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“Prendersi in gioco” di M. Badoni. Recensione di G. Di Chiara e C. Saottini

10/03/23
"Prendersi in gioco. Una psicoanalista racconta" di M. Badoni. Recensione di G. Di Chiara e C. Saottini

Parole chiave: gioco, psicoanalisi infantile, Winnicott

PRENDERSI IN GIOCO. UNA PSICOANALISTA RACCONTA

di Marta Badoni, Raffaello Cortina, Milano, 2023

Recensione di G. Di Chiara e C. Saottini

G. DI CHIARA

Abbiamo accettato volentieri di partecipare alla presentazione di questo bel libro di Marta Badoni, di cui conoscevamo solo alcuni capitoli. Ma conosciamo l’Autrice abbastanza per sapere che avrebbe detto cose interessanti sui bambini e sulla psicoanalisi.

Tutti e due interessati alla psicoanalisi infantile e convinti sostenitori della grandissima importanza che ha per la psicoanalisi la conoscenza delle aree mentali esplorabili con la psicoanalisi nell’infanzia. Cristina Saottini inoltre esperta in psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti; Giuseppe Di Chiara impegnato nell’elaborazione di quel “Narratore Psicoanalitico”, del quale vi ha già parlato in questa stessa sede. Esso infatti ha una profonda radice che ci porta a quel livello di esperienza del mondo infantile precoce e originario, del quale molto si racconta, ma del quale non è facile avere prove ed appoggi concreti dall’esperienza.

Marta Badoni non è il tipo che si accontenta delle cose sentite dire : lei vuole persuadersi, vedere da vicino, cercare di capire bene cosa è del bambino e cosa gli viene attribuito. Ella è , in questo senso, l’erede dello spirito critico di Luciana Nissim, l’enfant terrible della psicoanalisi italiana, il ragazzino che svelò l’impostura dell’imperatore nudo del racconto di Andersen.

Ed è appunto a Luciana Nissim che si richiamano nella loro bella presentazione al volume Stefania Nicasi e Alessia Fusilli De Camillis. A Luciana e a Stefania Manfredi, allo stile delle quali equiparano quello della nostra Autrice, “la forma aperta, dinamica e problematizzante” ( Nicasi e De Camillis,7). La loro presentazione è una guida preziosa alla lettura del libro, richiamando i suoi temi centrali e alcuni raccordi fondamentali. Così quello con la significatività e il grande rilievo che ha in psicoanalisi la persona dello psicoanalista. Perchè l’analisi – ci ricorda Riolo – è “un cammino percorso da due viandanti” (Riolo,2018). O quell’altro, del passaggio dall’”ascolto sospettoso all’ascolto rispettoso”(Nissim,1985). E, ancora, il collegamento dello stile di scrittura a un carattere

tipicamente femminile, come descritto da Giuliana Saladino. Un carattere “a lascia e piglia” , con salti e riprese (Saladino,2000).

Ed è inseguendo questi segmenti oscillanti di discorso che leggiamo il libro, convincendoci sempre di più che siamo in presenza di un grande trattato di psicoanalisi, in formato condensato, ma di grande chiarezza e profondità.

Dal momento che la vita e la formazione professionale godono degli stessi accorgimenti – scrive Marta a pag.20) – riprendiamo il racconto della sua vita personale intrecciato con la sua vita professionale nell’istituzione psicoanalitica. Il “prendersi in gioco” è il calembour nato nel corso di un impegno istituzionale al Centro Psicoanalitico di Firenze e ha dato il via alla voglia di giocare “con un percorso all’indietro…sulla scia dei maestri e su quella dei ricordi, lungo il tempo del mio giocare analitico ormai alle spalle” (83). In Un tempo per consegnare, Generare. Marta ricorda come fossa l’ultima di dodici, tutte femmine, un solo maschio, morto prematuramente, caduto in guerra nel ’43, che ha cercato il suo posto. Suo già nel nome , fuori del repertorio familiare, dove , la più piccola tra tutti più grandi, che cerca di capire e dai quali si protegge nei suoi nascondigli e con i suoi interventi “stravaganti”. E’ chiamata “Regina dei Balordi”. E “ se il regno fu perso, non il piacere all’originalità” ( 186). Nel 1966 “fresca di nozze e curiosa di ogni cosa”, “risalendo in auto il passo del Sempione”, nota la “leggerezza dell’aria”, e , scollinato il passo, “un taglio di luce sulla valle del Rodano, che ancora oggi mi commuove” (20). Ma era l’inizio di un lungo percorso. A Losanna, dove si occupa di biochimica ed endocrinologia, rimane affascinata in una conferenza all’Ospedale Psichiatrico Cantonale dalla presentazione di una psicoanalisi di un bambino . Cambia indirizzo, incontra la Psicoterapia di Rilassamento secondo de Ajuriaguerra, iniziandone il percorso. Scopre il “dialogo tonico”. Rimane a Losanna per sette anni e conclude quell’esperienza da Primario incaricato del servizio. Tornata a Milano inizia la formazione analitica, che deve interrompere per serie conflittualità familiari. Lavora e si iscrive a Neuropsichiatria Infantile, divenendone specialista nell’ ’80. Penetra a fondo nel mondo professionale e culturale della cura del disagio infantile, frequentando istituzioni pubbliche e private. Insegna in Università come professore a contratto, mentre, già dall’ ’80 , riprende la formazione psicoanalitica nella SPI, alla quale si associa nell’ ’89. (21 e segg.). Ma, scrive : “ appena associata devo fare i conti con una istituzione che mi attira e mi sollecita, mi mette soggezione, mi interroga e mi sfida” (44). Io dico che questo è un elogio della nostra istituzione, che ci fa una buona figura. E’ vero però che alcune cose “le stanno strette”. Perchè – si chiede- tutto quello che lei ha imparato sui bambini non trova spazio nella organizzazione della SPI ? Perché “infantile” connota in maniera svalutante la psicoanalisi ? (44). Nel 1993 dà vita con

