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“Celestino Genovese. Al di qua o al di sotto del sessuale?” a cura di R. Galiani e D. Mervoglino. Recensione di M. Ligozzi

30/12/24
"Al di qua o al di sotto del sessuale?" di C. Genovese. Recensione di R. Galiani e D. Mervoglino

Parole chiave: Psicoanalisi, Freud, Winnicott, Gaddini, Genovese, Sessualità

Celestino Genovese

Al di qua o al di sotto del sessuale?

Antologia di scritti

A cura di Riccardo Galiani e Darwin Mervoglino

(Alpes ed., 2024)

Recensione a cura di Maddalena Ligozzi

 “Al di qua o al di là del sessuale?” è un testo complesso nel quale mi sono addentrata sentendo la familiarità di un’appartenenza antica, che se da un lato può rendere più semplice il lavoro di recensione, dall’altro mi impone di arginare l’idealizzazione di quello che è stato il mio primo incontro con la psicoanalisi.

Condivido molto il desiderio dei curatori Riccardo Galiani e Darwin Mervoglino, ovvero quello di ricordare un pensiero psicoanalitico appassionato e originale.

 “Mantenere la consapevolezza del carattere finzionale dei modelli esplicativi della teoria psicoanalitica è una condizione fondamentale perché la dialettica scientifica conservi il suo carattere creativo. Altrimenti il rischio è oscillare tra un’esegesi del testo freudiano e l’idea di inseguire una verificabilità degli assunti teorici in altri ambiti disciplinari. La ricerca psicoanalitica costituisce più di altre un esempio di fenomeno transizionale” (pag. 73).

Credo che in queste parole, più che mai profetiche ed attuali, sia condensata tutta la poetica psicoanalitica di Celestino Genovese, che attraverso un dialogo costante e rigoroso con Freud, Gaddini e Winnicott, riesce a integrare creativamente i loro contributi e nel contempo ne rintraccia i limiti. Lo sguardo metapsicologico resta la direttrice principale del suo discorso, insieme all’idea di tenere in tensione i paradossi, winnicottianamente intesi.

Nel mettere a confronto alcuni costrutti di questi autori (ad esempio il Falso sé di Winnicott e l’Imitazione di Gaddini) tradizionalmente associati, Genovese invita a fare attenzione a distinguere la descrizione dalla spiegazione di un fenomeno, che include la dimensione economica e strutturale. Esplicito è il suo riferimento ad autori come Laplanche e Bergeret che non si sarebbero occupati molto di tale spiegazione.

Il titolo del testo ha origine da un’espressione di C. Chabert, che aveva parlato di un ‘al di sotto del sessuale’ mettendo a confronto la teoria freudiana fondata sugli effetti dell’incontro con il sessuale e quella di Winnicott che sostiene un al di qua o al di sotto del sessuale negli scambi tra il bambino e l’ambiente. Genovese riprende questo discorso per differenziarsi da Chabert, che a questi contributi winnicottiani attribuisce un movimento di desessualizzazione della teoria psicoanalitica.

Per Genovese qui non è in discussione la centralità della pulsione sessuale nella teoria psicoanalitica; l’inadeguatezza di concetti metapsicologici di pulsione, rappresentazione e rimozione riguarda solo l’attività psichica agli esordi della vita. Allorché il processo di soggettivazione sarà compiuto, non si può prescindere dai capisaldi della teoria freudiana.

La teoria winnicottiana ci aiuta a formulare nuove ipotesi perché, senza contrapporsi alla teoria pulsionale, affronta da una prospettiva diversa lo sviluppo affettivo e la sua genesi. Essa indaga le dinamiche evolutive che consentono di fondare il sessuale come rappresentante psichico del somatico. Il concetto winnicottiano di processo maturativo non concerne solo l’integrazione dell’Io, ma anche la creazione dell’oggetto e il suo investimento sessuale, un punto di vista coerente con quello freudiano.

Darwin Mervoglino e Riccardo Galiani hanno il merito di aver scelto alcuni lavori rappresentativi di tematiche “genovesiane” cruciali nella cui complessità proverò ad addentrarmi.  

