Come sopravvivere da psicoterapeuta
Nina Coltart
(Mimesis ed.)
Recensione di Davide D’Alessandro
È riuscita a sopravvivere da psicoterapeuta, Nina Coltart, ma non poteva farcela a sopravvivere alla vita, né ha voluto. Infatti, se l’è tolta il 24 giugno 1997, come ricorda Vittorio Lingiardi, “perché una grave malattia gliela avrebbe comunque presto tolta. Soprattutto era pronta: il momento in cui doveva ‘pensare a morire, se possibile, con grazia’ era giunto”.
Coltart è stata psicoanalista di valore, tanto che lo stesso Lingiardi l’accosta a Winnicott, Bion e Bollas, e in “Come sopravvivere da psicoterapeuta”, ora riproposto da Mimesis, dimostra che si possono scrivere libri importanti con leggerezza, senza appesantire la mente di chi legge, anzi stimolandolo a saperne di più su una disciplina che in molti continuano a ritenere bizzarra e complicata.
Che cosa sanno i pazienti del training, dell’avvio dello studio, del lavoro clinico, delle consultazioni, delle valutazioni? Scrive Coltart: “Giorno dopo giorno, per tutta la durata della sua vita professionale, uno psicoterapeuta che lavora in uno studio privato sta seduto immobile sulla stessa poltroncina, nella stessa stanza, e vede un numero piuttosto limitato di pazienti che sono sempre gli stessi. Che noia e che squallore può produrre questa disciplina così ripetitiva! Cosa ci salva dalla noia? Gli infiniti cambiamenti connessi ai dettagli di ogni carattere, il materiale da analizzare che, ora dopo ora, si presenta nello spazio terapeutico dello studio e richiede infiniti cambiamenti nel nostro coinvolgimento, nel nostro pensiero, nelle parole, nelle decisioni: le possibilità stesse, sottilmente diverse, sono veramente infinite”.
Il paziente e l’analista. L’incontro. La relazione. E la stretta di mano finale. Il momento dei saluti, magari dopo anni di frequentazione a una o più sedute la settimana. È forse il passaggio del libro più delicato, contenuto all’interno del capitolo “Sopravvivere piacevolmente”. Spiega Coltart: “Molto è stato scritto sull’estinzione del rapporto, ma nulla è superiore al magnifico e severo saggio di Freud del 1937 Analisi terminabile e interminabile. Non intendo esaminare la letteratura in questa sede, ma un particolare va citato nel presente contesto perché, piuttosto stranamente, di rado vi si fa riferimento. Mi chiedo infatti se non fingiamo collettivamente di ignorare lo straordinario paradosso della natura estremamente artificiale di tale rapporto chiave come è quello psicoterapeutico, che può progredire e ‘funzionare’ solo se entrambi i membri, partendo dalle loro posizioni diverse, vi partecipano in modo autentico. Tutte le emozioni sperimentate nella terapia analitica sono reali; l’estensione dei limiti psichici di ognuno attraverso l’analisi e l’introspezione sono reali; l’intensità e il potere (illusorio del transfert sono reali. Eppure il rapporto – per quanto unico – dev’essere concluso in un modo singolarmente arbitrario. (…) Sono fermamente convinta che l’interruzione debba essere il più possibile netta perché il paziente possa acquistare la sua libertà rispetto a me”.
È un libro che si avvale di casi clinici, di esperienze cliniche, di scambi tra analista e paziente portati a supporto dell’idea di un lavoro raffinato e complesso che deve fare i conti con la soggettività di entrambi e del terzo che si rivela durante il rapporto, un terzo che non è la somma dei due. È altro. Di questo altro e su questo altro occorre continuare a interrogarsi, a ricercare, poiché la cura o, meglio, il processo di sviluppo psichico passa attraverso questa nuova dimensione. Tutta da vivere e tutta da esplorare.
Nina Coltart conobbe la morte molto presto. A dodici anni, in Cornovaglia, era in stazione ad aspettare l’arrivo dei genitori, genitori che, a causa di un tragico incidente ferroviario, non arrivarono mai. Da quel trauma è iniziata una nuova vita, un’altra vita. La ferita è diventata feritoia, possibilità di guardare a sé stessa e agli altri, possibilità di fare qualcosa per sé stessa e per gli altri. Ci è riuscita ampiamente fino al 24 giugno 1997. Quel giorno decise di porre fine alla sua esistenza, che stava comunque per finire, dopo averla affrontata con impegno e decisione. Ricorse al taglio netto, come in analisi, in modo da testimoniare ancora una volta la sua piena libertà.