Il “telescoping” delle generazioni è relativo a identificazioni inconsce scisse e non udibili dall’analista fino alla scoperta di una storia segreta nel paziente, che può essere rivelata soltanto in momenti chiave dell’analisi, davanti ad un enigma transferale che viene a stagliarsi sulla scena relazionale. L’autrice sottolinea come l’oggetto di identificazione sia esso stesso un oggetto storico, precipitato della relazione di tre generazioni, e dunque non appartenente alla specifica generazione del paziente: per questo sceglie di designarlo con il termine di “ identificazione alienante”. Potremmo chiederci se, a proposito della percezione di tale segreto transferale, l’atmosfera enigmatica sia così caratterizzata, (con il suo clima relazionale misterioso e il contenimento dell’angoscia dell’analista di non capire), proprio perché si riferisce a comunicazioni emozionali provenienti dalla parte più arcaica dell’inconscio, l’inconscio non rimosso. Tale concetto, elaborato da M. Mancia (2003, 2004, 2006) col supporto delle ricerche neuropsicologiche più recenti, permette di teorizzare una struttura inconscia non rimossa della mente, più arcaica e profonda, ove uno specifico tipo di memoria, la memoria implicita, non consente nel paziente il ricordo, ma permea il clima relazionale di tonalità particolari, tracce significative della sua relazionalità primaria.
Ecco che nel corso dell’analisi, è possibile evidenziare la presenza nel paziente di “ genitori interni”, rilevabili nel transfert, precipitati inconsci della relazione reale con i genitori e organizzatori della psiche del paziente. Nella parte scissa dell’ Io, attraverso le identificazioni alienanti, il paziente si identifica inconsciamente con questi genitori interni che funzionano in modo narcisistico, attraverso movimenti di “appropriazione” e di “intrusione”. Il paziente dunque, privato dei propri investimenti psichici, diventa ostaggio dell’intrusione dei genitori. Il processo che intrappola in queste identificazioni alienanti è dall’autrice collocato nel circuito di tre generazioni. Verrebbe da chiedersi come mai la Faimberg, scelga di non utilizzare i concetti di proiezione e di introiezione: ci pare invece che, nella trattazione esposta, troverebbe una collocazione idonea il concetto di rovesciamento dell’identificazione proiettiva, attraverso la quale i genitori intrudono nel bambino, costringendolo a difendersi non soltanto dall’intrusione in quanto tale, ma soprattutto dalle qualità affettive ed emozionali dei contenuti proiettati. In particolare, continua la Faimberg, “ un’ identificazione che implica un telescoping delle generazioni avviene con l’oggetto e con parte degli attributi della storia segreta e non soltanto con l’oggetto in questione.” (33); non si tratta dunque di un “travaso” di identificazione tra un genitore un figlio, ma di una sorta di assorbimento, dentro l’identità del figlio, delle caratteristiche relazionali, affettive ed emozionali dei genitori e della loro famiglia di origine. Ma se tale trasmissione generazionale avviene in epoca precoce non può che appartenere ad un inconscio non rimosso e così, nell’impossibilità del ricordo, connotare emozionalmente il transfert del paziente. Attraverso appropriazione e intrusione, il figlio, prosegue l’autrice, risulta svuotato del proprio desiderio e dei propri investimenti e porta in sé il racconto muto delle generazioni precedenti. “ Le identificazioni costituiscono un “ legame tra generazioni”, sono alienanti e si oppongono a qualsiasi rappresentazione psichica; perciò esse non sono articolate e non sono udite dall’analista.” (35). Riconosciamo in questo passaggio quella comunicazione emozionale infraverbale, (caratteristico veicolo dei contenuti affettivi-emotivi dell’inconscio non rimosso), che l’analista può udire soltanto attraverso l’ascolto musicale del transfert. L’autrice ritiene che sia la costruzione interpretativa a consentire il passaggio dall’identificazione alla rappresentazione: le si potrebbe obiettare che la rappresentabilità dell’identificazione alienante (la possibilità cioè di rappresentare il non dicibile inconscio scisso), trova la sua espressione non soltanto a livello di costruzione interpretativa, ma anche nella metafora emozionale e nel sogno.