  • L’intreccio tra il punto di vista economico intrapsichico e la relazione oggettuale interpsichica

Diversamente dalla Klein, il contributo di Winnicott, è aver ipotizzato una fase primordiale in cui l’oggetto non si presenta precocemente come esterno, ma favorisce l’esperienza onnipotente, non oggettuale, di creazione magica di sé. In questo cambiamento di prospettiva di ricerca, si passa dall’idea di ricostruire la relazione con l’oggetto all’approfondimento del processo maturativo che costruisce l’unità del soggetto, che è premessa della fondazione dell’oggettualità. Pertanto sul piano metapsicologico non ci sarebbe Es, l’avvento pulsionale, senza Io. Per Genovese si tratta di uno sconvolgimento della metapsicologia freudiana.

Su questo versante Gaddini sostiene che le manovre protettive (termine usato da Tustin e ripreso da Gaddini) del bambino sono il risultato dell’apprendimento mentale del funzionamento fisiologico. Il bambino non percepisce l’oggetto in quanto oggetto esterno, ma le modifiche avvenute nel proprio corpo. Il ristabilimento di una modalità allucinatoria e onnipotente di funzionare, l’imitare per essere, in assenza dell’oggetto, ha una funzione anti-relazionale.

Genovese spiega questo discorso gaddiniano partendo da Freud e passando attraverso il concetto di fantasia inconscia.  

Egli riprende l’espressione Io-realtà primordiale che Freud utilizza in Pulsioni e loro destini (1915) per descrivere una condizione vicina allo psico-biologico che precede la dinamica pulsionale (io-piacere) e considera l’apparato sensoriale e l’attività muscolare. Un’ipotesi che non ha trovato un’adeguata collocazione metapsicologica.

Per Genovese questo concetto spurio può ritrovare efficacia clinica se ripreso per comprendere il protomentale e i processi psichici vicini al biologico. Qui la presentazione di cosa essa stessa garanzia della realtà della cosa (Freud, 1925)[1].

Egli riprende il discorso di S. Isaacs (1948) per sostenere l’idea che la sensorialità primitiva è un ingrediente fondamentale per l’attività fantasmatica, laddove la prima allucinazione è legata alla sensazione.

Esplorando le relazioni tra fantasia inconscia e pulsione, cercando di trovare una contiguità con il discorso freudiano, Genovese sostiene che la pulsione (Trieb) sembra essere più vicina al concetto freudiano di rappresentante ideativo: il fantasma sarebbe una sorta di contenuto proto-rappresentazionale della spinta pulsionale.

Attraverso un excursus negli studi psicoanalitici successivi, Genovese arriva a definire la fantasia inconscia come “un atto creativo della mente, non soggetto all’esame di realtà, nel senso che la sua relazione con la realtà oggettiva, per quanto indispensabile non implica la condivisione. Sul piano economico essa sarebbe uno dei fattori organizzatori e di regolazione dell’eccitamento. In questa fase l’eccitamento è costituito dalla tensione prodotta attraverso il corpo dalle presentazioni di cosa, provenienti sia dal funzionamento fisiologico, sia dalla realtà esterna. Pertanto la fantasia, come primitiva organizzazione e regolazione dell’eccitamento, è necessariamente inconscia” (p. 41).

Da un punto di vista metapsicologico la fantasia primitiva è un processo differente dalla soddisfazione allucinatoria del desiderio che appoggia su un contenuto rappresentazionale e dimensioni spazio-temporali.

La fantasia, come atto creativo della mente, non rappresenta l’oggetto assente, né muove dalla spinta del desiderio, ma impatta la frustrazione disgregante che equivale alla perdita di sé. Il soddisfacimento allucinatorio è quindi la riattivazione imitativa del funzionamento fisiologico come difesa estrema per continuare ad essere (il succhiarsi le labbra del bambino).

