William De Kooning, 1958
Parole chiave: metapsicologia clinica, pulsione, pulsionalità, Eros/Thanatos, legame/slegame, impasto/disimpasto
SUL CONCETTO DI PULSIONE E DI PULSIONALITA’
ENRICO MANGINI
Questo lavoro mette il concetto di pulsione e di pulsionalità al centro della relazione tra teoria e clinica in psicoanalisi con la finalità di utilizzare la pulsionalità per comprendere la variabilità dei fenomeni psichici normali e patologici. A tal fine si esplorano le caratteristiche metapsicologiche e cliniche delle due categorie pulsionali: di vita e di morte, in particolare per quel che riguarda i concetti di impasto e disimpasto pulsionale e tra attività di legame e slegame.
Per introdurre l’argomento non c’è niente di meglio che ricordare quanto lo stesso Freud enuncia al proposito:
Poiché lo studio delle pulsioni presenta difficoltà quasi insormontabili dal punto di vista della coscienza, l’indagine psicoanalitica dei disturbi psichici rimane la fonte principale delle nostre conoscenze. (Freud, 1915, 21)
che suggerisce come qualsiasi studio metapsicologico non possa che entrare in relazione con la clinica e come questo procedere sia parte integrante del metodo e dell’esperienza psicoanalitica. Come spesso succede per i concetti teorici che fanno da pietra angolare all’edificio psicoanalitico, anche la pulsione è andata incontro a differenti fortune, a oscillazioni e rivisitazioni, basti pensare a due modelli certamente distanti tra loro, quali la Psicologia dell’Io e la teoria lacaniana, che hanno inteso la pulsione il primo in termini prevalentemente energetico-adattativi – anche per l’erronea traduzione del termine “trieb” con “instinct” (Lacan, 1966) – il secondo per l’estensione metafisica per cui la pulsione, staccata dal corpo, diventa sinonimo di “desiderio”.
Volendo fare un rapido excursus sulle origini di questo concetto, per mettere in tensione ciò che lo costituisce storicamente con la configurazione progressiva e le modificazioni cui è andato incontro e per come esso si è articolato nei paradigmi della psicoanalisi attuale, dobbiamo non perdere di vista quella caratteristica metamorfica e “trasformativa” intrinseca alla pulsione, cogliendola nel suo doppio movimento tra interno ed esterno e tra percezione e rappresentazione, sottolineando la centralità di ciò che per diverso tempo è stato marginale, e cioè la sua relazione con l’oggetto, in qualsiasi forma esso si manifesti. Per cui il funzionamento psichico non è pensabile se non a partire dal dato pulsionale, e che esso si manifesta con modalità differenti (corporee o simbolico-rappresentative) ma sempre con la mediazione dell’oggetto (Laplanche, 1984; Green, 1995).
la “pulsione” ci appare come un concetto limite tra lo psichico e il somatico, come il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche, come una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea (Freud, 1915, 17).
La pulsione nella teoria freudiana inizia il suo percorso come “rappresentante” della sessualità infantile e della psicosessualità nel funzionamento inconscio, facendo un passo oltre rispetto alla teoria della seduzione solo parzialmente superata nella nota lettera a Fliess del 21 settembre 1897 (Freud, 1887-1904). Con la pulsione veniva posta attenzione a un “fattore interno” che si aggiungeva a un “fattore esterno” attribuibile alla funzione dell’oggetto primario inteso in ogni sua possibile declinazione. Ne risulta una complessa interazione tra realtà esterna e realtà interna a costituire la “realtà psichica”, che da un lato determinerà l’estrema variabilità del funzionamento psichico umano, in particolare per la vita affettiva, amorosa e sessuale. Come si vede, in questa prima fase, non si fa cenno alla pulsione come fonte di aggressività etero ed auto-distruttiva, questione che completerà il quadro teorico della pulsionalità solo con la seconda teoria pulsionale.
