La Cura

Omogenitorialità. M. Antoncecchi e P. Ferri intervistano N. Carone

6/06/22
Omogenitorialità. Maria Antoncecchi e Paola Ferri intervistano Nicole Carone, autore del libr

PICNIC ON THE ESPLANADE, NAN GOLDIN 1973

Omogenitorialità

Maria Antoncecchi e Paola Ferri intervistano Nicole Carone, autore del libro

”Le famiglie omogenitoriali. Teorie, clinica e ricerca” Raffaelllo Cortina Editore, 2021

1) Nel tuo libro hai posto l’accento sull’importanza di una genitorialità basata non solo sul legame biologico. Secondo te, perché molti sentono la necessità di creare il legame biologico, è ancora un modo per sentire più legittimo il legame genitore-figlio?

Credo che il desiderio di garantirsi una genitorialità biologica rimandi nella sua essenza proprio a una delle dimensioni strutturanti la genitorialità, ossia quella narcisistica. In questo senso, il legame biologico è inteso come il tramite della continuità tra le generazioni; una parte di sé sopravvive nel tempo proprio attraverso il figlio biologico. Questo desiderio di continuità narcisistica è comprensibile per ogni essere umano, a prescindere dal suo genere o orientamento sessuale, o dalla sua identità di genere. Nel caso di una coppia di donne o di uomini che concepiscono con procreazione medicalmente assistita o gestazione per altri, il legame biologico ha, però, un ulteriore funzione. Garantisce che il legame genitore-figlio sia riconosciuto giuridicamente e, quindi, tutelato. In Italia, infatti, il genitore legale è soltanto il genitore biologico; l’altro genitore dovrà applicare per la cosiddetta “stepchild adoption” che prevede un iter valutativo della genitorialità e degli aspetti di funzionamento psicologico del genitore non biologico e che potrà essere accolta o respinta dal giudice competente. All’interno di questa cornice, è intuibile quindi quanto il legame biologico acquisisca anche il senso di una maggiore legittimità del legame.

2) Molti psicoanalisti ritengono che le coppie gay e lesbiche debbano fare il lutto dell’essere genitori, cosa rispondi loro?

Le coppie di donne o di uomini non sono sterili, salvo eccezioni del singolo, per cause patologiche. La sterilita è, piuttosto, strutturale, legata all’impossibilità di essere “fecondi insieme” in assenza del gamete di sesso opposto all’interno della coppia. Numerosi sono, allora, i percorsi di procreazione o filiazione che una coppia omosessuale può intraprendere, almeno astrattamente, per diventare genitori. Oltre che da ragioni di ordine giuridico e dalle maggiori possibilità di diventare genitori attraverso uno specifico percorso in un determinato momento storico, la scelta di come diventare genitori può dipendere anche da strategie diverse di superamento del lutto per la propria infertilità. Nello scenario adottivo la coppia eterosessuale rimane quella che può generare e la coppia omosessuale accoglie un bambino rifiutato. Nelle famiglie a fondazione cogenitoriale il lutto per l’infertilita viene affrontato esplicitamente: la coppia omosessuale amorosa non può essere la coppia che genera e allora si va in cerca di una coppia omosessuale (o anche di una persona single) di sesso opposto per costituire una coppia generativa. Come risultato, entrambe le coppie omosessuali amorose (o la coppia amorosa e la persona single) avranno un figlio. Nelle configurazioni omogenitoriali con figli nati in precedenti relazioni eterosessuali è ancora la coppia eterosessuale quella che può generare. Infine, nei casi di procreazione medicalmente assistita e gestazione per altri, il concepimento è in primo luogo una questione di affetti, capacità e desiderio di occuparsi del figlio che verrà al mondo. In questi casi, ai limiti del corpo “fecondo insieme” possono supplire gli sviluppi della tecnica riproduttiva. A margine, ritengo opportuno notare che tutti i genitori poi devono fare il lutto dell’idealità, poiché devono accettare che il figlio nato, quello di percezione direbbe Hoffman (2002) che il genitore incontra nell’esperienza interattiva reale, non corrisponde né al bambino di fantasia (prodotto inconscio strettamente dipendente dall’elaborazione delle prime relazioni significative familiari) né al bambino d’immaginazione (prodotto più accessibile alla coscienza che si sviluppa principalmente nello spazio transizionale del genitore durante la sua infanzia quando inventa creativamente la realtà futura, per esempio “giocando a fare la mamma”).