Secondo questo modello le presentazioni di cosa si configurano come alterazioni sensoriali che prescindono dal riconoscere la realtà come altro da sé. La rappresentazione come correlazione tra presentazione di cosa e di parola è successiva ed è un’organizzazione strutturale della mente, dove, all’interno di quella che Gaddini definisce area psico-orale, è possibile parlare di introiezioni e si comincia a delineare il confine interno-esterno.

La maturazione dalla fantasia-realtà alla distinzione tra fantasia e realtà secondo un processo secondario è del tutto virtuale perché la percezione della realtà è sempre influenzata dalla fantasia inconscia e non ci può essere attività fantasmatica senza impatto con la realtà. In queste aree di embricazione della mente, parti delle funzioni dell’Io possono essere tacitamente asservite all’economia di base del sé.

  • La costruzione di una teoria psicoanalitica dell’angoscia

Nei lavori di Genovese i riferimenti all’angoscia sono spesso intrecciati al tentativo di spiegare i processi psicotici.

Nel lavoro sulla relazione tra la psicosi con delirio erotomanico e la compulsione amorosa (2006), Genovese associa questi disturbi considerandoli entrambi difese dall’angoscia e dalla sofferenza psichica. Egli parte dal lavoro di Freud su Schreber (1911) nel quale viene descritta la dinamica del meccanismo di proiezione: Schreber ritira l’investimento libidico dal mondo. La fine del mondo percepita è la proiezione di una catastrofe interna. La libido liberata si è legata all’Io in funzione del suo ingrandimento.

Tuttavia Freud riteneva che i meccanismi di fissazione e regressione non fossero sufficienti a spiegare i processi psicotici. Genovese prova a spiegare la condizione di Schreber secondo una prospettiva winnicottiana.

Le prime radici della psicosi affondano in una fase primordiale dello sviluppo psichico dove la catastrofe connessa alla perdita di continuità di sé non può essere interna perché non esiste una distinzione tra interno ed esterno. La fine del mondo, vissuta da Schreber, non può essere una proiezione del crollo dell’organizzazione psichica, perché l’una e l’altra sono la stessa cosa. La catastrofe non dipende dal distacco della libido dal mondo esterno, ma dal distacco del bambino, che, la madre, ovvero il Sé, mondo del bambino, realizza (Genovese 2006).

Egli postula un’area di funzionamento protomentale in cui avviene l’incubazione dell’integrazione dell’Io. Il processo di costruzione della soggettività è una condizione necessaria che precede sia l’investimento dell’oggetto, sia l’investimento narcisistico. Se assumiamo l’inscindibilità oggetto-pulsione, ne consegue una dimensione pre-oggetto, pre-pulsione e pre-soggetto. Il narcisismo freudiano allora sarebbe primario, non in quanto originario, ma solo se confrontato con il narcisismo secondario.

In questa fase l’unica istituzione è l’accoppiamento madre/pulsione e bambino/oggetto. La sessualizzazione dell’individuo partecipa attivamente al processo più generale della sua soggettivazione.

Forse la catastrofe interna in una crisi psicotica potrebbe essere la ripetizione di una catastrofe già avvenuta (Winnicott, 1963), che continua a incombere.

Secondo Genovese, nella paura del crollo (ibidem), Winnicott si riferisce ad un inconscio dove ci sono modalità difensive psicotiche contro l’angoscia di perdita di sé, non contro l’angoscia di castrazione. L’Io è troppo immaturo per raccogliere insieme i fenomeni dell’area dell’onnipotenza personale. Forse egli qui prende spunto dal concetto freudiano di un inconscio non rimosso e dal discorso di una rimozione originaria che non è propriamente detta.  

In tal senso il contributo di Gaddini è cruciale perché aiuta a collegare il funzionamento strutturale con le esperienze primitive.

Per lui la psicosi ha origine prima che l’Io si strutturi. Tutta la psicopatologia che troviamo strutturata nell’Io in seguito è il risultato della capacità dell’Io di fronteggiare la minaccia che incombeva sin dall’origine. L’angoscia di perdita di sé corrisponde all’angoscia nell’Io della sua destrutturazione. Il costo di tale salvaguardia è inversamente proporzionale alla stabilità della struttura. Il Super Io può essere un ostacolo al trattamento per le sue richieste intransigenti, se abbiamo a che fare con una struttura sufficientemente nevrotica, ma in alcuni casi è un baluardo insostituibile che consente all’Io, apparentemente integrato, di reggere, una funzione protettiva vitale dunque.

