B.NAUMAN, 1983
Parole chiave: Psicoanalisi, odio, invidia, M.Klein, D.W.Winnicott
Odio, invidia e senso di giustizia.
Alcune osservazioni di R. Gentile
L’odio può trascinare in una voragine distruttiva e autodistruttiva, quando non viene mitigato dal senso di colpa, dal desiderio di riparare, dal sentimento della tenerezza che direttamente ci pone in contatto con la nostra vulnerabilità. Si odia perché si ha paura o per rivendicare un diritto che si ritiene sia stato calpestato.
Prendendo spunto da un caso clinico citato nel corso del seminario sull’odio cui ho partecipato di recente[1] vorrei condividere in questa sede alcune considerazioni che mi sono venute alla mente circa il pensiero di M. Klein e di D.W. Winnicott sul tema dell’invidia e dell’odio
Il caso è quello di un bambino seguito in analisi a bassa frequenza. Un giorno, dicendosi molto arrabbiato per un punteggio che gli era stato sottratto durante una gara, il piccolo esprimeva nel gioco fantasie molto distruttive e di annientamento nei confronti degli avversari ritenuti colpevoli dell’ingiustizia subita. Il commento dell’analista, che naturalmente aveva colto gli aspetti transferali contenuti nella comunicazione del bambino, non fu esplicitamente riferito alla distruttività e all’invidia che lui poteva aver provato, bensì alle emozioni che si possono sentire quando qualcuno ci toglie qualcosa che sentiamo ci apparteneva di diritto. Il bambino, intercettando la capacità dell’analista di accogliere e interpretare empaticamente la sua frustrazione per il mancato riconoscimento del premio, mutò atteggiamento e la seduta proseguì in un clima emotivo più tranquillo. Accadde poi un colpo di scena perché il bambino riconobbe di aver mentito, ovvero che non aveva diritto al punto, ma l’analista non si scompose. Entrambi sapevano che stavano parlando un altro punteggio e di un’altra perdita. Ciò che contava era che il bambino avesse avuto la possibilità di esprimere la sua rabbia associandola al senso di giustizia violato.
I bambini hanno un innato senso di giustizia che li sostiene quando non vedono riconosciuti i loro bisogni e la loro capacità affermativa e autoaffermativa: è su questo, forse, che si basa la stretta relazione che vi è tra odio e invidia.
M. Klein su questi temi ha scritto pagine molto belle e di profonda intensità (1957), che ho provato a rileggere alla luce di questo breve ma significativo frammento clinico tenendo a mente anche quanto a sua volta scrive Winnicott quando critica il punto di vista kleiniano per difendere le sue posizioni (1959, 1962, 1968, 1969): tra i due, come sappiamo, ci furono divergenze in merito alla questione dell’invidia. Ma, a ben guardare, le differenze tra loro forse sono meno accentuate di quanto siamo stati abituati a pensare.
Klein ipotizza che non esiste una sola qualità di invidia, ma una declinazione di sentimenti molto complessi e intrecciati tra loro, quali la gelosia, l’avidità, la rabbia e la rivalità. Possiamo vedere questi sentimenti in relazione all’esperienza del seno che manca, il seno che si è perso e che genera frustrazione.
L’invidia, sostiene Klein, scaturisce dalla rabbia generata dal fatto che un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode. L’impulso invidioso mira a portarla via e a danneggiarla (Klein, 1957, p.17).
A differenza della gelosia, l’invidia implica un rapporto con una singola persona, riconducibile al rapporto esclusivo con la madre. L’avidità è un desiderio imperioso e insaziabile che ha per scopo l’introiezione distruttiva del seno¸ implica l’aspetto distruttivo della identificazione proiettiva legata alla fantasia di derubare, ovvero mettere dentro la madre ciò che è cattivo (escrementi e parti cattive di Sé) per danneggiarla e distruggerla. L’invidia, sottolinea la Klein, mira a distruggere la creatività dell’oggetto.
L’invidia nasce dalla privazione. M. Klein tiene a precisare che “Il bambino odia e invidia il seno che sente avaro e meschino” (ib p. 22).
In piccole dosi, e, soprattutto se dopo vi è un soddisfacimento, la frustrazione può restituire al neonato la sua capacità di superare l’angoscia e porre le basi perché si sviluppino l’attività sublimativa e creativa[2].
L’invidia può essere trasformata dalla capacità di amare da cui si sviluppa il senso di gratitudine. Se il seno è buono, però, è altrettanto fonte di invidia perché vissuto come irraggiungibile, in quanto idealizzato è fonte di persecutorietà.
Klein osserva nel transfert l’invidia primaria sostenendo che alcuni pazienti reagiscono ad una buona interpretazione invidiando l’analista anche quando l’ammirano; sembrano disprezzare per poter mantenere il loro sadismo nei confronti dell’oggetto. L’invidia spesso è alla base dei rallentamenti, ritardi, interruzioni dell’analisi. E’, in poche parole, il lievito che fa crescere la reazione terapeutica negativa.
E qui veniamo alla differente prospettiva da cui si pone Winnicott. Egli si dice molto favorevole a condividere l’uso della parola “invidia” nel descrivere gli elementi distruttivi presenti nella relazione del paziente con l’analista in un’analisi vissuta come soddisfacente. Ma non è favorevole a condividere il presupposto kleiniano circa la costituzionalità ed ereditarietà dell’invidia. (Winnicott, 1959, p.470).
