Parole chiave: Psicoanalisi; Freud; Abraham
Sigmund Freud Karl Abraham
Lettere 1907-1925
Edizione integrale
Edizione italiana a cura di Mario Bottone, Riccardo Galiani e Francesco Napolitano
(Alpes ed., 2024)
Recensione a cura di Gianni De Renzis
Coraggio Casimiro!
Sono stato fra quelli che hanno fin dall’inizio condiviso con piena adesione, consapevole della sua importanza ma anche della correlata difficoltà, al progetto di dar vita alla Collana Carteggi freudiani, che vede ora, dopo qualche anno di attenta e preziosa “supervisione” editoriale da parte dei Curatori, il suo battesimo attraverso la pubblicazione delle Lettere 1907-1925 fra Freud e Abraham. Dovrei dunque essere fra quelli che, trovatisi finalmente di fronte al primo prodotto di quell’iniziativa attesa da tempo, avrebbero dovuto reagire innanzitutto con un moto di acquietante soddisfazione; proprio perciò mi sembra giusto esplicitare che invece la sola visione della “voluminosità” del volume della “edizione integrale” che si è “piazzato” davanti agli occhi, dopo essere stato spacchettato e “deposto” sul ripiano della scrivania (con l’opportuno concomitante ausilio di entrambe le mani), ha determinato un’iniziale effetto di disorientante sorpresa, quasi di incredulità. So bene che non sarebbe una citazione ineccepibile, ma confesso che mi è venuto da pensare che la mia aspettativa avrebbe “dovuto essere piuttosto preparata a un’espressione di entusiasmo e di esaltazione, ”…e invece mi trovavo a pensare “Dunque tutto questo esiste veramente?!”… che insomma, “vedere una cosa coi propri occhi è del tutto differente dal sentirne parlare”
Dal sentirne parlare, ma non dal “leggere”, perché qui quella cosa che vedevo coi (miei) propri occhi era di fatto proprio quella cosa da leggere che è un libro!
Che è dunque ciò che di conseguenza mi sono disposto a fare. Ma, rispettando questa sorta di cronaca in differita che mi accorgo ora di star proponendo, soltanto dopo aver preso, per così dire, le misure dell’impresa che mi attendeva; mi si perdoni perciò, se chiedendo di pazientare per questa ultima piccola dilazione, nel frattempo “dò (un po’ di) numeri”: si tratta di affrontare un libro di ben 670 pagine complessive, di cui le prime 13, dopo il frontespizio e l’indice generale, sono dedicate alla “Presentazione della collana” e alle “Note introduttive” relative a questo primo carteggio; 590 sono quelle propriamente comprendenti le “Lettere” fra Freud e Abraham, comprensive di un utilissimo apparato di note a piè di pagine (se ho fatto bene il conto, raggiungono il ragguardevole totale di ben 17999!); le lettere sono in tutto 503, numerate consecutivamente, ma distinte con le iniziali F e A (ho trovato un solo refuso: a pagina 360, la lettera siglata 310 F del 19 marzo 1917 risulta con tutta evidenza scritta invece da Abraham), quelle di Abraham superano di circa una cinquantina quelle di Freud; seguono 45 pagine di utili “Notizie bibliografiche” relative ai tanti personaggi nominati nella corrispondenza , non tutti ovviamente sufficientemente noti; e, infine, ben 22 pagine di più che esauriente “Bibliografia generale”.
Tutto ciò “soppesato”, mi sono dunque disposto a affrontare coscienziosamente questa davvero ponderosa impresa editoriale, a sua volta testimonianza della altrettanto ponderosa impresa epistolare in cui si erano confrontati Abraham e Freud nei 18 anni compresi fra il 1907 e 1l 1925, tanto cruciali, da ogni punto di vista (teorico, organizzativo, più genericamente culturale) per l’ancor giovane psicoanalisi.
Si comprenderà, da tutte le cautelative anticipazioni in cui mi sono dilungato, che non avrebbe senso tentare anche soltanto di riassumere qui in modo fruibile le infinite sollecitazioni che mi ha sollecitato l’immersione in questo scambio, in cui le vicissitudini della vita e l’elaborazione dell’opera si intrecciano in un nodo inestricabile (primo vero junktim psicoanalitico, prima ancora di quello richiesto fra teoria, pratica e ricerca).