Claudia Artoni, Nino Ferro, Magda Viola e Dina Vallino all’Osservatorio di Psicoanalisi Infantile e riceve il suo riconoscimento da parte del direttivo. Il lavoro dell’ Osservatorio produrrà successivamente, nel corso del Direttivo presieduto da Fausto Petrella, nel quale Marta è Segretario (1997/2001) l’introduzione nella formazione del Corso di Perfezionamento nell’analisi dei bambini e adolescenti (45). Meritato risultato del tanto lavoro fatto da Marta e da quanti con lei collaborarono. Marta Badoni non nasconde d’essere “stupita” e “spaesata” “perchè il lavoro analitico con i bambini è stato ed è per l’Istituzione psicoanalitica contemporaneamente una miniera di scoperte e un elemento di disturbo” (62). Ella ricorda con rammarico che talvolta si è sentita dire dell’analisi infantile “questa non è psicoanalisi !” (62). Anche noi ricordiamo come spesso si parlasse dell’analisi dei bambini come di qualcosa molto interessante, che però veniva accettata come una pratica fatta godendo di una sorta di speciale franchigia. I bambini, insomma, nelle loro case e nell’Istituzione psicoanalitica sono insieme interessanti e temuti (62). In pagine ricche di informazioni e di pensieri Marta racconta la storia della psicoanalisi infantile, dalle pioniere in poi, comprese le vicende della “grande controversia” a Londra tra Anna Freud e Melanie Klein, fino al paradossale quesito se lo sviluppo mentale possa essere spiegato in termini di relazioni oggettuali infantili o in termini di vicissitudini delle pulsioni. (66 e segg.). Domanda paradossale perchè le due vie sono sullo stesso binario.

Dopo 41 anni di vita e lavoro a Milano, torna a Lecco, nella casa natale, per immergersi negli archivi di famiglia, “esperienza intensa” che le permette il ritrovamento e il confronto con le immagini familiari. (81). Senza per questo tralasciare quel lavoro anche istituzionale, che ancora la occupa, fino a tempi recenti, “in un mondo che si va facendo, oltrechè più povero, più frettoloso, più “narciso”, più diffidente verso la psicoanalisi” (81). Ma forse è un segno favorevole, questa diffidenza – aggiungiamo- questo ritorno di attrito tra il mondo e la psicoanalisi, così caratteristico quando la SPI era giovane. Il segno di una reattività che cerca di allontanare la cura di cui si sente il bisogno. All’Istituzione è dedicata la conclusione dell’ultimo capitolo con la raccomandazione che essa sappia preservare l’originalità dei suoi soci : sappia interessarsi a ciò che succede, e non al successo; sappia dare la giusta importanza alle tappe del percorso formativo e alla sua conclusione (208- 209). Conclusione che non è un posto dove fermarsi al sicuro, ma un posto da cui partire per viaggi avventurosi.

Malintesi, mali intesi è ,all’inizio del volume, lo scritto che riprendendo le esperienze fatte in anni di Psicoterapia di Rilassamento, ma anche di psicoanalisi e di pratica clinica è rivolto all’ascolto del corpo, all’aspettativa di poterlo capire, all’impegno di poterne tradurre il misterioso linguaggio. E qui chiediamo alla nostra Autrice se lei creda che nell’uso del

