La Cura

Succo del discorso e interpretazione insatura: una lettura a partire da uno scritto di E. Gaburri, di Antonella Granieri

20/03/25
Succo del discorso e interpretazione insatura: una lettura a partire da uno scritto di E. Gaburri

FRIDA KAHLO

Parole chiave: Processi somato-psichici inconsci, neuroscienze, legame affettivo, valore eutrofico

Abstract
L’autrice propone una riflessione sul lavoro clinico a partire dall’articolo di Eugenio Gaburri “Il succo del discorso e l’interpretazione insatura”, integrando una lettura psicoanalitica con alcuni spunti che nascono da acquisizioni neuroscientifiche sul funzionamento somato-psichico. In particolare, si concentra sull’incidenza del somatico nell’ideazione intrapsichica e nella relazione interpersonale.
In una fisiologia dello sviluppo tutte le emozioni usano il corpo come teatro e ne modificano lo stato.
In carenza di capacità rappresentative sufficienti a garantire un minimo di comunicazione tra analista e paziente, taluni stati emotivi producono fenomeni di personificazione che, se opportunamente riconosciuti, possono servire da primo abbozzo comunicativo.
Se il campo emotivo può fronteggiare l’insorgere di tali fenomeni senza rischiare la rottura delcontenitore psichico, allora diviene terreno fecondo per arrivare a una interpretazione significativa, un atto verbale che “ha la qualità di riassumere e interpretare il succo del discorso utilizzabile dal paziente per la sua trasformazione”.
Per poter lavorare nella direzione di un succo del discorso che sappia riparare i danni psichici, oltre alla realizzazione formalmente corretta del processo analitico è necessario che il succo ricercato insieme abbia un valore eutrofico, ossia che da un lato testimoni un buono stato di nutrizione e dall’altro contribuisca all’evolvere della vita.

SUCCO DEL DISCORSO E INTERPRETAZIONE INSATURA: UNA LETTURA A PARTIRE DA UNO SCRITTO DI EUGENIO GABURRI

Di Antonella Granieri

L’articolo di Eugenio Gaburri dal titolo Il succo del discorso e l’interpretazione insatura (1998) offre numerosi spunti teorici e di teoria della tecnica per una riflessione integrata tra psicoanalisi e neuroscienze nel lavoro clinico. Non perché una lettura psicoanalitica supportata dalle neuroscienze assurga di per sé a un livello di scientificità maggiore, ma perché la raffinatezza di alcune acquisizioni neuroscientifiche sul funzionamento somato-psichico cui si è arrivati in questi ultimi decenni offre spunti preziosi per arricchire intuizioni sull’incidenza del somatico nell’ideazione intrapsichica e nella relazione interpersonale.

A quale concetto di mente ci riferiamo quando desideriamo lavorare in una prospettiva somato-psichica? A quale tipo di interpretazioni pensiamo? Quando l’analista coglie e comprende il campo emotivo (Corrao, 1986; Gaburri, 1997) generato dalla coppia al lavoro, e sente che i tempi sono maturi, può restituire questo materiale integrato e dotato di senso compiuto al suo paziente. In altre parole, può produrre un’interpretazione che riesce a includere materiale di natura diversa da quella squisitamente verbale, per esempio immagini o stati corporei, pur privilegiando il raggiungimento di una comunicazione verbale. Il tutto sostenuto da un legame che a partire da un buon intake si snoda attraverso una dinamica affettiva sempre più condivisa, ma mai sovrapponibile alla narrativa del campo emotivo che evolve di seduta in seduta.

Così come lo sguardo materno sui contenuti psichici del bambino, in particolare quelli impliciti, corporei e inconsci, è fondamentale per la strutturazione integrata e autentica della psiche in via di sviluppo, allo stesso modo in analisi è l’essere visti e riconosciuti dall’altro che permette al paziente la strutturazione di uno sguardo proprio e autentico su di sé e sulla realtà esterna. Con le parole di Gaburri: “Il passaggio da situazione emotiva a dinamica affettiva sottende una quantità di “eventi psichici” che hanno a che fare con la diversità qualitativa degli affetti e delle emozioni” (Gaburri, 1998, p. 289).