Mi limiterò perciò a riportare soltanto qualche impressione, ovviamente del tutto parziale e insatura, nel tentativo di almeno alludere ad alcuni aspetti che a me sono sembrati più rilevanti. Lo farò rinunciando a ogni tentativo di sistematizzazione tematica, indicando appena qualche passaggio, così come li avevo appuntati, seguendo le impressioni che, a mano a mano, la lettura mi suggeriva.
A partire proprio dall’inizio, dalle prime tre lettere consecutive di Freud, in cui si possono subito rintracciare alcuni tratti che caratterizzeranno stile e contenuto, metodo e merito della posizione del “maestro” nei confronti di un “allievo” tanto promettente, oltretutto appartenente al gruppo di Zurigo, con tutto il carico, qui ancora soltanto implicito, delle aspettative che questa apertura extra moenia poteva significare per Freud. Si vede chiaramente come Freud tenga a riconoscere a Abraham già acquisita competenza teorica e interesse per l’ampliamento delle proprie acquisizioni dall’ambito dell’isteria a quello della dementia praecox, sottolineando al contempo come l’essenziale sia che rimanga “affrontato l’aspetto sessuale del problema, al quale pochi vogliono avvicinarsi”, assicurando il suo interlocutore del proprio contributo (“se con le mie osservazioni posso fare qualcosa di utile per i Suoi nuovi risultati, lo farò certamente volentieri”), ma anticipando così, con tatto diplomatico, un costante lavoro di “supervisione” che, con esplicita evidenza, continuerà a svolgere, in pratica senza eccezioni, ogni volta che se ne presenterà l’occasione. Già qui, vengono ad esempio, in una eloquente carrellata, ricordate da Freud i problemi concernenti il rapporto fra trauma reale e fantasia, percezione e ricordo, costituzione e esperienza individuale, rimozione e rielaborazione, temporalità psichica… insomma, potremmo dire, buona parte dell’essenziale con cui continuiamo a confrontarci ancora oggi!
Compare poi, anche nelle prime risposte di Abraham, un primo accenno alla questione della ricezione della psicoanalisi nella cultura dell’epoca (si passa dalla indifferenza all’opposizione), qualche indicazione relativa al possibile contributo della psicoanalisi a aspetti non soltanto clinici (sogno e mito) e qualche iniziale reciproca apertura a un coinvolgimento più “amichevole”, con attenzione alle rispettive vicende famigliari (ma bisognerà attendere circa un anno – 39 F dell’11 luglio 1908 – per vedere un “Caro collega” al posto di uno “stimatissimo”, cui finalmente anche Abraham, dopo qualche esitazione, risponderà con “Caro Professore”, formule con cui, da quel momento, continueranno a interagire).
Proseguendo nella lettura (sono appena ancora a pagina 39, lettera di Freud 39F dell’11 luglio 1908!) trovo poi un primo accenno a “un piccolo conflitto” fra Abraham e Jung, in cui Freud si affretta a raccomandare gentilezza e tolleranza nei confronti di chi come “cristiano e figlio di pastore” non può avere la stessa stretta parentela razziale”; ma che, proprio perciò, potrebbe garantire una “adesione tanto preziosa”, capace di evitare alla psicoanalisi il “pericolo di diventare un affare nazionale ebraico”. Si tratta di un aspetto che troverà nelle lettere successive di Freud più di un richiamo, chiedendo a Abraham maggiore condivisione (“noi Ebrei abbiamo vita più facile, perché ci manca l’elemento mistico”; “ciò che mi attrae [nel suo lavoro] sono i tratti imparentati, i tratti ebraici” “Noi ci capiamo” “Noi Ebrei, se vogliamo entrare a far parte di un posto qualsiasi dobbiamo sviluppare un pizzico di masochismo”)… ma proprio perciò suggerendo l’opportunità di maggiore tolleranza nei confronti degli “altri” . Si avvia qui un seguito di lettere in cui è evidente l’interesse “politico” di Freud di proteggere la “sua” psicoanalisi dai rischi di antagonismi personali, mentre al contempo è altrettanto evidente che la sottolineatura di Abraham di rischi di deviazioni teoriche trovi anche appoggio in rivalità “fraterne”.