Per quel che concerne l’annosa questione della natura della pulsione, essa riguarda un percorso che precede la stessa teoresi psicoanalitica, un interrogarsi sulla natura dell’essere umano, i suoi impulsi, desideri, volontà, e un chiedersi di che sostanza sono, o da dove vengano questi diversi elementi, se dall’anima o dal cuore, e nel caso provenissero dal corpo, in che modo allora possa nascere la mente. Dato che la prima questione che si pone è se questi elementi del corpo e della mente appartengano alla stessa matrice o se abbiano una differente “natura”, quando ci si interroga sulla natura della pulsione si torna alla vexata quaestio che, ben prima della psicoanalisi, ha trovato varie e opposte formulazioni all’interno del discorso religioso, filosofico e medico-naturalistico. Platone, nel Fedone, mette in contrasto colui che ama il corpo e le passioni con chi ama l’animo giusto, coraggioso e temperato; il Cristianesimo rende ancora più profondo questo vallo opponendo anima e corpo, e così Cartesio, il cui pensiero farà da base al metodo scientifico, differenzia res cogitans e res extensa, scindendo mente e corpo. Il concetto di pulsione e di pulsionalità, invece, supera la scissione mente/corpo dato che lo “psichico” della psicoanalisi, inconscio e conscio, è un territorio teorico-clinico mai esplorato prima, un territorio al limite e cerniera tra la materia (res extensa, corpo, sistema nervoso centrale, il biologico) e l’anima (res cogitans, la mente, lo psicologico). Quindi, da Freud in poi, l’Io, il Sé o il soggetto non potrà più essere pensabile scisso dal corpo. Uno psichico che – anticipato dal solo Spinoza – trova nella teoresi psicoanalitica il suo atto di nascita proprio nell’“Io-corporeo” (Freud, 1922, 488-489), primo investimento narcisistico sul corpo e primo installarsi del pulsionale nel corpo sessuale, per la seduzione/contatto con l’oggetto primario e fonte di ogni possibile successiva trasformazione, dalla “scarica” pulsionale del pianto del neonato alle invenzioni scientifiche e artistiche di Leonardo. In Spinoza troviamo un’anticipazione di questo pensiero anti-cartesiano quando, utilizzando il termine “conatus” (“sforzo”, “impulso”) – tradotto da Filippo Mignini come “pulsione” – scrive: “La pulsione dalla quale ciascuna cosa è spinta a perseverare nel suo essere non è altro che l’essenza attuale della cosa stessa […] questa pulsione, quando è riferita soltanto alla mente, si chiama volontà; ma quando è riferita insieme alla mente e al corpo si chiama appetito” (Etica, parte III, proposizione VIIma); e ancora: “L’oggetto dell’idea che costituisce la mente umana è il corpo” (ibid., proposizione XIIIma). Sembra di leggere Winnicott quando scrive: “La psiche nasce come organizzazione dell’elaborazione immaginativa del funzionamento corporeo” (1988).
Con il termine Trieb Freud fonda l’idea di una “spinta” che muove e produce ogni possibile sviluppo e movimento psichico. Numerosi lavori teorico-clinici che hanno successivamente integrato la metapsicologia freudiana con la relazione primaria, ci permettono di ipotizzare che la spinta pulsionale possa nascere da una “mancanza”, cioè da ciò che risulterà inevitabilmente “mancante” fin dai primi contatti con l’oggetto, sia che si tratti di fame come bisogno fisiologico sia che si tratti di “fame di mamma” come bisogno/desiderio sessuale. Inevitabilmente l’oggetto sarà fonte di soddisfacimenti e di frustrazioni, disillusioni, perdite e ferite narcisistiche, destinate a riperpetuare una “spinta” a ricercare e a ripristinare condizioni precedenti, vissute come favorevoli o a rifuggire il dolore psichico.
La dottrina delle pulsioni [Triebelehre]è, per così dire, la nostra mitologia. Le pulsioni sono entità mitiche grandiose nella loro indeterminatezza [Unbestimmtheit]. Non possiamo prescinderne, nel nostro lavoro, un solo istante, e nel contempo non siamo mai sicuri di coglierle chiaramente (Freud, 1932, 204; G.W., vol. XV, 101).