Come sottolinea anche Antonio Damasio (2010), in una dimensione fisiologica dello sviluppo tutte le emozioni usano il corpo come teatro e ne modificano lo stato. La varietà delle risposte emotive è responsabile dei profondi cambiamenti tanto del paesaggio del corpo quanto del paesaggio del cervello. Tuttavia, queste modificazioni non necessariamente vengono condivise e trasformate in dinamiche affettive, ma possono transitare per via non verbale in seduta. Gli affetti, invece, nascono all’interno di una relazione d’oggetto riconosciuta come tale e possono essere intesi, come suggerisce Rayner (1991), come attività dell’Io che permettono al soggetto, quando il suo funzionamento psichico è sufficientemente sano, di cogliere e valutare “le condizioni dell’ambiente e del corpo, così come gli oggetti psichici, come configurazioni integrate”. Apprendere dall’esperienza, dunque, non implica il semplice riconoscimento della modificazione neurofisiologica che il contatto con un determinato oggetto induce, non è recuperare in memoria, ma attivarsi costantemente e consapevolmente in un processo di unione e significazione dei dati acquisiti e dei dati ancora da acquisire. Il tutto attraverso il corpo.

Possiamo quindi affermare che all’origine del sentimento è il corpo, il cui funzionamento, in relazione a tutto ciò che entra in connessione con esso attraverso l’ambiente esterno, viene continuamente registrato in strutture cerebrali permettendo al soggetto la percezione, sia inconscia sia consapevole. I sentimenti sono, dunque, la percezione di un certo stato somatico a partire dai cambiamenti che si manifestano a livello corporeo insieme alle immagini mentali che hanno dato avvio al ciclo, determinando una connessione tra un contenuto cognitivo e una variazione di un profilo dello stato corporeo.

Quando lo sviluppo procede in una direzione fisiologica, è nell’area costituita dalle dinamiche d’interazione di corpo e mente che possiamo situare una sorta di sistema interno per scegliere la rotta soggettivamente preferita, e per orientarsi in un ambiente complesso sotto tutti i punti di vista. Al contrario, in carenza di capacità rappresentative sufficienti a garantire un minimo di comunicazione tra analista e paziente, taluni stati emotivi producono fenomeni di personificazione che, se opportunamente riconosciuti, possono servire da primo abbozzo comunicativo.

Questo modo di concepire l’identificazione proiettiva ha portato già Bion a considerare la mente come qualcosa che si estende oltre i limiti del soggetto, spostando il fuoco dell’attenzione dall’individuo a questo “oltre” (Bion, 1961). In tale prospettiva la capacità di pensare ed esprimere il pensiero si origina laddove fra soggetto e oggetto si forma un campo relazionale particolare che Gaburri definisce campo emotivo distinto dal legame affettivo che lega i due membri della coppia.

L’analista che personifica nel campo le parti scisse favorisce il crearsi del modello di legame che potrà essere il prototipo del significato degli investimenti affettivi che per il paziente psicotico non sono ancora esistiti e per il nevrotico non sono stabili. È necessario, cioè, che l’analista possa personificare il paziente, e così esserlo, grazie al suo coinvolgersi profondamente, anche se solo per un certo tempo, a livello emotivo. Solo in un secondo momento, infatti, il paziente stesso potrà diventare consapevole di qualcosa che riguarda intimamente quel faticoso lavoro di trasformazione che è “far nascere l’altro a sé stessi” (Borgogno, 1999). L’esperienza analitica diviene così un transito che consente di coniugare e trasformare i “somiti” (Bion, 1992), ossia quei pensieri rinchiusi ed esclusi nel corpo. È in questo senso che la parola (analitica) può prendere davvero corpo e divenire non un sostituto ma un preludio dell’azione (Granieri, 2008).

Elemento centrale per Gaburri è, dunque, il lavoro psicoanalitico sul campo emotivo. Laddove il campo non sia sufficientemente sviluppato nella direzione di un legame affettivo si corre il rischio di trovarsi in balia di fenomeni persecutori ed emozioni turbolente non ancora significabili, testimoni di punti di vulnerabilità. Qualora invece il campo sia diventato luogo in grado di fronteggiare l’insorgere di tali fenomeni senza rischiare la rottura del contenitore psichico, allora diviene terreno fecondo per arrivare a una interpretazione significativa, ossia, con le parole di Gaburri, un atto verbale che “ha la qualità di riassumere e interpretare il succo del discorso utilizzabile dal paziente per la sua trasformazione” (Gaburri, 1998, p. 190).

