lettera non è più significante ma marchio a fuoco sul corpo, ossia godimento irriducibile alla parola. La psicoanalisi freudiana e lacaniana viene bollata da Fachinelli come “intellettualistica”, critica che in genere proviene dall’istituzione psicoanalitica. E anche come anti-iconica, refrattaria all’immagine, il che è piuttosto sorprendente se si considerano immagini che abbiamo stampate nella mente come i sogni dell’Uomo dei lupi o gli stessi sogni di Freud. Ma in Fachinelli è tutta una sorpresa, in questo simile ai suoi maestri che sono artisti nel non lasciarci tranquilli.
Il tema del rapporto tra psicoanalisi e istituzione e dell’istituzione in generale è stato declinato in relazione alla posizione di “marginalità” scelta da Fachinelli non solo rispetto alla SPI ma all’intero mondo intellettuale, frutto, anche, dell’essere un po’ nomade: nato a Luserna dove peraltro si parla cimbro, vissuto in Francia e poi a Milano. Non credo che questo sia da intendersi come un’effettiva condizione di fringe di Fachinelli, alla luce della sua fama e del costante rapporto con i mass-media, ma di una scelta etica che predilige le soglie, per dirla con Derrida, i “margini”, appunto, perché solo lì è possibile mantenere vivo il desiderio. Lì hanno luogo le “contaminazioni” e le “nexologie”, termini che ricorrevano nella conversazione, a fronte dell’arroccamento e della ripetitività di posizioni dai confini ben definiti. Partecipazione, dunque, a fronte di affiliazione, apertura anziché chiusura nella “foresta appuntita delle difese” in cui la psicoanalisi istituzionale (l’IPA) si sarebbe asserragliata. Apertura “estatica” a fronte del “grottesco”[1] quotidiano che pietrifica la vita dei soggetti.
Le istituzioni e anche i gruppi di cui Fachinelli era curioso sperimentatore e anche osservatore sospettoso, corrono gli stessi rischi compreso quello dell’esercizio non sorvegliato del potere. La diffidenza di Fachinelli verso l’istituzione è confermata, se ce ne fosse bisogno, dal suo rifiuto alla proposta di Lacan di diventare responsabile della sua Scuola italiana. Nonostante il rifiuto Lacan continuerà a considerare Fachinelli il suo unico erede italiano.
Fachinelli è stato ed è l’intellettuale della domanda e non della risposta, del lancio di “cerbottana (psicoanalitica e non solo)” che colpisce come uno spillo, perché non si accontenta dei percorsi tracciati ma ne cerca altri, magari scomodi, sempre esposto alla possibilità di lasciarsi sorprendere, deviare dal percorso, aprirsi al nuovo, a rischiare. Questa è l’eredità (impegnativa) che lascia, al di là delle tante tracce di materiale su cui riflettere ancora: una forma di pensiero critico e aperto a ciò che si presenta, insofferente verso il sapere pre-confezionato, padronale, animato dal desiderio e dall’inquietudine di spingersi sempre un po’ più in là.
[1] Elvio Fachinelli: “Grottesche”, Italo Svevo, 2019.