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“Ascoltare con tutti i sensi” di T. Bastianini, A. Ferruta, B. Guerrini Degl’Innocenti. Recensione di S. Boffito

14/03/22
"Ascoltare con tutti i sensi" di Bastianini, Ferruta, Guerrini Degl’Innocenti

Ascoltare con tutti i sensi. Estensioni del paradigma dell’ascolto psicoanalitico

Tiziana Bastianini, Anna Ferruta, Benedetta Guerrini Degl’Innocenti

Recensione a cura di Sara Boffito

(Giovanni fioriti Ed., 2021)

Pensiero che non sente

non pensa veramente.

Solo un forte sentire

lo costringe a capire

la necessaria verità presente

Patrizia Cavalli, 2020

Questi versi di Patrizia Cavalli mi sembrano particolarmente adatti ad introdurre questo libro e i tre saggi che lo compongono. Sono versi che comunicano l’urgenza di comprendere che sentiamo, come esseri umani e come analisti, e la necessità che il pensiero sia incarnato, radicato, ma anche ramificato, nei sensi.

Un doppio movimento di radicamento e ramificazione del pensiero attraversa il libro di Tiziana Bastianini, Anna Ferruta e Benedetta Guerrini Degl’Innocenti, composto di tre saggi che, a mio avviso, vanno letti insieme, per ascoltare – appunto – la sinfonia delle voci e degli stili delle autrici, così come dei diversi sensi di cui si fanno portavoce.

Tiziana Bastianini si concentra sui segnali del corpo, Benedetta Guerrini Degl’Innocenti sull’azione e Anna Ferruta sull’apertura all’ascolto della parola in tutti i suoi aspetti; facce diverse di un “ascolto incarnato”, desideroso di spingersi in territori psichici di confine, in cui la simbolizzazione inciampa o incontra un possibile impasse, attento alla lettura e allo sviluppo delle “sonde analitiche” capaci di guidarci in tali territori.

Le autrici condividono certamente la convinzione che vi sia un’esigenza di ampliare il “concetto di libera associazione o di pensiero associativo, fino ad accogliere, come in una vasta partitura sinfonica, linee di espressione psichica che emergono da fonti diverse ed appartengono ai domini del senso motorio, dell’espressivo, del suono e dell’immagine, ai quali attribuiamo valore di comunicazione” (Bastianini, pp. 11-12). L’ascolto che è necessario sviluppare cerca di raggiungere forme di espressione della psiche ai confini del pensiero verbale; per fare questo non soltanto chiamano a raccolta, ancora una volta armoniosamente, i tanti autori amati che hanno avvicinato negli ultimi decenni le questioni del preverbale e del sensoriale (da Green a Bion, a Winnicott, a Stern, a Bollas, a Ogden, a Gaddini, solo per citarne alcuni), ma prendono sul serio una serie di domande, “necessarie verità presenti”, che interrogano la clinica oggi. Una tra tutte quella di Anzieu, citata da Tiziana Bastianini, “La logica del pensiero verbale può rendere conto delle logiche non verbali?” (Bastianini p. 10); oppure “Come facciamo dunque a includere nel novero degli elementi significativi per la nostra comprensione del funzionamento psichico ciò che percepiamo al di là della parola?” (Bastianini p. 22); o la domanda diretta e quasi provocatoria con cui Benedetta Guerrini Degl’Innocenti apre il suo saggio dedicato all’azione, “Che cos’è l’inconscio?” (p. 52), una domanda che dobbiamo continuamente ritornare a porci, appassionatamente; o ancora la “domanda urgente, pressante, che non ammette attese” che, come descrive Anna Ferruta (p. 74), l’analista si sente porre dal paziente quando “esperienze preverbali, vissute ma non simbolizzate e integrate” sono in procinto di irrompere e destrutturare il funzionamento psichico del soggetto.

Sono domande che evocano quelle con cui Bion apre il primo dei Seminari di New York, quando ricorda agli analisti che la dimensione inconscia introdotta da Freud nello studio della personalità ha creato non pochi problemi, che spesso non vediamo perché ci troviamo proprio al centro di quelle turbolenze. Per questo gli analisti dovrebbero sempre porsi alcune domande, quali: “come interpretiamo i fatti che i nostri sensi ci mettono a disposizione?”, e la personalità, o la patologia “che odore ha?”[…] “ne possiamo avere un’impressione tattile?” […] “C’è modo di verbalizzarla? E di comunicarla agli altri?” (1977 in 2018, p. 2).  

Anche Bastianini, Ferruta e Guerrini Degl’Innocenti vanno al cuore della dimensione inconscia introdotta da Freud in tutti i suoi aspetti di ricchezza e problematicità, ricordando che fin dalle origini il discorso freudiano ci mette di fronte a una doppia traccia: “da una parte la centralità del linguaggio, la rappresentazione di parola, la talking cure nella concezione dell’azione terapeutica, dall’altra lo svelamento della natura non linguistica dell’inconscio” (Bastianini, p. 29). Poggiando su queste radici, nel saggio dedicato all’ascolto della parola, Anna Ferruta può sintetizzare in poche parole cosa è l’esperienza psicoanalitica: “è l’esperienza dell’inconscio e dei suoi effetti sulla soggettività in un dispositivo che li faccia emergere incontrare capire e interpretare” (p. 77). Dunque un’esperienza che può comprendere quei sentimenti di sconfinamento di cui ci parla Benedetta Guerrini Degl’Innocenti, stati mentali generati da stati affettivi non integrati né strutturati che sembrano soffocare la psiche, impoverita di una vita fantasmatica, appiattita su un pensiero concreto e incapace di sperimentare una metafora come una metafora. Allora lo sconfinamento, oltre che un sentimento, diventa per l’analista una necessità tecnica, è necessario andare oltre con quei pazienti che si trovano “in una fase aurorale della vita psichica” in cui “qualunque perturbazione dell’omeostasi fisiologica ha come conseguenza nel neonato una reazione che si esprime sotto forma di azioni motorie immediate ed automatiche, come urlare, scalciare o agitare le braccia: un corpo-mente in azione che ha lo scopo di ristabilire l’equilibrio omeostatico perduto” (Guerrini Degl’Innocenti, p. 62). L’analista allora riconosce, nella sofferenza del paziente adulto, alcuni tipi di azioni in cui “la funzione di trasformazione della realtà insita nell’atto e da cui deriva la sua funzione comunicativa, non scompare, come nell’agire esclusivamente espulsivo, se può incontrare la mente dell’analista nel palcoscenico transferale-controtransferale” (p. 71). Guerrini Degl’Innocenti chiama queste particolari forme di messa in atto rappresentazioni in azione, considerandole un tentativo estremo di dare forma all’informe in situazioni in cui la capacità rappresentativa è danneggiata.