lettino e della poltrona nell’analisi sia incluso, senza che Freud e noi tutti lo sapessimo, quello che de Ajuriaguerra cercava di realizzare con la Psicoterapia di Rilassamento. E’ interessante questo, perchè allora, mentre noi siamo in seduta, paziente ed analista, sarebbe in corso “il dialogo tonico”, i messaggi e le risposte cenestesiche. Una comunicazione non verbale, alla quale faranno seguito le comunicazioni pre-verbali, e poi quelle verbali.(27). Prima viene il silenzio, per sentire il paziente e il suo male (28), i suoi infiniti messaggi del corpo (28). E bisogna saperlo fare il silenzio! Frenando la parola soverchiante, per “sentire con tutti i sensi” (Bastianini, Degl’Innocenti, Ferruta, 2022), trattenendo la parola prepotente, “avida di significato (Ferruta,2022). Ma come “tradurre il corpo”, come sottoporre alla traduzione il corpo ? Significa prepararsi, in ogni caso, per come avviene per i testi linguistici all’esperienza di “lutto” e di “felicità”, segnalate da Ricoeur (Ricoeur,2001) e così bene studiate e approfondite da Martini (Martini,2020). Il lutto-dice Ricoeur- è perchè rimane sempre l’intraducibile ; la felicità perchè una parte può essere tradotta. Ma – scrive Martini- “ l’intraducibile permane, persiste, non è stato completamente eliminato dal nostro tentativo di comprenderlo” (Martini,2020, 423). Ed è proprio a questo intraducibile che rimane e persiste che ha rivolto negli anni la propria attenzione Marta Badoni. Alla traccia di una forma di scambio tra i corpi delle madri e dei bambini che adombra una “relazione arcana, eppure fondante” (29). Sullo sfondo il riferimento al Freud del Progetto (Freud, 1895) e la grande importanza della ricezione materna (29). Tradurre il corpo richiede – argomenta Marta Badoni- l’assegnargli una “estraneità”, farlo “terzo” (32), per potersene occupare, ma anche servire. Deve formarsi una rappresentazione del corpo originario, un oggetto psichico. E ci viene da pensare adesso al “narratore psicoanalitico” (Di Chiara, 2022). Le storie cliniche di Maria e di Fabiola ci portano vicino a Marta, al lavoro nel suo studio.

Quanto sia stato importante portare nella SPI l’analisi dei bambini è messo in evidenza soprattutto, ma non solo, nella parte clinica del libro. Marta   ci ha visto bene ed ha fatto sul serio. Prima l’attività degli Osservatori di analisi infantile, poi la specializzazione introdotta nella formazione in analisi dei bambini e degli adolescenti hanno avuto un impatto culturale assai significativo su tutto il nostro gruppo. Cosa è più convincente del vedere “sul campo” la formazione della mente dalle sue fasi precoci ! Vedere da vicino l’intreccio e il ciclo di osservazione-teoria-clinica-osservazione (56 e segg.). E viene in primo piano quel doversi far carico della cura dei genitori, mentre si fa quella dei bambini. Del resto la nostra formazione non comincia con la cura di quelli che cureranno ? Se poi pensiamo alla transgenerazionalità, possiamo capire quanto sia forte il peso nell’equilibrio mentale della porzione “influenza dei genitori”, che poi diviene, con le

imprevedibili trasformazioni, “influenza delle rappresentazioni genitoriali”. E come tutto questo riecheggia nel rapporto pazienti-analisti ! Non dimentichiamo che ,in passato, la nostra tendenza era quella di escludere i genitori , e basta. Adesso abbiamo imparato. Continuando a proteggere l’analisi dei nostri pazienti, abbiamo imparato a tenere conto anche dei loro genitori e dell’ambiente di vita , soprattutto dopo il lavoro di Winnicott . Ma Marta nello stesso tempo ci ricorda Freud che ha scritto che “la teoria delle pulsioni è la parte più importante, ma anche la meno rifinita, della teoria psicoanalitica”(Freud,1905,479,n.3 – del 1924), (53). Tutto questo in un capitolo dall’eloquente titolo Genitori, figli e analisti. Risorse e sfide per l’Istituzione psicoanalitica.

Fedele ai capisaldi del suo pensiero , Marta Badoni sottolinea l’importanza della “persona “ dell’analista, “che può sostenere il processo analitico, ma può anche sciuparlo” (102). Rammenta che occuparsi dei genitori, quelli reali e le loro rappresentazioni, serve a “rimetterli in gioco”, e permettere nuove realizzazioni. Prima di concludere il capitolo Marta sviluppa una riflessione preoccupata sui possibili rischi di una specializzazione esagerata, scompensata. Il pericolo di smarrirsi nella specializzazione, smarrendo la complessità del nostro oggetto di cura. Non dobbiamo pensare a campi teorici e clinici tra di loro separati. L’area del gioco è indispensabile per bambini ed adulti; non dobbiamo “creare falsi esperti e false cure”(58) ; i livelli infantili,adolescenti ed adulti sono sempre presenti in diversa maniera, e bisogna saperne tenere conto (58). E conclude : “Più che la distinzione tra una psicoanalisi degli adulti, una dei bambini, una degli adolescenti, dovremmo tenere viva una psicoanalisi che, in quanto centrata sul costituirsi e sul modificarsi della psiche umana, debba darsi gli strumenti e le competenze necessarie per intervenire nelle diverse età dell’uomo. I semi ci sono e non possiamo che augurarci che diano buoni frutti,” (59).

In un capitolo successivo L’analista, tra genitori e figli. Lavorare in presenza di un mandato transgenerazionale estende la sua ricerca sulla patologia che si trasmette nascosta di generazione in generazione. La cura si fa difficile perchè sul paziente adesso in analisi si è addensato un cumulo di sofferenza , di menzogna, di difese. Dolori psichici misconosciuti, lutti impossibili, impossibili riparazioni, invalicabili narcisismi, figli non pensati come altri di generazione in generazione. Come si collocherà l’analista ? Cosa cercherà di fare ? L’analista si porrà in controtendenza perché deve cercare di disattivare il mandato trasmesso e consentire al paziente lo sviluppo di una sua identità (114). Così è per Anna . Viene descritta l’analisi di una bambina molto sofferente, che inizia a quattro anni, interrompe e riprende a cinque. Un’analisi lunga, piena di sorprese, raccontata con maestria e bellezza, che certamente meriterebbe , già essa sola, d’essere studiata come testo esemplare di clinica psicoanalitica (116 e segg.).