Alcuni modelli teorici hanno enfatizzato gli assunti della prima topica – come Lacan che parla di un “ritorno al primo Freud” – mentre altri, come gli Psicologi dell’Io, sono partiti dalla seconda topica. Destino analogo ha riguardato la prima e la seconda teoria delle pulsioni. Personalmente nel pensiero freudiano, che non dimentichiamolo si snoda per oltre mezzo secolo, vedo continuità e coerenza teoretica più che radicali cambiamenti di rotta; piuttosto sono rintracciabili momenti in cui Freud, grazie a profondi e spesso dolorosi ripensamenti, se ne esce facendo un passo in avanti aggiungendo parti che arricchiscono o completano l’assetto teorico precedente. E’ il caso di Al di là del principio di piacere (1920) con il quale Freud ammette che il funzionamento psichico non possa essere soltanto riferibile alla ricerca del piacere ma che si debba anche tener conto di forze che gli si oppongono, come la clinica del masochismo, delle perversioni e delle psicosi stavano a suggerire. Non a caso in questo lavoro compare per la prima volta la “pulsione di morte” e la questione dell’aggressività auto ed etero distruttiva, teorizzazione che va a completare la metapsicologia pulsionale con il secondo dualismo Eros/Thanatos, con il quale Freud rappresenta e distingue le pulsioni di vita e le pulsioni di morte. Questo ulteriore passo teorico è la diretta conseguenza della scoperta della centralità del narcisismo e dell’importanza degli investimenti libidici oggettuali e narcisistici, grazie ai quali non era più sostenibile che il pulsionale fosse confinabile nel solo conflitto tra “pulsioni dell’Io” e “pulsioni “sessuali” dato che entrambe rientravano a buon diritto nel campo di Eros.
Freud, con Eros e Thanatos, teorizza i reciproci rapporti tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, portando nella riflessione metapsicologica il Dioniso di Nietzsche e il Nirvana di Schopenhauer, e il conflitto tra la soluzione ascetica di stampo buddistico – accostabile alla pulsione di morte come tentativo di ridurre il piacere e il dolore raggiungendo il Nirvana – e l’esaltazione dei sensi delle pulsioni vitali dell’Über-mensch di Nietzsche. Il secondo dualismo pulsionale sembra operare dunque una sintesi tra queste complementari e contrapposte tensioni presenti nel clima filosofico e culturale della seconda metà dell’Ottocento, oltre che nell’idea di psichico che Freud andava completando a partire dalla clinica. Proprio per questo, anche se continuiamo a definirlo “dualismo”, nella clinica non vi è mai un conflitto insanabile tra Eros e Thanatos se non nelle gravi psicopatologie a causa di massicci “disimpasti” pulsionali, mentre il funzionamento psichico normale è determinato da condizioni di “impasto”, termine con il quale si traducono espressioni quali Bändigung (imbrigliamento) o Vermischuung (mescolanza) delle pulsioni. Così i concetti di “impasto” e “disimpasto” contribuiscono a dare una lettura dei fenomeni psichici individuali e collettivi di derivazione pulsionale.
Altri due elementi sono indispensabili per capire a fondo la complessità dei fenomeni dello psichico pulsionale: i concetti di “legame” e “slegame”. Eros è il dio dell’Amore della tradizione mitologica e, nelle più antiche teogonie, nasce assieme alla Terra dal Caos come elemento fondamentale della Vita, assicurando la continuità della specie e la coesione interna del Cosmo; incarna dunque il concetto simbolico e metapsicologico di “legame” che, sul piano pulsionale è quell’elemento che spinge ai legami e alla vita in tutte le possibili declinazioni: tra rappresentazione e affetto, nella attività associativa, nel pensiero simbolico, nella costruzione di idee, sistemi complessi, creazioni, in definitiva come “spinta di legame” verso l’oggetto. Però Eros rappresenta anche il lato irreprimibile e passionale della pulsionalità per cui, anche nella tradizione mitologica, assume sfumature che non sempre coincidono con l’idea idealizzata dell’amore; basti pensare come nel Simposio Diotima lo chiami “demone”, intermediario tra gli dei e gli uomini, e come Eros nelle forme innocenti di Cupido, nasconda sempre un aspetto malizioso e potente in grado di arrecare anche ferite crudeli. Eros quindi, specie se disimpastato, rappresenta anche forme di eccitamento puramente quantitative, forme di attaccamento all’oggetto patologiche, fino agli agiti passionali violenti o a forme di pensiero parafreniche o paranoidi. Al contrario, Thanatos non ha né una storia mitologica né narrativa; per questo motivo rappresenta ogni tendenza contraria ad Eros di cui è il “negativo”: tende allo “slegamento”, allo scioglimento dei legami tra ogni elemento dello psichico, non segue il principio di piacere, si oppone alla simbolizzazione e al pensiero ed è l’inevitabile scarto di qualsiasi significazione, rappresentando quella tendenza conservativa, presente fin dai primi scritti di Freud, che conferisce alla pulsione anche la radicale spinta alla riduzione della tensione nelle forme della scarica e dell’estinzione del desiderio, nel tentativo di proteggere l’apparato psichico da una tensione non pensabile, o per tentare un’attenuazione del dolore mentale non affrontabile. Disimpastato, può essere presente nelle forme patologiche della tossicodipendenza, dell’anoressia, melanconiche e del ritiro psicotico. Se la “spinta” alla vita come turbolenza è Eros, Thanatos rappresenta la “spinta verso la quiete”.