Un riferimento tecnico che la Faimberg svilupperà nel testo, è costituito dall’ “ascolto dell’ascolto”, ovvero dall’attenzione dell’analista nei confronti del modo in cui il paziente recepisce la sua interpretazione, o il suo silenzio. Si tratta di una modalità di ascolto particolarmente preziosa quando il paziente distorce l’interpretazione dell’analista, poiché si trova arroccato in una posizione interna narcisistica. Affinché tale “ascolto dell’ascolto” sia efficace e corretto, è fondamentale un’attenzione al controtransfert dell’analista, cui la Faimberg si riferisce soffermandosi sulla posizione controtransferale, ovvero “ tutta l’attività psichica dell’analista intesa a ristabilire ciò che corrisponde alla storia del transfert” (67). Trovarsi in una posizione controtransferale è inevitabile per l’analista, e, sottolinea l’autrice, non dipende soltanto dal transfert del paziente, ma anche dal modo in cui l’analista risponde a questi attraverso il proprio funzionamento psichico; la posizione controtransferale dell’analista è asimmetrica rispetto al paziente e ne costituiscono parte integrante il background personale e la filiazione analitica. La posizione controtransferale non è statica, ma esito di una dialettica tra fattori diversi; l’atto stesso di analizzare questa posizione ne comporta la trasformazione. È l’analisi della posizione controtransferale che permette all’analista di giungere a riconoscere ciò che il paziente gli ha inconsciamente “ affidato”. Chiarito il confine di ciò che appartiene alla configurazione controtransferale, è possibile approfondire l’analisi del concetto di “ ascolto dell’ascolto”, centrando l’attenzione sul processo interpretativo, che viene suddiviso in tre fasi. Dapprima, la funzione anticipatoria dell’analista che propone un significato a partire dalla storia del transfert e dalla propria posizione controtransferale. Segue il modo in cui il paziente ascolta l’interpretazione dell’analista, collocandola in un contesto significativo. E’ importante considerare, con la Faimberg, che si tratta di un contesto significativo inconscio, legato dunque alla storia delle identificazioni inconsce del paziente stesso. E’ per questo che “ l’ascolto dell’ascolto” del paziente assume per l’analista un’importanza fondamentale, al fine di cogliere la storia inconscia del paziente. “Il paziente reinterpreta l’interpretazione e la sua risposta “ tradisce” il modo in cui l’ha reinterpretata.” (108). “Queste reinterpretazioni sono generalmente taciute; quindi l’analista ha difficoltà a riconoscerle a meno che non le ascolti attentamente.” (106). La Faimberg punta, giustamente, l’attenzione al ruolo determinante del riconoscimento da parte dell’analista di ciò che il paziente “tradisce” con le sue parole, con il suo silenzio e, aggiungeremmo, con il particolare timbro, tonalità, ritmo della sua voce. È dunque un’attitudine particolare di ascolto, ricettiva rispetto allo svelarsi dell’inconscio nel paziente, che consente all’analista di arricchire la propria interpretazione con elementi di significato legati alla storia inconscia del paziente. È questa la terza fase dell’interpretazione che corrisponde dunque ad una riformulazione elaborata dall’analista a partire dal confronto tra l’interpretazione originale e l’après-coup (riattribuzione di significato) del paziente.