Gli ultimi due capitoli del volume Tradimento e corruzione. Sul potere corruttivo dell’amore materno e Sul buon uso del tradimento ,l’ottavo, e, il nono , Un problema all’origine : l’originalità sono dedicati alla crescita e all’emancipazione. Queste avvengono sfidando un atteggiamento corruttivo dell’amore materno e aiutandosi con il buon uso del tradimento di un patto di fedeltà con la madre ( 187). Difficile è dunque il passaggio dalla dipendenza alla emancipazione . Dal momento che “la psiche umana si plasma nel rapporto con l’altro” (190), il processo di soggettivizzazione affronta il paradosso di un soggetto che è insieme “sottomesso” ma anche “agente” (189-190). La Nostra segnala la colpa di emanciparsi, di essere se stessi e non l’altro che ci ha aiutati. E’ questa colpa che ci fa vivere la crescita come tradimento (191 e segg). Si mette in evidenza l’importanza del “ dire no” (192). Il tradimento acquista così un potere innovativo (195). “L’individuo è contemporaneamente oggetto di una consegna, e soggetto di una innovazione” (196). Molto buona la descrizione di quanto avviene in questo uso buono del tradimento (196). Vogliamo però segnalare come vicino a questa strada, così impervia, Marta Badoni tenga anche in conto “i diversi stili materni” e apre la strada ad una concezione non rigida ed immutabile (193). Secondo noi siamo in presenza di fenomeni molto dipendenti da costumi culturali, che confliggono con le aspettative di crescita della specie. Difatti nel capitolo successivo, Un problema all’origine : l’originalità continua l’indagine del tema del tradire, che si sovrappone a quello del tradere, del consegnare , dell’istituire tradizione , con tutte le ambiguità che lo connotano (201). Quale è l’originalità dell’infante ?-Si chiede- e “cosa chiedono i genitori in cambio del dono della vita” (202). Vediamo qui che viene affrontato il tema problematico di un dono pericoloso, perchè dato da un amore contabile. Ma come sono andate le cose quando, agli albori della vita neonatale, vi fu solo “il dialogo tonico” tra il corpo dei figli e le braccia delle madri ? Quando la natura predispose con la maturazione delle complesse strutture somatiche il pensiero, senza pensatore ( ed è a Bion che l’Autrice fa riferimento (207)). Poi giunse il pensatore, arricchito dal linguaggio e dalla cultura, e prese in mano il processo di crescita, con i suoi successi e i suoi fallimenti. A questo punto Marta Badoni svolge una interessante riflessione sulla funzione dell’ “angoscia segnale” come regolatore delle vicende psichiche nel passaggio tra la vita pre- natale e quella neonatale. Questa potente emozione, già studiata da Freud, sorgiva dal corpo, si installa nella vita psichica quale “potente mediatore” di questo transito (pag.203- 204), svolgendo la sua funzione come “una sorte di vaccino, ”una malattia sostenibile”, scrive Freud, che protegge l’Io dall’essere travolto”(204). Potente mediatore al quale uno di noi aveva pensato come fattore decisivo nel regolare i processi di apprendimento (Di Chiara,1970, nota 1).