Questa prospettiva consente di individuare le radici delle alterazioni dell’Io, nelle carenze di formazione del sé. Quando le cure materne sono compromesse, l’Io rinuncia a strutturarsi nei suoi compiti specifici e si piega alle richieste del Sé danneggiato.   Il pulsionale è un continuo attentato all’integrità del sé. In questi casi si costituisce un’Organizzazione mentale di base (OMB) che alimenta il sé danneggiato e mira a ristabilire al suo interno un funzionamento magico e onnipotente che avrebbe dovuto essere garantito dalle funzioni materne.

Le resistenze al cambiamento non sono trattabili alla stregua di difese dell’Io perché hanno una funzione di barriera protettiva che garantisce la sopravvivenza.

Alla luce di questa lettura, Genovese coglie nell’articolazione della sofferenza psichica due dimensioni, quella drammatica e quella catastrofica. La dimensione drammatica si appoggia ai capisaldi della teoria freudiana e riguarda il tessuto fantasmatico inconscio, caratterizzato da una trama complessa e generatrice di conflitti e soluzioni sintomatiche di compromesso. La dimensione catastrofica attiene a un funzionamento arcaico, è la brusca rottura di equilibrio che rischia di portare al collasso l’organizzazione psichica nel suo insieme. 

L’esperienza clinica mostra che nelle narrazioni tragiche ci può essere una dimensione primitiva e quindi difensiva rispetto alla minaccia di cadere nel vuoto. A posteriori possono essere reperite trame narrative che svolgono la funzione di legare un’angoscia senza nome e dare un senso vicario ad un’angoscia irrappresentabile. Diversamente dai ricordi di copertura, ovvero memorie che sostituiscono altre rimosse, qui la narrazione deve coprire un vuoto rappresentazionale. Queste costruzioni ad hoc sono definite da Genovese protesi di significato. Tuttavia l’affetto non viene veramente modulato e definito, ma solo stemperato ai fini della sopravvivenza del Sé. 

Si tratta di un processo molto diverso da quello freudiano della posteriorità, dove un ricordo rimosso può essere risignificato a posteriori e acquisire il valore di un trauma. Qui si tratta di una coazione a reperire un significato per neutralizzare il portato traumatico del non-senso, che resta tuttavia tale.

Una funzione simile è svolta dalle forme autoprodotte della Tustin, che per Genovese sarebbero al confine tra fantasie nel corpo e sul corpo (Gaddini, 1981). Si tratta di sensazioni tattili organizzate dal bambino, non condivisibili, al fine di lenire l’angoscia della separatezza dalla madre. A volte in analisi possono sembrare forme di isolamento difensivo, ma in realtà potrebbero riguardare forme di regressione a livelli arcaici di funzionamento. Bisogna fare attenzione quindi a non utilizzare interpretazioni prematuramente. Si tratta di pazienti molto delicati dove il lavoro analitico implica sofferenza sia per l’analista che per il paziente. Per l’analista è più importante capire perché il paziente è entrato in quello stato di isolamento, piuttosto che sollecitarne l’uscita.

  • La dualità pulsionale che articola sessualità e distruttività.

Anche rispetto a questa questione Genovese dialoga fruttuosamente con Freud, Winnicott e Gaddini.

Freud non è interessato a postulare una fase evolutiva primordiale dove non c’è bisogno della pulsione. Gaddini e Winnicott sì.

Per Genovese la relazione oggettiva con la madre diviene parte integrante del sistema economico protomentale e come diceva Winnicott non possiamo pensare a un infante senza la madre.

