ETTORE SPALLETTI 2001
Parole chiave:riforma Basaglia, salute mentale
Un Manifesto per la cura della salute mentale. Huffpost 27/11/2021 di S.Thanopulos
Sarantis Thanopulos (Società Psicoanalitica Italiana) presenta il Convegno del 4 dicembre e spiega il concetto di “sentire il paziente”
Huffingtonpost 27 novembre 2021
Intervista di Davide D’Alessandro
Introduzione: “Si deve uscire dalla logica di un trattamento impersonale che mira solo alla sedazione del dolore, mettendo da parte la soggettività della persona sofferente ed espropriandola, di fatto, del suo diritto di cittadinanza.” il Presidente della Società Psicoanalitica Italiana, Sarantis Thanopulos, spiega in questa intervista i motivi per i quali ha proposto il Manifesto per la cura della salute mentale e i temi che verranno discussi nel convegno di Napoli il 4 dicembre. ( Maria Antoncecchi)
Davide D’Alessandro, saggista
Huffingtonpost 27 novembre 2021
Un Manifesto per la cura della salute mentale.
Sarantis Thanopulos (Società Psicoanalitica Italiana) presenta il Convegno del 4 dicembre e spiega il concetto di “sentire il paziente
Intervista di Davide D’Alessandro
Il 4 dicembre a Napoli, presso l’Istituto degli Studi Filosofici, si terrà il Convegno di presentazione del “Manifesto per la cura della salute mentale”, firmato e proposto da Angelo Barbato, dell’Istituto Mario Negri di Milano, Antonello D’Elia, Presidente di Psichiatria Democratica, Pierluigi Politi, Ordinario di Psichiatria all’Università di Pavia, Fabrizio Starace, Presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica e Sarantis Thanopulos, Presidente della Società Psicoanalitica Italiana. Il Manifesto mira a rivedere profondamente, stimolando il dibattito e auspicando soluzioni concrete, la cura del dolore nel campo della salute mentale, ritenendo in grave e irreversibile crisi quella pubblica, inaridita dal modello biomedico, puntando il dito contro l’approccio puramente farmacologico alla sofferenza mentale. Tanti gli interventi preordinati. Da segnalare la presenza e l’attenzione dell’on. Sandra Zampa, responsabile per la salute del Pd.
Thanopulos, che vive e opera da decenni nel capoluogo campano, crede molto in questo appuntamento. A lui rivolgo alcune domande per capirne di più e, soprattutto, con la speranza che non finisca tutto il 4 dicembre.
Qual è il fulcro dell’evento? A che cosa puntate?
Il fulcro dell’evento è il confronto paritario tra saperi diversi, ma complementari, su un’esigenza divenuta ineludibile nel campo della salute mentale: l’umanizzazione della cura. Si deve uscire dalla logica, che è una trappola, di un trattamento impersonale che mira solo alla sedazione del dolore, mettendo da parte la soggettività della persona sofferente ed espropriandola, di fatto, del suo diritto di cittadinanza. Il 4 dicembre inizia il vero movimento di riforma che coinvolgerà tutti: operatori dei servizi, operatori sociali, associazioni di familiari e di utenti, artisti, scrittori, neuroscienze, scienze umanistiche, l’intera società civile. Puntiamo a un risveglio delle coscienze, a un recupero forte del pluralismo scientifico e del pensiero critico che fondi una nuova concezione della cura nella salute mentale sul lavoro dell’equipe territoriale, sull’integrazione dei saperi e sul re-inserimento delle persone sofferenti nello spazio culturale e sociale in cui vivono.
Il Manifesto mette in evidenza il pericolo degli algoritmi. È sempre più difficile “sentire” il paziente?
In realtà “sentire il paziente”, accogliere il suo impatto nel nostro assetto affettivo, rende il rapporto con lui più interessante e soddisfacente, più coinvolgente e significativo. Affrontarlo come entità anonima a cui somministrare una cura antidepressiva o sedativa, per silenziare il dolore suo e l’inquietudine nostra, è frustrante, spersonalizzante e deprimente. La ricerca di un puro sollievo dalla sofferenza, l’illusione, che ha pervaso per troppo tempo la società, che a tutto si possa porre rimedio con una pillola, ha creato inerzia, la cosa più difficile da sovvertire. I farmaci, usati con moderazione e attenzione, sono indispensabili per contenere l’angoscia destrutturante, ma se si tralascia il problema dell’espressività soggettiva e della qualità della vita, si producono solo esistenze infelici, inaridite. L’algoritmo non deve sostituire l’esperienza vissuta, se non si diventa automi. La relazione della cura non può ridursi al rapporto distanziante, freddo, tra un laboratorio e vite lacerate, sanguinanti.
Che ne è della Riforma Basaglia?
Celebrata in tutti i suoi anniversari e svuotata progressivamente di strumenti reali per essere materializzata, sta diventando oggetto di commemorazione (nonostante molte lodevoli aree di resistenza che mantengono vivo il suo spirito). Si dice che la sua applicazione reale costi molto, ma è un falso. È soprattutto non si tiene conto dell’enorme danno, anche economico, che crea un disagio profondo misconosciuto che si diffonde, come zona di esistenza grigia, in tutti il luoghi sociali e interessa tutti noi. Manchiamo drammaticamente di una visuale globale.
Qual è la sfida che si propone la SPI, che lei presiede?
La Società Psicoanalitica Italiana sta ritrovando la piena convinzione della sua vocazione sociale (che non aveva mai abbandonato), la consapevolezza della propria importanza, come luogo di pensiero critico, per il destino del nostro mondo, la coerenza della sua collocazione nello spazio dell’eredità della tragedia classica, dove resiste la sua lezione: la sofferenza, il patire come parte dell’esperire, è indissociabile dal piacere e dalla conoscenza. Gli analisti vivono nel mondo dei loro pazienti: ne condividono le correnti di desiderio e le passioni che l’attraversano, le disavventure che li colpiscono, le sue contraddizioni. Lo abitano insieme nella buona e nella cattiva sorte. Attraverso i pazienti il mondo entra negli studi degli analisti in modi e prospettive che li sorprendono, li coinvolgono, li portano ben oltre la loro visuale personale e la loro vita privata. Non parlerei di una sfida che la SPI lancia, ma di una sfida da raccogliere. Vogliamo accogliere ciò che eccede la significazione psicoanalitica della realtà, che la costringe a riposizionarsi, a trasformarsi.
Mi sembra molto preso, molto impegnato in questa battaglia. Qual è il valore aggiunto che può apportare la psicoanalisi?
Nelle battaglie bisogna impegnarsi se non le vuoi perdere e non le vuoi perdere se significano tanto per la cura della sofferenza, che è soprattutto cura insieme di sé e dell’altro. Nessuno possiede da solo la verità nel campo del dolore umano, del suo contenimento e della sua elaborazione. La psicoanalisi respira bene se vive insieme ad altre prospettive, se non si chiude nel suo specifico ma sosta nello spazio del disagio profondamente destrutturante, ribelle a ogni sapere ‘tecnico’ e a ogni sua brillante significazione costruita a priori. Il rigore della conoscenza è sempre legato a ciò che la disorienta, la sorprende, la lascia con il fiato sospeso.
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