Una pulsione sarebbe dunque una spinta, insita nell’organismo vivente, a ripristinare uno stato precedente al quale quest’essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l’influsso di forze perturbatrici provenienti dall’esterno; sarebbe dunque una sorta di elasticità organica, o, se si preferisce, la manifestazione dell’inerzia che è propria della vita organica. (Freud, 1920, 222)
Per quanto detto non limiterei il senso della pulsione di morte sovrapponendola, come nella tradizione anglosassone, alla distruttività. L’aggressività distruttiva (aggressioni, delitti, guerre) non può realizzarsi senza l’intervento di un Eros disimpastato, mentre alle pulsioni di morte spetta quella parte di auto-distruttività silenziosa qual è il disinvestimento pulsionale che si mostra nella morte psichica, nella clinica del “vuoto”, nel regime dell’indifferenza che è l’opposto della turbolenza pulsionale di Eros. Thanatos infatti si specifica come “spinta a ripristinare uno stato precedente” anche nei fenomeni naturali del silenzio, del sonno, nel distaccarsi momentaneamente dalle cose, nella necessità di quiete e di pause necessarie (Mangini, 2015), tutte modalità che, nell’impasto pulsionale, sono indispensabili per un buon funzionamento psichico.
Naturalmente poter descrivere le differenti qualità e funzioni delle pulsioni di vita e di morte rimane una operazione astratta dato che non si possono osservare indipendentemente l’una dall’altra se non nei disimpasti estremi. Ma è comunque importante distinguerle dato che, alternandosi e integrandosi tra loro, danno forma alle molteplici manifestazioni della vita psichica, normali e patologiche. La figura di Penelope rappresenta l’alternanza tra pulsioni di vita e di morte, tra legamento e slegamento, tra il fare e il disfare: di giorno, con Eros, tesse tela e promesse, eccitando l’eros dei proci e la possibilità di un nuovo matrimonio; di notte invece slegando il filo di Eros, disfando la tela e procrastinando la decisione e la speranza del ritorno di Ulisse, alterna alla turbolenza del giorno il tempo della quiete, della rimozione, del silenzio, della pausa, dell’attesa (Mangini, 2014).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Freud S. (1887-1904) Lettere a Wilhelm Fliess. Boringhieri, Torino, 1986.
Freud S. (1915) Pulsioni e loro destini. OSF, 8. ok
Freud S. (1920) Al di là del principio di piacere. OSF, 9.
Freud S. (1922) L’Io e l’Es. OSF, 9.
Freud S. (1932) Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni). OSF, 11.
Freud S. (1932) Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse. In: Gesammelte Werke. Vol. XV. Fischer Tachenbuch Verlag, Frankfurt am Main, 1999.
Green A. (1995) Propedeutica. Metapsicologia rivisitata. Borla, Roma, 2001.
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Laplanche J. (1984) La pulsione e il suo oggetto-fonte. In: Il primato dell’Altro in psicoanalisi. La Biblioteca, Bari-Roma, 2000.
Mangini E. (2014) Pulsione e rimozione nella tela di Penelope. In: Munari F., Mangini E. (a cura di) Metamorfosi della pulsione. Franco Angeli, Milano.
Mangini E. (2015) Elementi dell’esperienza psicoanalitica: pulsione, immagine, parola poetica. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Spinoza B. Etica. In: Opere. Con saggio introduttivo di Filippo Mignini. Mondadori, Milano, 2007.
Winnicott D. (1988) Integrazione. In: Sulla natura umana. Raffaello Cortina Editore, Milano, 1989.