Dopo il concetto di “ascolto dell’ascolto” compare dunque il concetto di après-coup, la Nächtraglichkeit di Freud, ovvero la riattribuzione di significato ad un evento, attraverso la costruzione in analisi. La Faimberg, in collaborazione con A.Corel, ritiene che il concetto di costruzione sia utilizzabile in modo interscambiabile con quello di ricostruzione, in una “ fruttuosa ambiguità” tra i due termini. Essi sostengono che ciò che viene costruito in analisi sia il significato intrapsichico dell’esperienza vissuta dal paziente, significato che, sottolineano, deve essere ritrovato e compreso all’interno della dinamica transferale. La Faimberg e Corel osservano la natura paradossale del concetto di costruzione, sottolineandone la struttura retroattiva, ma al contempo la funzione anticipatoria, quale presupposto per accedere a nuove verità psichiche. Gli autori prendono in esame la resistenza narcisistica nel transfert, ovvero la difesa che respinge l’emergere di qualsiasi rivelazione che potrebbe intaccare l’illusione di onnipotenza dell’Io, con la conseguente impossibilità di riconoscere la differenza tra generazioni, la differenza tra sessi e l’alterità. Essi definiscono dimensione narcisistica della configurazione edipica questi tre tipi di resistenza. In questo ambito, la funzione dell’analista diventa quella di formulare una costruzione significativa della storia del paziente fornendogli il legame mancante tra gli eventi che egli ha riferito ed il modo in cui riguardano la sua storia. Diventa così possibile comprendere retroattivamente, (Nächtraglichkeit), la storia dell’analizzando, e con essa la resistenza narcisistica attraverso cui erano, dal paziente, ricollocate le interpretazioni edipiche dell’analista. Gli autori si soffermano dunque sull’importanza della costruzione, che permette una comprensione che non sarà confermata da un ricordo: non si tratta infatti di un lavoro di derimozione, ma della proposta di un legame, nel materiale del paziente, che non era mai esistito prima nella sua psiche. La conferma dell’efficacia del processo interpretativo costruttivo deriverà dalla cessazione della ripetizione e dalla comparsa di nuovo materiale. Gli autori così distinguono tra interpretazione e storia: “ recuperare un frammento di “ storia” passata e rompere così il ciclo della sua ripetizione nel transfert implica per noi che la costruzione trasforma proprio in storia ciò che è esistito in precedenza non come ricordo, ma solo come ripetizione.” (65) . Questa parte del lavoro evoca una analogia con l’esito di ipotesi ricostruttive relative a materiale proveniente dalla memoria implicita, da cui, allo stesso modo, non si attende il recupero di un ricordo, inaccessibile, ma l’approdo a nuove verità interne, con effetti trasformativi nella psiche del paziente. Si potrebbe forse obiettare che la puntualità di un lavoro costruttivo sull’ hic et nunc della vicenda transferale favorisca la formulazione e, al contempo, la comprensione da parte del paziente della ricostruzione della sua storia traumatica.
La modalità tridimensionale di ascolto proposta dalla Faimberg è particolarmente importante nelle situazioni transferali in cui il paziente recepisce le parole come se fossero azioni, all’interno di una realtà psichica reificata: “alcuni pazienti presentano una realtà psichica intrinsecamente paradossale alla quale essi negano un carattere psichico e che perciò porta in se stessa un diniego. Questi pazienti propongono questa realtà non come la propria ma come appartenente ad un mondo considerato “naturale”, che è perciò reificato. Il paziente non può vedersi come il soggetto di questa realtà e non riconosce la sua natura psichica” (123-124). In ogni analisi, afferma l’autrice, possono verificarsi momenti in cui il paziente non riesce a cogliere il valore inconscio, intrapsichico del conflitto transferale. In questa situazione, il paziente “non può riconoscere la sua responsabilità psichica nei riguardi del suo inconscio.” (124). D’altra parte il modo in cui il paziente ha ascoltato l’interpretazione e l’ha fraintesa, è certamente radicato nella sua storia personale, potremmo dire, nella sua verità storica. Si può dunque affermare che la realtà psichica, (dedotta dal malinteso), è connessa alla verità storica. È questo legame tra realtà psichica e verità storica che la Faimberg definisce verità psichica. Quando emerge la verità psichica, paziente e analista sono colti, dice la Faimberg, da un senso di sorpresa. Aggiungeremmo, sono raggiunti da un’emozione peculiare e toccante: appunto, un senso profondo di verità, che diffonde nella stanza analitica un’ atmosfera particolare, come se il piccolo bambino che l’ analizzando è stato, sentendo raccontare la propria storia, ascoltando ricostruire la “fiaba” personale della propria sofferenza, rinviasse ai protagonisti del racconto transferale un senso di giustizia e riconoscenza. Quando un paziente, dunque, è in grado di cogliere la dimensione inconscia, e, con questa, la presenza di una realtà psichica, può assumere la responsabilità del proprio mondo interno e imparare a discriminare la propria peculiare partecipazione alla sua vicenda personale. Il concetto di responsabilità psichica, evidenziato dalla Faimberg, oltre a rivestire importanza cruciale in analisi, può costituire, a nostro parere, uno spunto interessante per riflessioni relative agli agiti distruttivi legati alla psicopatologia.