Nell’interpretazione diverse sono le operazioni mentali in atto, ma poiché si possa lavorare con il succo del discorso è necessario che ci sia una remunerazione affettiva, ossia che l’emozione si trasformi in affetto e che per il soggetto sia possibile diventarne consapevole. Naturalmente qui Gaburri non parla delle interpretazioni note come interpretazioni a supporto dell’Io, ma di quelle interpretazioni in grado di realizzare una trasformazione dell’Io. Si può così realizzare una reciproca cooperazione nell’esplorazione analitica stessa, rivolta a quell’insieme di significati, conflitti, momenti di stallo personali rispetto ai quali il paziente non solo ha messo in campo difese più o meno evolute, ma che hanno prodotto una ricaduta sulla qualità di funzionamento dell’apparato psichico. Ecco la ragione per cui in questi casi il più delle volte la risposta dei pazienti alle interpretazioni dell’analista può portare in campo resistenze di tipo psicotico, che si esprimono in reazioni terapeutiche negative.

Nell’operazione interpretativa che l’analista compie è sempre presente il lavoro di destrutturazione del testo portato dal paziente ed è proprio il relativo cambiamento di clima che ne deriva a far sentire il paziente “esposto a rischio per via del legame affettivo che si è sviluppato attraverso il transfert” (Gaburri, 1998, p. 291). Quando il timing o la destrutturazione del testo del paziente risultano disregolati rispetto al campo, non è raro che il paziente preferisca antichi funzionamenti narcisistici che l’hanno a qualche livello protetto, ma anche esposto a solitudine comunicativa, compromettendo la capacità della mente di pensare.

Per poter lavorare nella direzione di un succo del discorso che sappia riparare i danni psichici, oltre alla realizzazione formalmente corretta del processo analitico è necessario che il succo ricercato insieme abbia un valore che Gaburri evocativamente definisce come eutrofico, ossia che testimoni da un lato un buono stato di nutrizione e dall’altro contribuisca all’evolvere della vita. Il carattere eutrofico del succo del discorso è, dunque, promuovere la spinta alla crescita psichica alimentando l’istanza al cambiamento: materiale emotivo solo ora assimilabile promuoverà introiezioni trasformative, quelle introiezioni risultato della possibilità di tollerare, da parte del paziente, gli aspetti catastrofici collegati al contatto con esperienze primarie di vita e di morte, che sempre si accompagnano alle esperienze di cambiamento. Questo promuove nel paziente una maggiore curiosità e un maggior coraggio nel muoversi verso gli aspetti ignoti della vita.

Centrale nel pensiero di Gaburri il fatto che l’analista può raggiungere un autentico unisono (Speziale-Bagliacca, 1999) se e solo se presta attenzione non solo al contenuto verbale e affettivo trasmesso dal paziente, ma si rende pervio all’impatto di quelle numerose informazioni, talvolta emotivamente di segno contrario, che arrivano all’analista per via non verbale. La sola empatia non è sufficiente, ma è necessario fare ricorso alla funzione trasgressiva della mente, che consente ad analista e paziente di incontrarsi nelle aree scisse che si sono aggregate producendo angoscia – con diversi gradi di patologia – prima dell’acquisizione della capacità di rimuovere. Grazie all’interpretazione insatura (Neri, 2013; Stern, 2013), che considera più significati, seppure mantenendoli ampi e in sospeso, l’analista da un lato favorisce nel paziente un movimento di separazione, dall’altro mantiene un clima emotivo caldo e accogliente, senza generare un eccessivo senso di separatezza che può confinare con il vuoto o un eccesso di regressione che per taluni pazienti può significare morte. L’esperienza condivisa di questi transiti consente al paziente di sperimentare quote di dolore più tollerabili e dunque elaborabili, giungendo a poter vivere una trasformazione di aspetti della sua struttura psichica. In questo senso l’interpretazione insatura consente al paziente di fare uso del succo del discorso che essa veicola, che diviene evento psichico. Di questo si può finalmente parlare in modo condiviso ed emotivamente significativo, poiché si è creata una barriera di contatto più definita tra l’inconscio del paziente e la sua parte cosciente.

Il dispositivo analitico risulta, dunque, con le parole di Riolo un sistema di trasformazione attraverso il quale “i processi somatopsichici inconsci acquisiscono le condizioni della rappresentabilità e divengono suscettibili di tradursi in pensieri e in significati” (Riolo, 2024, p. 8).