3) Nella nostra culturale essere omosessuali ed essere genitori sono stati considerate due condizioni incompatibili. Nel mondo gay questo ostacolo ritieni sia stato superato?

Non direi. Premetto che la maggior parte delle persone omosessuali non ha figli. Ciò è dovuto a molteplici ragioni che non ho modo qui di analizzare. Tuttavia, tra queste ragioni possiamo individuare la cosiddetta omofobia interiorizzata, ossia l’interiorizzazione di pregiudizi e atteggiamenti negativi nei confronti dell’omosessualità. In questi casi è come se la persona omosessuale si “allineasse” inconsciamente con coloro che ritengono l’orientamento omosessuale un fattore fortemente disfunzionale e destabilizzante per le traiettorie evolutive dei bambini. L’omofobia interiorizzata segna, quindi, uno sbarramento interno alla persona omosessuale stessa, per cui omosessualità e genitorialità sono sentite come incompatibili. La genitorialità è inconcepibile poiché si svincola dal contesto di una relazione eterosessuale, intesa come unico garante di un sano sviluppo. A tal proposito, nel mio libro (Carone, 2021) mi soffermo sul venire in contatto con la propria coscienza procreativa, ossia con la consapevolezza di poter generare una vita umana e, soprattutto, il sentirsi legittimati a farlo. La coscienza procreativa tocca ogni essere umano, ma in una persona omosessuale intreccia inevitabilmente l’elaborazione del proprio orientamento sessuale e il processo di coming out, che possono così rallentarlo o addirittura ostacolarlo. Intervistando i genitori omosessuali non è raro rilevare, infatti, che prima di diventarlo hanno dovuto scendere a compromessi ed elaborare l’idea che avrebbero potuto non avere mai figli.

4) Le trasformazioni culturali e psicologiche permettono realizzazione di desideri un tempo impossibili, non credi che si delinei il rischio di dare spazio a fantasie onnipotenti piuttosto che accettare il senso del limite?

Quello di “limite” è un concetto che rassicura sempre, soprattutto chi guarda con sospetto e preoccupazione alla possibilità che una coppia omosessuale o una persona single possa avere figli con procreazione medicalmente assistita o gestazione per altri. In questi casi chi rileva un’insofferenza del limite di solito finisce anche per mettere in guardia da una generazione con corpi omogeneri, da uno sviluppo ibrido e indifferenziato dell’identità, dalla cancellazione delle differenze tra i sessi, da genealogie confuse o assenti e da corpi disinvestiti (de-sacralizzati, ma anche de-erotizzati)… Possiamo leggere tutti questi scenari come declinazioni del limite infranto che rischiano di stravolgere la tradizione. È vero che oggi la tecnica permette di realizzare fantasie e formare organizzazioni affettive un tempo ritenute impensabili e quindi “inconcepibili”, tra cui proprio quella di diventare genitori superando il limite biologico. Tutto ciò rappresenta una spia di quella “vertigine tecnologica” (Marion, 2017) che sposta l’intervento delle biotecnologie dall’iniziale finalità terapeutica di cura dei problemi di sterilità verso istanze e realizzazioni individuali che modificano gli schemi antropologici noti. Credo, tuttavia, che la categoria del limite sia una maglia troppo stretta per accogliere e comprendere il senso della pluralità dei modelli familiari che ormai sono parte integrante della realtà e sono quindi destinati anch’essi, prima o poi, a diventare “tradizione”. Se l’obiettivo è cogliere lo psichico in tali trasformazioni dei modelli familiari, più che il senso del limite, allora, dobbiamo reinterrogare le forme e i confini dei processi di soggettivazione, della costituzione delle identità e delle forme del legame (Bastianini, 2017). Tale lavoro credo ci avvicini ad alcuni elementi invarianti del funzionamento psichico di coloro che ci sembra stiano “superando il limite”. O quanto meno ci predispone al loro ascolto, al di là delle trasformazioni più apparenti e immediate che producono. In altre parole, parafrasando il compositore Gustav Mahler, in nome della tutela della tradizione, si tratta di non scambiare la custodia del fuoco, con l’adorazione della cenere.