E’ all’interno del contesto psicoanalitico finora esposto, che la Faimberg colloca la propria teorizzazione dello stretto intreccio tra dinamiche narcisistiche e conflittualità edipica. Ella ipotizza, dunque, che il figlio “erediti” dai genitori un funzionamento narcisistico, da essi stessi attuato di fronte ai propri conflitti, compresi quelli edipici. Questi ultimi verrebbero così affrontati secondo la logica del “o-o”, in cui il soggetto sente di possedere completamente l’oggetto oppure di esserne totalmente escluso, attraverso quello che l’autrice denomina “ dilemma narcisistico”. Tale dilemma viene riproposto nel transfert e il suo superamento costituisce una tappa importante nell’elaborazione dell’Edipo. Questa costellazione clinica assume, per la Faimberg, una dimensione teorica con la concettualizzazione della configurazione edipica, ovvero della “ lotta narcisistica di natura edipica”, una sorta di condensazione delle tematiche narcisistiche ed edipiche in un unico scenario psichico, allargato alla generazione dei genitori del paziente. L’autrice riconosce, dunque, la necessità di un concetto più ampio del complesso di Edipo, che possa contenere non soltanto la relazione del bambino con i suoi genitori, ma anche la relazione dei genitori col bambino, per come il bambino l’ha percepita dentro di sé. Tali elementi si evincono, in analisi, dalla rappresentazione transferale che permette di (ri)costruire le relazioni bambino-genitori, ovvero che permette di osservare come la relazione reale potrebbe essere stata. Tale lettura corrisponde, parallelamente, alla relazione tra il paziente e i suoi “ genitori interni”. Riguardo all’intreccio tra dinamiche narcisistiche e dinamiche edipiche, si potrebbe però dissentire dall’autrice, sottolineando come il paziente, fin dalle origini della sua vita psichica, sia costretto ad organizzare delle difese rispetto al narcisismo dei suoi genitori, che costituisce per lui un evento traumatico: sarà la particolare configurazione di tali difese precoci ad influenzare il suo ingresso nell’Edipo. Su queste importanti difese si dirigerà, in seguito, il lavoro analitico. La Faimberg ribadisce come inevitabile la lotta narcisistica contro gli oggetti edipici e ne sollecita l’elaborazione in analisi, al fine di permettere ai pazienti un più profondo accesso alle proprie verità psichiche e alla costituzione di uno spazio psichico proprio. L’autrice, dunque, rivisita il mito edipico, con attenzione alla configurazione psichica dei genitori naturali di Edipo, traendone alcune considerazioni rilevanti per la clinica. In particolare, pur considerando l’analizzando responsabile dei propri desideri inconsci e della propria attività psichica, ritiene fondamentale, in analisi, porre attenzione all’elaborazione di alcuni passaggi. Innanzitutto propone di riconoscere come un paziente, in relazione con un padre-Laio-figlicida, conservi dentro di sé identificazioni inconsce con tale figura. Al contempo, è cruciale che l’analista sappia riconoscere il dolore del paziente per non essere stato amato. In alcuni momenti, inoltre, l’analista deve poter sostenere “ l’angoscia impensabile del paziente di non essere stato desiderato come un bambino vivo”, in quanto figlio di un genitore figlicida (padre o madre). (cfr.99). Crediamo, a questo proposito, che il concetto di inconscio non rimosso teorizzato da Mancia fornisca il contesto psichico in cui tale angoscia e tale dolore sono racchiusi, trattandosi di vissuti relativi alle primissime fasi della vita e allo spazio psichico genitoriale in cui il bambino è dapprima atteso e poi accolto. Il lavoro clinico sul sogno e sulla dimensione musicale del transfert offre uno strumento privilegiato e cruciale perché il paziente possa sperimentare, nella ripetizione transferale, (accanto ad un analista-genitore non figlicida), la possibilità di rivivere emozionalmente l’angoscia infantile, giungendo a costruire uno spazio psichico personale e privato. Ovvero, per dirlo con la Faimberg, operando una disidentificazione con il genitore narcisista. La Faimberg ribadisce la possibilità di (ri)costruire questi eventi psichici nella storia del transfert ; accanto al genitore narcisistico figlicida (o