Strategie e inciampi sulle vie “errabonde” è il titolo di un paragrafo del capitolo VII, che potremmo tuttavia adoperare come cornice di una serie di indicazioni, notazioni, raccomandazioni, che Marta Badoni distribuisce nel corso di tutta l’opera, e che adesso, a conclusione, vogliamo, almeno in parte, raccogliere. La centralità del gioco, innanzitutto. Il gioco e le sue varianti. Il gioco nello specifico setting della stanza dei giochi per i bambini, ma anche come l’attività di gioco implicita in tutto il discorso psicoanalitico, secondo la lezione di Winnicott. Ricordandoci come il gioco sia un potente analogo del sogno (Ricoeur). Poi la reverie, a partire da quella materna, che è il primo passo della cura (151), per come sarà sviluppata da Bion (71). Marta è molto puntuale sull’argomento e cita Ogden, scrivendo: “ La funzione di reverie non è la self-disclosure degli intersoggettivisti, quanto l’offerta che la madre fa al bambino e l’analista al paziente del proprio psiche-soma come metodo per seguire le tracce, cogliere gli indizi, restituire il corpo alla mente Ogden 2001)” (151). E’ dunque un mettere a disposizione il proprio psiche-soma per essere di aiuto all’altro. Viene difatti appropriatamente citato a questo punto il passo del Progetto di Freud del 1985 sulla origine di tutte “ le motivazioni morali” (152). Non dimentichiamo il richiamo alla “preziosità del linguaggio” al quale è dedicato l’ammirevole Quale lo spazio della parola ?(pag.96 – 97). La parola e il silenzio: perchè bisogna che il rumore cessi per sentire il pianto di un bambino ! (153) ( Quante volte- ricordiamoci- non sappiamo stare in silenzio !). E, a proposito di linguaggio, Marta Badoni ci propone nuove soluzioni . Interrogare e interrogarsi, piuttosto che definire. E’ meglio chiedere “cosa vuol dire ?, piuttosto che dire “tu vuoi dire altro.” (162 e 175). Presentando il caso di Orlando Marta argomenta come gli interventi in forma interrogativa da parte dell’analista offrano la possibilità di “identificarsi in una funzione di apprendimento, che è dell’analista prima di essere dei pazienti “(161). Scopre anche quanto sia importante, talvolta, “parlare un po’ a me stessa e un po’ al paziente” (175). Questo tipo di intervento ci fa venire in mente un interessante scritto di Calamandrei sull’origine della funzione emotivo-simbolica nel rapporto madre-bambino (Calamandrei, 2020). Vi è poi il tema del “clandestino”, figura importante nel contesto dello sviluppo e nell’analisi, che si origina nei passaggi difficili, soprattutto quelli della separazione e del trauma. Doppio del soggetto o parte di esso che si sottrae all’esperienza insostenibile: nascondersi allora, marinare, sparire, vivere in clandestinità (164). Come “sostenere la propria separatezza… nel costituirsi dell’identità e nell’assunzione della temporalità” (165). Il clandestino separato deve essere contattato dal soccorritore (148). Il clandestino è il bambino che scopre di essersi separato- scoprì Gaddini nel 1981-(148).

Il bambino Achille e la sua analisi dimostrano chiaramente come i piani delle costruzioni in

analisi siano dei pazienti. Agli analisti tocca scoprirli , farseli dare, chiederli, per come si trovò a fare Marta quando disse ad Achille : “ Se tu non mi insegni come vuoi che io costruisca gli aeroplani, non posso aiutarti” (95). Anche ai cambiamenti Marta Badoni dà attenzione. Cambiamenti nelle patologie, meno paura e più eccitazione; cambiamenti nella sessualità infantile – e nell’aggressività, aggiungiamo- , con conseguenze nei rapporti tra realtà interna ed esterna (74-75). La realtà “virtuale”, poi, soverchia le altre ed altera la persona (75). Le parole sempre di più si avvicinano all’atto (75).

Raccomandazioni ci sono anche per l’insegnamento. Non dimenticare di insegnare a leggere e capire i diversi livelli psico-somatici, dell’infantile, dell’adolescente, dell’adulto. Rimanere sensibili ai diversi livelli. Sapere assistere e curare ai diversi livelli (59). Possiamo dire che la lezione di Marta ci ricorda di come l’analista dei bambini debba conoscere bene le regioni adulte verso le quali viaggia il bambino. Come l’analista degli adulti debba conoscere bene le regioni infantili dalle quali viene l’adulto.

Questo Prendersi in gioco di Marta Badoni, che vi abbiamo presentato, contribuisce a farci vedere come la comprensione della mente inconscia realizzata dalla psicoanalisi sia giunta a far luce sul fondamentale “bisogno di cura” e insieme sui mezzi e le difficoltà che incontra la sua soddisfazione.

Nota 1. “ Possiamo ipotizzare, forse, che l’uomo dotato della capacità di soddisfare il bisogno di cibo e quello sessuale sarebbe solo capace di sopravvivere e di riprodursi : mentre attraverso i processi di trasformazione governati dall’ansia, utilizzando le stesse matrici, egli può fruire del loro continuo rinnovarsi in bisogno di apprendere e di amare, e che, per questa via, l’ansia che si riduce e torna ad aumentare è il punto chiave di ogni processo di trasformazione e di crescita” (Di Chiara, 1970).

Bibliografia.

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Di Chiara G. (2022) Il dono dell’altro. Origine, funzioni e destino del narratore psicoanalitico. Psiche, Distanza, 1: 197-216.

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Gaddini E. (1981) Acting-out nella situazione analitica, in Scritti 1953-1985, Cortina, Milano.

Martini G. (2020) La voie longue <Autour de la psychanalyse : approdi. Postfazione

a Attorno alla psicoanalisi di P.Ricoeur ( a cura di F.Barale), Jaca Book, Milano.

Nicasi S., De Camillis Fusilli A. (2023) La via di Marta Badoni alla Psicoanalisi.

Introduzione a Prendersi in gioco di Marta Badoni, Raffaello Cortina, Milano. Nissim Momigliano L. (1985) Una stagione a Vienna : ma Freud era freudiano ? In

L’ascolto rispettoso. Scritti psicoanalitici, a cura di A.Robutti, Raffaello Cortina, Milano, 2001.

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Ricoeur P. (2020) Attorno alla psicoanalisi ( a cura di F.Barale). Jaca Book, Milano.

Riolo F. (2018) Il metodo psicoanalitico e i suoi funtori, in La cura psicoanalitica contemporanea. Estensioni della pratica clinica in Bastianini T.e Ferruta A.(a cura di) Fioriti, Roma.