5) I risultati delle ricerche ci dicono che i figli delle coppie omosessuali hanno la stessa possibilità di essere gay o lesbiche delle coppie eterosessuali, ce lo confermi?

Premetto che a oggi sono pochi gli studi, soprattutto di natura longitudinale, che hanno esaminato l’orientamento sessuale dei figli delle coppie omosessuali. Quelli disponibili, però, indicano che i figli delle coppie omosessuali hanno una probabilità simile a quella dei figli delle coppie eterosessuali di essere, a loro volta, omosessuali o eterosessuali.


6) I figli delle coppie omosessuali subiscono spesso delle discriminazioni sul piano sociale. Come supportare la loro integrazione?

Le ricerche svolte anche nel contesto italiano ci indicano che per i figli delle coppie omosessuali le discriminazioni si verificano soprattutto in forma di “microaggressioni”, ossia forme di stigma più sottili e nascoste, quasi impercettibili, commenti che anche inconsapevolmente possono svalutare o negare la realtà familiare di un bambino con due mamme o due papà. Pensiamo, per esempio, alla domanda rivolta a un bambino con due mamme, “dov’è tuo padre?”. Se questa domanda è legittima e comprensibile, soprattutto se rivolta tra compagni e può indicare un tentativo di conoscenza e ampliamento di una realtà diversa dalla propria, le ricerche ci dicono che l’esposizione quotidiana a domande di questo tipo configura per un bambino con due mamme o due papà un’esperienza microtraumatica che, nel tempo, può associarsi a difficoltà comportamentali, problemi di autostima e, più in generale, ridotto benessere psicologico. Poiché le microaggressioni si verificano a partire dal contesto scolastico, cominciare a presentare e insegnare ai bambini l’esistenza di differenti forme familiari è certamente un primo passo per riconoscerne la legittimità.

Riferimenti bibliografici

Bastianini, T. (2017). Processi di identificazione nelle famiglie omogenitoriali: uno sguardo psicoanalitico. In Baiocco, R., Carone, N., Lingiardi, V. (a cura di), La famiglia da concepire. Il benessere dei bambini e delle bambine con genitori gay e lesbiche (pp. 75-89). Roma: Sapienza University Press.

Carone, N. (2021). Le famiglie omogenitoriali. Teorie, clinica e ricerca. Milano: Raffaello Cortina.

Hoffman, J. M. (2002). Lo spazio dell’infanzia. Tr. it. in Maldonato-Duran, J. M. (a cura di), Infanzia e salute mentale (pp. 3–36). Milano: Raffaello Cortina, 2005.

Marion, P. (2017). Il disagio del desiderio. Sessualità e procreazione nel tempo delle biotecnologie. Roma. Donzelli.

Nicola Carone, psicologo e psicoterapeuta, è candidato della Società Psicoanalitica Italiana. Lavora come ricercatore di psicologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Pavia e dal 2020 è membro del gruppo di ricerca internazionale National Longitudinal Lesbian Family Study (NLLFS) diretto da Nanette Gartrell. I suoi principali temi di ricerca riguardano gli aspetti psicodinamici del funzionamento genitoriale, lo sviluppo psicologico e relazionale in famiglie LGBTQ+ e ricorse a PMA, gli interventi evidence-based a sostegno della genitorialità, la trasmissione intergenerazionale dei modelli di attaccamento nel ciclo di vita. Autore di numerose pubblicazioni nazionali e internazionali, in tema di omogenitorialità ha pubblicato Le famiglie omogenitoriali. Teorie, clinica e ricerca (2021, Raffaello Cortina) e In origine è il dono. Donatori e portatrici nell’immaginario delle famiglie omogenitoriali (2016, il Saggiatore).

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