Naturalmente quando parliamo di succo del discorso ci riferiamo anche a una specifica qualità dell’ascolto. Nella stanza di analisi si avvicendano i due discorsi dell’analista che ascolta e del paziente che associa. Per ciascuno di questi discorsi si può rintracciare un filo e spesso i due fili del discorso di paziente e analista possono correre paralleli, senza incontrarsi mai. Il succo del discorso nasce quando diventa possibile far incontrare questi due fili, uscendo dal proprio senso e appassionandosi al senso dell’altro, inclusi i passaggi portatori di emozioni dissonanti. La possibilità di individuare e utilizzare il succo del discorso consente alla coppia analitica di avvicinare il desiderio del paziente, presente sin dai primi anni di vita, di poter essere compreso intuitivamente, riducendo al minimo lo sforzo comunicativo verbale. Allo stesso tempo, il lavoro nel campo consente al paziente di acquisire una forza maggiore per tollerare la fatica di un discorso verbale condiviso, che includa la sua parte attiva nel processo.

Il linguaggio della mente del paziente, nutrito in analisi da interpretazioni orientate al succo del discorso, ha bisogno, con le parole di Gaburri, di “una mente intesa come «apparato per pensare i pensieri»: di una mente che, gemella della psiche e figlia del corpo, dal quale entrambe derivano, oltre a ricorrere al simbolo come rimedio riuscito per superare il dolore della perdita, contenga in sé il desiderio della comunicazione perché progettata su un desiderio atto a cercare il suo «filo del discorso»” (Gaburri, 1998, p. 297). Mi sto riferendo a “un linguaggio nato dal e nel corpo e che attraverso il corpo trova la piena espressione comunicativa per raggiungere il paziente e per restituire, bonificate, le emozioni precedentemente veicolate attraverso l’identificazione proiettiva o nella forma della personificazione” (Granieri, 2004, p. 68). Un percorso che si sostanzia a partire da un rinnovato desiderio di conoscere, inteso come desiderio di appartenere a un mondo di legami condivisi non del tutto maneggiabili in quel momento dal paziente ma di cui si è interessati a cogliere la competenza e il linguaggio.

Bibliografia

Bion, W. R. (1961). Esperienze nei gruppi. Roma: Armando, 1971.

Bion, W. R. (1992). Cogitations. Roma: Armando, 1996.

Borgogno, F. (1999). Psicoanalisi come percorso. Torino: Bollati Boringhieri.

Corrao, F. (1986). Il concetto di campo come modello teorico. In Orme. Milano: Raffaello Cortina, 1998.

Damasio, A. (2010). Il sé viene alla mente. Milano: Adelphi, 2012.

Gaburri, E. (1997). Emozione e interpretazione. Psicoanalisi del campo emotivo. Torino: Bollati Boringhieri

Gaburri, E. (1998). Il succo del discorso e l’interpretazione insatura. In  Navigando l’inconscio. Milano: Mimesis (2014).

Granieri, A. (2008). Il percorso dal corpo alla psiche e la funzione di “pubblic-azione”. Il Vaso di Pandora. Dialoghi in psichiatria e scienze umane, XVI(2): 31-49.

Granieri, A. (a cura di) (2004). Incontrare l’Altro. Dimensioni affettive in psicologia clinica. Torino: UTET.

Neri, C. (2013). Isabel: Social Field, Psychological Field, and Narrative Field. Psychoanalytic Inquiry, 33(3): 267-271.

Rayner, E. (1991). Gli indipendenti nella psicoanalisi britannica. Milano: Raffaello Cortina, 1995.

Riolo, F. (2024). Prefazione. In Bion, W. R. Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita. Milano: Astrolabio.

Speziale-Bagliacca, R. (1999). Ferenczi: il corpo, il contenimento e il controtransfert. In F. Borgogno (a cura di). La partecipazione affettiva dell’analista: il contributo di Sándor Ferenczi al pensiero psicoanalitico contemporaneo. Milano: Franco Angeli.

Stern, D.B. (2013). Field Theory in Psychoanalysis, Part 2: Bionian Field Theory and Contemporary Interpersonal/Relational Psychoanalysis. Psychoanalytic Dialogues, 23(6): 630-645.

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