Saladino G.(2000) Romanzo civile, Sellerio, Palermo.

C. SAOTTINI

Non posso non accennare all’emozione che mi suscita essere qui con questi due maestri, che è anche un regalo che non vorrei sciupare.

Proprio per questo mi ci è voluto un po’ di tempo per convenire che si trattava di presentare un libro all’attenzione dei suoi futuri lettori, visto che è appena uscito, e che questo mi richiedeva anche un certo distacco.

Un libro che raccoglie molti dei lavori di Marta che riempie una mancanza e di cui avevamo bisogno e che è arrivato, diciamo, senza fretta.

Ho trovato in un piccolo libro di una poetessa, Livia Candiani, che ha un titolo che sono certa piace a Marta, Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, la citazione che qui riassumo perché mi è arrivata come un regalo :

“In un paese con un piccolo lago c’è un olmo vecchissimo: ai suoi piedi c’è un cartello di ferro con una citazione di Confucio: “il momento migliore per piantare un albero è dieci anni fa. L’altro momento migliore è ora”.

E sono, come Di Chiara, molto compresa del piacere di testimoniare questa  impresa.

L’attenzione che la lettura del libro di Marta impone, anche in modo perentorio, è di una qualità molto intima e personale, così da coinvolgere oltre alla curiosità e l’interesse del “lettore sapiente”, anche l’emozione che si prova nel riconoscere, nello sviluppo del pensiero di una collega e maestra, un po’ la propria storia, il proprio sviluppo dentro la comunità psicoanalitica, diverso ma vicino.

D’altra parte, la storia personale di Marta, la sua esperienza clinica e la teoria che l’ha sostenuta e da cui si è sviluppata e approfondita, via via in modo sempre vivo e profondo, sono così intimamente intrecciate che ne consegue una narrazione che si può definire autobiografica, anche se di sé ci offre solo qualche accenno.

Inevitabilmente, a mio parere, questo sollecita la presenza personale di ogni lettore che abbia fatto della psicoanalisi una parte importante della propria vita, e lo invita così a fare qualche riflessione dentro la propria biografia e il proprio scorrere del tempo.

Ho il ricordo preciso della prima volta che l’ho sentita parlare, in via Corridoni all’uno, nella sala sovraffollata, da candidata un po’ ingessata quale ero, di Ajuriaguerra, del corpo, della relaxation, della semplicità con cui diceva cose, almeno da me, mai sentite che

sembravano contraddire l’obbligo di assenza del contatto corporeo, di cui era impregnata la nostra formazione.

Il giorno dopo in supervisione da Leonardi gli avevo detto quanto mi avesse colpito questa signora di cui non sapevo niente e mi aveva risposto con simpatia: “Ah è molto brava la Badoni!”. La sua approvazione mi aveva confortata, sia per me, perché delineava un potenziale spazio accogliente per un pensare non convenzionale, sia per lei che non era sola. La regina dei balordi, come – scrive oggi – la chiamavano da piccola in famiglia, aveva un bel fegato, ma aveva anche chi l’appoggiava dentro l’establishment, che in quel caso era, per me, rappresentato anche una persona affettivamente importante!

Quella che corre nel libro che raccoglie gli scritti di Marta è proprio questa tensione verso l’insaturo, il non convenzionale, nel pieno rispetto della cornice, perché è dentro il quadro della psicoanalisi che cerca gli ospiti inattesi, i significati imprevisti, gli scarti, le differenziazioni che uniscono, semmai trovando nuovi colori nel sovrapporsi delle velature che provengono dalle sue diverse esperienze, ma senza mai sconfinare.

Mantenere i confini – scrive (140) – per garantire il massimo di libertà al lavoro dell’inconscio e del preconscio, garantire la possibilità che in seduta irrompano altri spazi e altri tempi, spazi infiniti in uno spazio definito, perché questo paradosso e le aperture che ne conseguono sia inseparabile da una indispensabile ricerca della verità (71).

E questo richiede all’analista il lutto da eventuali pretese onnipotenti, una costante messa in discussione di sue estremistiche malattie infantili per evitare che naufrago e soccorritore scompaiano insieme nei flutti dell’inconscio (141).

Marta dedica molti pensieri al lutto che sempre vede in connessione con la vita e la complessa vitalità dei passaggi evolutivi. Il lavoro del lutto infatti è inevitabile, e non ci sono scorciatoie, per creare oggetti e legami interni, per portare un soggetto alla vita. “Unica forse tra le scienze la psicoanalisi si è trovata a esprimere con termini evocatori di morte i fenomeni più importanti del vivere… Spesso si è criticata questa terminologia ma a pensarci bene essa è estremamente fedele all’idea che vivere è tale solo se si riesce ad attraversare l’assenza o quantomeno a non fare dell’assenza una minaccia insopportabile e schiacciante ma uno spazio che interroga” (146).