Riporto uno stralcio del suo discorso: “All’inizio la funzione della madre-ambiente, non implica contenere e manipolare, ma anche presentare l’oggetto. Quindi favorisce l’esperienza magica di creazione di sé, la madre presenta il seno contestualmente al bisogno oggettivo, quindi in funzione del sollievo. Gradualmente attraverso la ripetizione ritmica dell’esperienza e la sedimentazione della memoria, che costituiscono le basi delle condizioni di rappresentabilità il bisogno si trasforma nel suo rappresentante psichico, il desiderio-spinta pulsione, presentare l’oggetto si può intendere come fare le presentazioni. La madre veicola un’anticipazione di senso che costruisce un ponte tra fonte corporea di eccitamento e presenza/assenza dell’oggetto, insieme alla preoccupazione per la sua irriducibilità. A questo punto possiamo parlare contemporaneamente di piacere e angoscia di integrazione. La relazione oggettiva fonda sempre la relazione oggettuale, ma ciò che caratterizza questa rispetto a quella è proprio la pulsione che conclama la distanza dall’oggetto e costruisce nel contempo il ponte per raggiungerlo e sancisce l’irreversibile e dolorosa separatezza dall’oggetto” (pag 59).

Per Celestino Genovese il parallelismo corpo-mente non è un ritorno al dualismo cartesiano, ma si riferisce all’intuizione di Gaddini che il funzionamento fisiologico fin dall’inizio attivo e automaticamente efficiente, viene mentalmente appreso, per poi essere creativamente riprodotto, come nelle condizioni di mericismo, diventando un modello di funzionamento psichico, coerentemente con la teoria freudiana dell’appoggio.

La specializzazione degli organi dal punto di vista fisiologico non può corrispondere automaticamente al senso sul piano psichico: in altre parole gli organi di senso, come la bocca, si possono utilizzare con una funzione imitativa e di contatto per sentire un senso di continuità di sé, così come gli occhi si possono utilizzare con una funzione incorporativa, collegata all’oralità.

Anche nella stanza di analisi questi livelli sono attivi e coesistenti, spesso in forma silente e procedono insieme al lavoro interpretativo fornendo un senso di consolidamento della fiducia e della continuità del sé.

Attraverso il discorso economico Gaddini tenta di mantenere la continuità con la teoria freudiana: come abbiamo visto da un punto di vista teorico distinguere un funzionamento imitativo da uno pulsionale ci porta all’evidenza clinica della non primarietà della pulsione. Winnicott non si è occupato di creare un collegamento tra funzionamento primitivo e struttura della mente. La traduzione “infelice” di Trieb in istinto, ha reso confusa la distinzione concettuale dei due termini di istinto e pulsione.

Gaddini precisa che l’istinto ha a che fare con il Sé e può prescindere da un oggetto esterno riconosciuto come tale, è onnidirezionale. La pulsione è dell’Io, presuppone una struttura iniziale, il riconoscimento di un oggetto come tale. Ha una direzione e avvia alla processualità.

Va distinta, quindi, la natura qualitativa delle due energie: quella aggressiva è presente ed operante dall’origine ed è diretta verso il mondo esterno. L’attività sensoriale è legata al funzionamento interno del Sé ed è di natura libidica con scopi economici, mentre l’area istintuale è legata allo sviluppo di un’area periferica del Sé a contatto con il mondo esterno.

Gaddini ci ricorda che mentre l’azione rivolta all’esterno è funzionale all’equilibrio omeostatico, l’affetto produce un’alterazione di tale equilibrio. Alla nascita l’Io non è ancora sviluppato e l’apparato motorio non è in condizione di produrre una scarica direzionata verso uno scopo.

La soluzione è il comportamento innato: la suzione è un comportamento organizzato finalizzato al nutrimento e rappresenta il primo modello di azione coordinata. Sollievo e piacere qui non sono sovrapponibili: il piacere può essere dato da accumulo di energia, il sollievo è sempre una scarica della tensione verso l’esterno.  I fenomeni concernenti il piacere e quelli concernenti il dispiacere riguardano quindi basi energetiche di natura differente.