È un cliché che si riproporrà in seguito in molte altre circostanze, in particolare in riferimento a Rank e, in entrambi i casi, Freud, si troverà poi, suo malgrado, a riconoscere e a far sue le critiche di Abraham, a quel punto assumendo una posizione ancor più drastica di quella del suo corrispondente.
Mi trovo ora a pagina 79, lettera 62A del 31 gennaio 1909, in cui c’è l’esplicita richiesta a Freud di aiuto per un caso “estremamente complesso”, le cui difficoltà interpretative vengono accuratamente descritte, ma in cui Abraham segnala al contempo di aver “ottenuto un chiarimento molto interessante [relativo al sintomo presente nel suo caso] dell’avversione al pesce”, ancorché da un altro paziente che dormiva accanto alla madre dopo la morte del padre, spiegabile per la somiglianza dell’odore del pesce con quello del sangue mestruale. Lo noto perché qui (ma in molte altre ricorrenze) mi sembra degna di rilievo la concomitanza fra comprensibile incertezza teorica e una sorta di baldanzosa soluzione esplicativa, evidentemente dovuta a quella condizione pionieristica che spingeva a sintesi acquietanti seppure talvolta alquanto avventurose, così come alla ricerca di arcane verità numerologiche. Ma anche su questo rischio di eccessiva, fiduciosa sbrigatività Freud, dopo un po’ (81F del 20 gennaio 1910) interviene a correggere il tiro, perlomeno per quanto concerne la clinica: “Riguardo ai pazienti, sfortunatamente ho imparato che rispetto alla quantità dei colpi tirati, solo una piccolissima parte va a segno”.
Devo necessariamente sorvolare su tanti altri notevoli spunti che hanno segnato la storia della psicoanalisi e che ovviamente trovano in questi scambi un insostituibile, “vivo” contributo esplicativo; basti pensare alla costituzione a alle vicende del “Comitato segreto”, alle indaginose difficoltà per la realizzazione logistica e organizzativa degli incontri ufficiali e ufficiosi della sempre più “internazionale” psicoanalisi, con le sue aperture ormai anche fuori dei confini europei; alle resistenze di Abraham nei confronti della Laienanalyse e in genere ai rischi di un’apertura che potrebbe risultare dannosa se poco controllata; alle attenzioni alle esigenze economiche proprie e di colleghi bisognosi … e infine alla guerra, che indubbiamente impone problemi e costrizioni personali e famigliari di cui la corrispondenza dà certo ampi riscontri ma che sembrano tuttavia quasi subordinati alle difficoltà che ne derivano per la sua stessa praticabilità e insomma per gli interessi della “causa”, qui da intendersi quella della psicoanalisi, come a più riprese viene indicata da Abraham nelle sue lettere.
So di essere giunto fin qui appena nel mezzo del cammin della mia lettura, ma, considerata la modalità scelta per questa mio poco ordinata esposizione, penso che sia lecito fermarmi qui, in questa anticipazione di temi che ovviamente trovano nella prosecuzione del testo maggiori approfondimenti e ulteriori argomenti. Non avrei potuto avere in effetti altra credibile pretesa se non quella di testimoniare la mia personale riconoscenza per l’opportunità offertami da questa più che meritoria pubblicazione. Se così sono riuscito nell’intento di stimolare in qualcuno un personale desiderio di lettura, il mio compito potrebbe dirsi esaudito.
PS “Coraggio Casimiro!” è la formula, di cui si dà conto fin dalle “Note introduttive” che di tanto in tanto si rimandavano Freud e Abraham in questo carteggio, nei momenti di particolare difficoltà. I curatori stessi hanno ritenuto di sentirla rivolta a loro dal gruppo dei primi sostenitori del progetto.
Giunto alla conclusione di questo mio faticoso contributo ho potuto apprezzare appieno l’incoraggiante validità di un invito tanto gradito per quanto enigmatico. Decido dunque ora, nachträglich, di essere autorizzato a appropriarmene, anticipandolo come mio titolo.