E ancora: “Il lavoro del lutto è quello che accompagna la nascita e che confronta i genitori allo scarto inevitabile tra bambino immaginato e bambino reale: è lavoro del lutto

l’inserimento al nido, alla scuola materna… è lavoro del lutto quello che si presenta di fronte al figlio adolescente in quanto esso mette al vivo più degli altri momenti citati, insieme al tifo per il successo dei figli il problema del succedersi delle generazioni e quindi del tempo e della morte”

Vita, trasformazioni, perdite, lutto e poi da lì ancora vita, una circolarità che Marta ci rappresenta come “semplice” evidenza, quotidiana esperienza. Mi piace pensare che questa naturalezza abbia radici nella sapienza preconscia nata, come ci racconta, dal suo essere ultimogenita e figlia di secondo letto, e nel suo precoce cercare e trovare sé stessa nel nascondiglio del giardino della grande casa di famiglia, dove certo più evidenti erano i passaggi delle stagioni.

E Marta, psicoanalista infantile, afferma con orgoglio quanto l’analisi dei bambini renda più consapevoli del lavoro del lutto che – scrive in “Bambini e processo psicoanalitico” – “accompagna ogni vita e ogni analisi, ma che è estremamente presente nell’analisi dei bambini. Lutto per una diversa prossimità familiare, per un funzionamento corporeo che cambia a vista d’occhio, dai denti perduti alla metamorfosi dell’adolescenza. Lavoro di lutto per l’analista che si trova spesso a fare quello che può rispetto a quello che il suo desiderio di capire vorrebbe, a iniziare dal numero delle sedute”

Da qui nasce quella che oggi, ma non è sempre stato cosi, consideriamo una “naturale” conseguenza clinica, cioè considerare i genitori parte del processo terapeutico del bambino, in modi che variano in ragione della domanda e dei tempi diversi della genitorialità.

Questo – scrive – è tanto più importante “quando la sofferenza dei figli altro non è che sofferenza per procura, destinata a proteggere i genitori da conflitti irrisolti”, da lutti non elaborati.

Nello struggente capitolo dedicato alla piccola paziente Anna e al lavorare in presenza di un mandato transgenerazionale, Marta scrive: “la difficoltà di pensare del bambino è legata sia a una impossibilità da parte dei genitori di pensare il proprio figlio come un essere altro da sé, sia alla preoccupazione da parte del bambino di avere un pensiero proprio in quanto questo potrebbe, traducendo la propria irripetibile esperienza, tradire i genitori sconfessare l’idioma materno stabilire una distanza inquietante con i genitori, distanza tanto più temibile in quanto non sorretta da una capacità di rappresentazione adeguata”.

Ho scelto questa frase di questo testo così ricco e toccante, perché contiene un’espressione che ricorre nel percorso concettuale di Marta: il tradimento, che rimanda a un altro tema a lei molto caro, quello della clandestinità.

Ma vorrei prima sottolineate come nel parlare della sofferenza infantile abbia sempre presente la sofferenza dei genitori e la funzione dell’analisi anche per loro.

L’analista, che permettendo una separazione consente di realizzare una prima separatezza, esercita una funzione superegoica che, della composita corte del super-Io, come la chiama Di Chiara, esprime “le istanze di regolazione assistenza guida e narrazione”.

Cito Di Chiara: “Il riconoscimento del Sé avviene perché un altro incontrato si insedia nell’Io generando un nucleo super egoico capace di predicarne il nome, riconoscerne l’identità, assegnargli un’autonomia”.

Questo, che anche per Marta è il lavoro dell’analisi, mette in luce il suo personale esercizio di una funzione superegoica, che si ritrova ad esempio nel suo sguardo sui genitori, in cui non c’è alcuna attribuzione di colpa, semmai una profonda pietas.

La stessa pietas orgogliosa che esprime nei confronti di “altri” genitori, dalle “pioniere” della psicoanalisi infantile di cui ci racconta, accomunate da un destino tragico, come se il loro sguardo avesse troppo osato, alle pionieristiche ambizioni dei primi analisti di poter – scrive – “rivelare la verità dell’inconscio piuttosto che soffrire le incertezze di un rapporto”.

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Come dicevo, leggere gli scritti di Marta nella “confezione” di questo libro, nato grazie anche alle pressioni affettuose di Stefania Nicasi e Alessia Fusilli De Camillis, che ci offre il suo percorso di pensiero e di vita, chiede una partecipazione intima e per me questa strofa della poesia di Montale “Non chiederci la parola”, bene rappresenta il virtuoso paradosso di scegliere la straordinaria bellezza della parola, per confutarne l’uso definitorio, strapotente e supponente.

E di virtuosi paradossi nell’uso della parola Marta è maestra.

Dalla clandestinità, di cui parla inizialmente in riferimento al disagio per la collocazione semi-autorizzata della psicoanalisi infantile nell’ufficialità dell’istituzione psicoanalitica, per arrivare al suo elogio, quando la intende come capacità di sostenere la propria separatezza e il proprio diritto ad esistere, come modalità di reagire all’impatto con l’alterità a salvaguardia del rapporto tra soggetti.

L’adulto soccorritore – scrive – non è quello che viola la clandestinità, ma quello che, oltre a decifrarne i messaggi, saprà rispettare tempi e modi per renderli espliciti.

Clandestino è dunque chi difende il suo diritto a comparire come soggetto autonomo, chi difende la propria libertà soggettiva.