L’istinto regolerebbe automaticamente l’alterazione omeostatica già nell’area psico-sensoriale. Nell’area psico-orale, allorché la fondazione del soggetto e il riconoscimento dell’alterità si va costruendo, ovvero nella fase della dipendenza relativa di Winnicott, la pulsione assolve alla stessa funzione di regolazione omeostatica attraverso l’investimento dell’oggetto e il desiderio di esso. A questo punto quello che era un funzionamento istintivo, caratterizzato dalla scarica aggressiva biologicamente predeterminata, si trasforma in pulsione libidica di tipo orale.

Questo passo si può collegare alla concezione freudiana di pulsione: un concetto a monte tra somatico e psichico, il rappresentante psichico degli stimoli: una misura delle operazioni richieste alla sfera psichica in virtù del suo collegamento con il corpo (Freud,1915).

La libido sarebbe sempre sessuale, mentre le espressioni aggressive andrebbero esplorate nel loro impasto tra funzionamento istintivo e istanza pulsionale.  Dal momento che le cariche libidiche sono in prevalenza interne, quelle aggressive esterne, da un certo momento in poi sarebbero le cariche aggressive a veicolare la libido verso l’oggetto.

Sul piano clinico l’aggressività, essendo onnidirezionale, si può esprimere come scarica della tensione, senza il riconoscimento di un oggetto in quanto tale, a differenza della libido che investe l’oggetto riconoscendolo. Nel transfert si possono esprimere i due livelli, laddove da un lato ci può essere il portato di ambivalenza nel tentativo di riappropriarsi dell’oggetto amato e odiato, ma in impasto anche aspetti primitivi dell’aggressività.

Lo sviluppo di queste premesse mi pare si possa estendere al discorso di Winnicott sull’odio ripreso da Genovese.

La madre odia il suo bambino prima ancora che il bambino la odi e che si accorga che lei lo odia. Se la madre non può riconoscere di odiare il suo bambino deve ricorrere al masochismo. L’odio è funzionale ad una sana evoluzione della relazione primaria. Allo stesso modo l’odio dell’analista non corrisponde ad un incidente controtransferale, né è un fenomeno di contro-identificazione proiettiva. In tal caso sarebbe una possibilità, invece per Winnicott è parte integrante del processo analitico, come l’odio è parte del processo maturativo (p. 180).

La distruttività come espressione della fantasia inconscia è la condizione per lo sviluppo sano del bambino, se l’ambiente sopravvive e va distinta da una distruttività come elemento scisso, peculiare della psicosi. Allora ci possiamo trovare in presenza dell’amore per l’oggetto distrutto in fantasia, ma sopravvissuto o di un amore basato su una relazione narcisistica, dove la distruttività può essere agita rovinosamente.  

Medea uccide i figli per amore ovvero per salvarli dal diventare alterità nei suoi confronti.

  • Situazione analitica e realtà psichica

I riferimenti di Celestino Genovese alla clinica includono sempre questioni connesse alla teoria e alla teoria della tecnica, anche qui in un dialogo incessante che rende il discorso ricco e articolato.

L’intreccio tra la situazione analitica e la realtà psichica del paziente che incontra quella dell’analista è considerata quindi nella sua complessità.

La sua attenzione alle fasi precoci dello sviluppo psichico esigeva una revisione dei criteri di analizzabilità all’interno della situazione analitica. Genovese abbraccia l’idea winnicottiana che ci siano due agenti trasformativi del trattamento: la funzione interpretativa dell’analista, che ha una preponderanza in corrispondenza di un Io integro, cede il posto alla sua funzione madre-ambiente e al setting laddove ci troviamo in presenza di livelli primitivi di funzionamento. Riprendendo Bleger, sottolinea che il setting normalmente è garante del “non processo”. Se varia, diviene processo, ovvero figura, dal momento che su di esso il paziente ha proiettato la propria primitiva relazione simbiotica. Come abbiamo visto ci può essere una traslazione psicotica scissa connessa a livelli di funzionamento della mente che risalgono al pre-verbale e al pre-rappresentazionale.

Il setting analitico quindi, non rappresenta la relazione con la madre, ma è la relazione reale e attuale, la fusione con la madre.