narcisistico incestuoso, erotizzante), nella psiche è presente una sorta di “ romanzo familiare”, intreccio di sofferenze narcisistiche ed edipiche. “ Forse allora l’elaborazione psicoanalitica dei conflitti edipici è anche legata ad una (ri)costruzione di questa sofferenza inespressa in parole” (105) e, potremmo aggiungere, impossibile da ricordare perché depositata nella memoria implicita. Fondamentale dunque, la possibilità di elaborare in analisi una metaforizzazione ricostruttiva di ciò che altrimenti, dallo schermo segreto dell’inconscio non rimosso, continuerebbe a proiettare il film della storia del paziente in una ripetizione dolorosa senza fine. La gabbia narcisistica in cui la storia psichica dell’ analizzando è imprigionata, a partire dalle tematiche irrisolte dei genitori, può essere analizzata, a nostro parere, facendo ricorso al concetto di “rovesciamento dell’identificazione proiettiva”: il genitore narcisista scarica nel bambino i propri conflitti e le proprie angosce, chiedendogli inconsciamente una soluzione e un’elaborazione per le quali, certamente, il bambino non può possedere strumenti adeguati. L’identificazione inconscia col materiale psichico non elaborato del genitore perpetua così la logica narcisistica nelle generazioni, compromettendo lo spazio psichico potenziale e generando sofferenza.
La Faimberg non ignora le resistenze narcisistiche virtualmente presenti nello stesso analista, nel momento in cui uno spunto teorico, un intervento del paziente, il discorso di un collega gli inducano ansia, stimolata dall’inconscio timore di mettere in discussione la propria filiazione analitica, anzi, riconosce legittimo il bisogno degli analisti di essere legati ad una filiazione analitica, che li ripara dalla “ pericolosa fantasia di essere auto-generati” (135). D’altra parte, tuttavia, esiste il rischio di sottomettersi ad un riferimento analitico così come ad una sorta di idolo, autoritario e totalitario. Per idolo essa intende “ l’uso che in certi momenti possiamo fare di un testo, un’idea, un frammento di verità, una concezione particolare del nostro lavoro. Finalizzato in modo inconscio ad organizzare la nostra identità, questo processo ha la conseguenza di creare un idolo e diventa una resistenza all’ascolto analitico e al dialogo fra analisti.” (134). In queste condizioni dunque, il discorso analitico diventa un discorso narcisistico. La funzione di questo discorso è di proteggere la coesione narcisistica di chi lo esprime. La tentazione di soluzioni narcisistiche, sottolinea l’autrice, può essere sollecitata dalle incertezze connaturate al processo di diventare analisti. Ci pare che gli spunti espressi dalla Faimberg siano stimolanti per riflettere a proposito della fatica e del lavoro personale che ogni analista si trova a sostenere se accetta di rimanere aperto, con ascolto psicoanalitico, a quanto (teoricamente e clinicamente), può suscitargli dispiacere, adombrando la sua filiazione analitica, la quale, comprendendo, come giustamente osserva l’autrice, “i nostri legami di transfert […] è inevitabilmente legata alle radici del nostro essere analitico” (135). La Faimberg prosegue la sua riflessione considerando che l’idolo può essere rappresentato da una persona reale, (che può non accettare l’idolatria), ma può essere anche legato alla stessa istituzione psicoanalitica. “Sorge un problema quando, adottando un principio autoritario alla discussione, l’istituzione sembra confermare che il discorso narcisistico è il modo di appartenere ad un gruppo.” (136). A questo punto l’ascolto del “ nuovo” può porre l’analista in conflitto col gruppo istituzionale, paventando lo spettro di una solitudine radicale. L’autrice sottolinea inoltre come la dimensione narcisistica di sottomissione all’idolo possa perpetuarsi nelle generazioni, attraverso una trasmissione inconscia. Ci pare di significativo rilievo questa riflessione della Faimberg che mette in guardia la comunità psicoanalitica stessa dai rischi narcisistici e ideologici che possono, dalla profondità delle dinamiche inconsce, mettere in pericolo la crescita del pensiero psicoanalitico e, con esso, la più ampia possibilità di comprendere a fondo e porgere aiuto ai nostri pazienti.