Vediamo come un filo rosso che corre nei tre saggi sia proprio la valorizzazione dell’intento comunicativo di quelle esperienze che non hanno ancora parola – persino del rumore (Ferruta, p. 80) –  e necessitano da parte dell’analista di una paziente “tessitura delle condizioni di rappresentabilità” (Guerrini Degl’Innocenti, p. 71). In altre parole un’attenzione alla costruzione del contenitore – che Ferruta ci ricorda nell’ultimissima frase del libro “è altrettanto importante di quella dei contenuti” (Ferruta, p. 109) – che ricorda la fondamentale funzione analitica di farsi supporto alla rappresentazione, fornire quello che Lewin chiama schermo del sogno (Lewin 1946, 1948), uno spazio bianco sul quale l’immagine onirica può trovare forma e spazio, che può essere interiorizzato se il bambino, o il paziente, sperimenta a sufficienza esperienze di riconoscimento e accoglimento – in una parola di ascolto – da parte della madre.

Anna Ferruta parla della necessità di un’evoluzione delle condizioni dell’ascolto analitico e per fare questo fa appello ai suoi personali maestri dell’ascolto – Winnicott, Bion, Faimberg, Nissim Momigliano – ricordando, con Bion, che “l’unica cosa importante in qualsiasi seduta è quella sconosciuta” (Ferruta, p. 76). Definisce poi questo ascolto – che sarei tentata di definire un ascolto espansivo – come “assoluto”, intendendo con questo che deve essere libero da nessi già costituiti e precategoriali, ma “volto a cogliere il soggetto là dove non ha potuto costituirsi come diverso dal Sé abituale imprigionato nel groviglio di difese e scissioni. Ogni individuo è una pluralità di emittenti, spesso in conflitto tra loro, in attesa di un ascoltatore che le colga e le renda udibili anche a lui stesso.” (p. 79)

È il tipo di ascolto necessario alla psicoanalisi contemporanea, quella cha Ogden (2019) chiama psicoanalisi ontologica, riferendosi a una dimensione in cui il primo obiettivo dell’analista è aiutare il paziente a essere e diventare più pienamente se stesso, e che contrappone a quella che definisce psicoanalisi epistemologica, concentrata invece sul sapere.

Un ascolto che ricorda le qualità paradossali dell’ossimorica “capacità negativa”, l’invenzione linguistica del poeta John Keats che Bion ha tradotto in un concetto psicoanalitico. Colpisce come descrivendo questo concetto di Keats che apparentemente sembrerebbe avere a che fare con l’attività solitaria e solipsistica della creazione poetica, Nadia Fusini parli invece della capacità negativa come facoltà di sostenere un’apertura, l’apertura racchiusa nell’espressione coniata da Michel del Certeau “mai senza l’altro” (Fusini 2015, p. 74) – ossia l’altro, l’altrove, l’infinito che ci sono necessari e tutti ci riguardano, ma anche, nella stanza d’analisi, l’apertura all’ascolto da parte di quell’ascoltatore che ci rende udibili a noi stessi, nelle parole di Anna Ferruta. Fusini ricorda anche un altro passaggio dalla stessa lettera ai fratelli in cui Keats introduce il concetto di capacità negativa, in cui il poeta commenta il concetto di intensità, che a suo avviso costituisce “l’eccellenza nell’arte” ed è “capace di stringere forte la ‘spiacevolezza’ alla Bellezza e alla Verità” (Fusini 2015, p. 67). “Intensità psichiche” non a caso è il titolo del saggio di Tiziana Bastianini, e io credo che questo “stringere forte” elementi opposti e paradossali costituisca la ricchezza dell’ascolto con tutti i sensi di cui parlano le autrici: incarnato, sconfinante, assoluto.

Riferimenti bibliografici

Bion, W. R. (2018). Bion in New York and Sao Paulo and three Tavistock Seminars. The Harris Meltzer Trust, London.

Cavalli, P. (2020). Vita meravigliosa. Einaudi, Torino

Fusini, N. (2015). “Un’altra capacità, negativa”. Rivista di Psicoanalisi, (61)(1):67-78

Lewin, B. D. (1946). “Sleep, the mouth and the dream scream”. Psychoanalytic Quarterly, vol 15, pp- 419-434

Lewin, B. D. (1948). “Inferences from the Dream Screen”. International Journal of Psychoanalysis 29:224-231 Ogden

Ogden, T.H. (2019). “Ontological Psychoanalysis or ‘What Do You Want to Be When You Grow Up?’”. Psychoanalytic Quarterly, 88(4):661-684

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