Mi sembra che questa citazione metta in luce, oltre alla forza concettuale con cui Marta sostiene in tutto il suo lavoro, l’importanza dell’insaturo, sia nella dimensione evolutiva sia all’interno del lavoro clinico, metta in luce, dicevo, la sua personale tempra di combattente per la libertà.

Lo stesso vale per il tradimento, di cui sottolinea il buon uso, ancora una volta partendo dalla vitalità corporea delle parole che ci consegna l’etimologia: tradere, che rimanda al consegnare, ma anche al tramandare. Il potere innovativo del tradimento – scrive – sta proprio nel margine stretto tra il consegnare e il tramandare. “La tradizione – scrive – è una acrobazia creativa che continuamente trasforma e rinnova ciò che proviene da allora, con ciò che è realizzabile qua ora”. Il tradimento è quello stato di tensione che vigila sulla capacità della tradizione di mantenere il senso di una continuità capace di rinnovarsi e di non sclerotizzarsi in rituali conformistici.

In antitesi con la corruzione, il tradimento spezza le catene per avviare un percorso di trasformazione e di rinnovamento: è rottura con un patto che immobilizza. promessa di libertà.

E ancora questa concettualizzazione attraversa la descrizione dello sviluppo nella relazione tra genitori e figli sia le sue riflessioni sulla relazione tra psicoanalista e paziente.

La sua esperienza di lavoro con i genitori la mette in guardia rispetto all’idea che lo psicoterapeuta possa porsi a sua volta in una posizione definitoria, di soggetto supposto sapere, perché la soggettività del paziente sta nello scarto con lo psicoterapeuta, così come quella del bambino sta nell’essere riconosciuto ma anche sostenuto, soccorso, nella sua capacità di differenziarsi.

Così come per l’ambiguità, di cui valorizza la funzione di mantenere un’instabilità creativa, che consente di divagare tra interno e esterno. L’ambiguità interroga, ma trae ricchezza da un interrogare sospeso, non si chiude su una risposta data e su una certezza. “Nel mondo delle emozioni – scrive – l’ambiguità non ha un valore positivo o negativo, avverte, crea connessioni ma non avvolge… E’ qui in gioco il lavoro che l’Io svolge in quanto realtà corporea…”.

E delle parole stesse ci offre una sorta di corporeità, ricordandone le trasformazioni che si evidenziano nell’etimologia, con un senso che va aldilà delle intenzioni, come se avessero un proprio corpo scritto nella loro storia etimologica. Il termine accorgersi, per esempio, ha anche in sé il correggere: “quindi è per sua natura – scrive – oscillante, dubbioso, a volte in allarme come il dantesco nocchiero in gran tempesta” (190).

Parola, corpo, storia. E virgole.

Nel suo scritto “Un corpo, una storia. Funzione dell’adulto soccorrevole: l’importanza di una virgola”, a mio parere trovano magistralmente incontro i vari affluenti di cui è composta la sua dialettica di pensiero.

La corporeità – afferma – è il nostro primo strumento di comunicazione, sia quando parliamo che quando ascoltiamo. Ma il corpo entra subito in una storia e subito è soggetto di narrazione. Come scrive Di Chiara l’incontro che avviene tra la madre e il bambino ancora prima della parola fonda il senso di identità il senso della cura e la poesia

“Ma la virgola tra corpo e storia rende esplicita una duplice discontinuità tra soggetto/corpo e soggetto/altro e tra soggetto e quell’habitat fisico psichico somatico che lo avvolge… La virgola è il transito tra corpo e storia da cui si origina il sentimento della nostra esistenza”.

Ancora una volta Marta dà centralità alla costruzione soggettiva che si realizza attraverso separazioni che non sono opposizioni, ma indispensabili tragitti verso l’integrazione tra tradizione, il luogo da cui proveniamo, e libertà di essere ciò che siamo.

La virgola ne diventa l’immagine in qualche modo poetica,

E’ il più piccolo segno di interpunzione: “È il più breve segno di pausa e corrisponde nella lettura a un minutissimo intervallo della voce …”

Consente di prendere fiato, di alzare gli occhi dallo scritto per quel minutissimo intervallo che permette di ricollocarsi nel proprio luogo e tempo, di rientrare in sé.

La virgola, una sorta di Pollicino che aiuta a non smarrire la strada del senso, consente di orientarsi nel fluire delle parole, di scandirne il ritmo, di connetterle rispettandone la separatezza.

E se non ricordo male, Pollicino che ha ritrovato, e fatto ritrovare, la strada di casa ai suoi fratelli, salvando così sè stesso, loro e i loro genitori, era proprio l’ultimo di undici.

Bibliografia

Candiani L. C. (2021) Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano. Einaudi, Torino

Di Chiara G. (2022) Il dono dell’altro. Origine, funzioni e destino del narratore psicoanalitico. Psiche, Distanza, 1: 197-216.

Montale E. Ossi di seppia. Non chiederci la parola. In: Tutte le poesie, pag. 29 Mondadori, Milano (2008)

Letto al CENTRO MILANESE DI PSICOANALISI  CESARE MUSATTI 9 Marzo 2023

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