Qui la ripetizione ritmica nella continuità dell’esperienza può avere una funzione organizzativa che aiuta a consolidare la fiducia di base e l’evoluzione verso la percezione dell’altro non-me.

Genovese si chiede quali criteri interpretativi utilizza l’analista. Egli sostiene che “La funzione dell’interpretazione non consiste tanto nel decodificare, ma nell’esperienza estetica che la stessa rappresentazione rappresenta” (p. 4).

L’immagine pura, però, è irraggiungibile. Anche nel sogno abbiamo a che fare con un’immagine che è il condensato di un complesso lavoro che utilizza residui diurni e rappresentazioni variamente caricate affettivamente. Nella comprensione del sogno quello che conta è la storia della verità del paziente, non la verità storica.

Genovese esplora il concetto di setting attraverso molteplici chiavi di lettura. La sua attività si svolge su due livelli: quello della decodifica dei livelli rappresentazionali che parla all’Io del paziente e a sostenere l’alleanza terapeutica e quello dell’istituzione che tende a osservare le costanti, ovvero lo sfondo sul quale si esprime il mondo protomentale del paziente, attraverso cui può evolvere la continuità dell’esperienza autentica di sé e poi dell’alterità e del significati condivisi.

Inoltre il setting dell’analista se, dal punto di vista del processo secondario, è l’istituzione di un dispositivo finalizzato al trattamento, tuttavia su tale cornice istituita viene anche proiettato l’assetto mentale dell’analista, gli aspetti più profondi della sua personalità.

Concludendo

L’interesse di Genovese per soluzioni difensive ibride attraversa tutta la sua opera in una costante che accosta funzionamenti primitivi ad altri più evoluti, contenuti rappresentativi ad altri primordiali che coesistono in una tensione continua. Nel ripetersi del discorso, l’opera di Genovese riesce a trasformarsi creativamente, legandosi in modo nuovo a qualcosa di già detto. Non è forse questo il suo modo di intendere la ricerca psicoanalitica come un fenomeno transizionale?  La sua opera è un atto creativo, un paradosso vissuto contemporaneamente come un prolungamento di sé e come altro da sé … Freud, Winnicott, Gaddini etc.

Avendo fatto una tesi sui temi dello sviluppo psichico primordiale, ho sentito una certa risonanza emozionale nel leggere la nota biografica di Fausta Ferraro, che ci ricorda che Genovese aveva ripreso appunti della sua tesi di laurea per scrivere una nota storico-critica sulla bisessualità, pubblicata sulla Rivista di Psicoanalisi nel 2004 a dimostrazione della convinzione di Musatti che per tutta la vita si lavora attorno all’argomento della propria tesi di laurea.

Riferimenti bibliografici

Freud, S,(1925), la Negazione, O.S.F., vol. 10, Boringhieri, Torino,1978.

Freud, S, (1915), Pulsioni e loro destini, O.S.F., vol 8, Boringhieri, Torino,1976.

Genovese C, (2006), Eros and psycotic despair. Originariamente in: Psychoanalytic Quarterly,75,4.

Gaddini E., (1981), Fantasie difensive precoci e processo psicoanalitico, in Scritti, Raffaello Cortina, Milano, 1988.

Gori, E.C.,(1988), Costruzioni freudiane: la mente, Armando, Roma.

Isaacs, S, (1948), The nature and function of fantasy, in M. Klein, P. Heinmann, S. Isaacs, J. Riviere, Developments in Psyco-analysis. International Journal of Psycoanalisis, 29:73-97.

Tustin F. (1986), Barriere autistiche nei pazienti nevrotici, Borla, Roma, 1990

Winnicott D. W.,(1963), La paura del crollo, in Esplorazioni Psicoanalitiche, Milano, Cortina,1995.


[1] Genovese riprende la precisazioni di Gori per dire che in una fase primordiale dello sviluppo psichico non è ancora avvenuto il collegamento tra presentazione di cosa e presentazione di parola che è condizione essenziale definitoria della capacità di rappresentazione. Per dirla con Freud questa condizioni possono maturare con la formazione del processo secondario e con il passaggio dall’identità di percezione all’identità di pensiero.

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