Winnicott ipotizza che l’invidia possa essere una parte di uno stato di cose molto complesso in cui vi è una rappresentazione molto stimolante dell’oggetto. L’invidia può comparire solo se la madre è molto provocatoria nel modo di presentare se stessa al bambino, e spiega subito dopo che “provocatoria” significa che si adatta quel tanto che basta per venire incontro all’elemento creativo del bambino, che comincia a percepire così che vi è qualcosa di buono esterno al Sé. Ma questo qualcosa non è stabile, cosicchè il bambino si sente deprivato ed è da qui che nasce l’invidia. Quando le cose sono stabili non c’è posto per l’invidia. L’invidia, in tale prospettiva, si configura quale reazione al fallimento adattivo della madre. Per usare una terminologia kleiniana, il seno diventa meschino e cattivo per il bambino quando si assenta in un modo incomprensibile agli occhi del bambino. Questo punto mi sembra cruciale in quanto mi sembra che Winnicott qui rinforzi, piuttosto che criticare, la posizione kleiniana. Aggiunge però un dato importante, ovvero che l’invidia è un fattore non costituzionale ma una risposta adattiva, una reazione ad una esperienza mancata. In poche parole, non ha radici profonde nella natura del bambino bensì nella sua relazione con l’ambiente.[3] In questa visione prospettica il tema dell’invidia potrebbe essere enunciato come processo di disillusione, che inizia con l’adattamento della madre e gradualmente conduce alla capacità del bambino di adattarsi a sua volta al fallimento materno.
Una madre che si adatta ai bisogni del bambino, una madre sufficientemente buona, porta la capacità di crescita del bambino a sviluppare una qualità personale di “seno buono” che può essere proiettata. La madre è il primo oggetto di questa proiezione. Gradualmente, il bambino arriva quindi a percepire il seno come esterno e, insieme con il complesso e articolato mondo delle fantasie e delle rappresentazioni interne legate alla separazione, inizia il viaggio verso l’indipendenza.
Da questa prospettiva acquista molta importanza il poter osservare in analisi la capacità del paziente di accettare la realtà della dipendenza e, con essa, la possibilità di andare verso una regressione o, piuttosto, verso la gratitudine o il risentimento.
Secondo Winnicott, spesso in analisi i problemi principali che riguardano il paziente hanno a che fare con le vicissitudini di questo complicato processo, che precede il passaggio alla posizione depressiva. Di tutto ciò naturalmente il paziente potrebbe non avere memoria. Quello che si osserva in analisi sono le tracce di esperienze sufficientemente buone che si intrecciano con altre non sufficientemente buone. L’analista ipotizza che il paziente potrebbe aver fatto esperienza dell’esistenza di un seno buono ma non disponibile se non sotto forma di una pressione che poteva distruggere la continuità del Sé (ib. p. 478).
Connesso al tema dell’invidia c’è quello dell’aggressività. Il bambino invidia il seno buono o lo distrugge quando gli si presenta in modo da non poter contenere le sue proiezioni. Paradossalmente, anche il seno idealizzato può essere allo stesso modo vissuto come persecutorio e va quindi distrutto. Si tratta di una aggressività reattiva, che non nasce da un primo impulso libidico. L’aggressività del primo impulso libidico rappresenta infatti una conquista, una fusione di erotismo muscolare e orgia sensoriale delle zone erogene, per citare le parole di Winnicott, in cuiil bambino arriva a mangiare l’oggetto e a essere mangiato proprio in quanto amato.
E’ di vitale importanza che l’analista si renda disponibile ad accettare le proiezioni o a renderle reali, precisa Winnicott. Nella misura in cui questo accade, il bambino non invidia il seno buono, ma è in grado di identificarsi con esso e con la madre sufficientemente buona e di riconoscere gradualmente che la madre che accetta la proiezione è una parte dell’ambiente o del mondo NON ME (ib. pp.481).
M.Klein spiega come attraverso l’analisi del transfert negativo sia possibile osservare che quando nel processo di rimozione l’odio è disconnesso dall’ oggetto originario anche i sentimenti d’amore rimangono vincolati. Grazie all’interpretazione, i sentimenti di odio vengono liberati dalle rimozioni e con essi anche quelli d’amore: quando in analisi un’interpretazione è in procinto di risolvere l’angoscia, il gioco da distruttivo diventa costruttivo. La sua idea è che il bambino ha proiettato i suoi sentimenti di amore sull’analista e può così introiettare l’analista come oggetto buono (Klein, 2017, pp 71).
Tornando al caso del bambino riportato durante il seminario, mi sembra rilevante il fatto che il bambino porti nel transfert negativo la sua rabbia per il non vedere riconosciuto il suo diritto a ottenere il premio, ovvero una madre analista tutta per sé, sempre a sua disposizione. Questa rabbia, colta dall’analista e rimandata con una interpretazione che fa sentire al bambino di essere stato capito, consente di liberare l’amore e di poter esprimere il desiderio di essere riconosciuto dalla madre analista nel suo bisogno di non perdere l’oggetto, qualcosa che ha avuto e che sente gli è stato ingiustamente tolto. L’analista riconosce che il bambino aveva ragione, che la sua rabbia era fondata. Questo rinforza l’alleanza e mitiga la rabbia orientando la seduta in modo costruttivo. L’analisi si svolgeva a bassa frequenza per una serie di motivi familiari e non è da escludere che il bambino stesse protestando per una riproposizione nel setting di una relazione con un seno che sentiva instabile, e perciò avaro e meschino, per tornare ai termini adoperati dalla Klein.
L’accettazione della proiezione del bambino da parte dell’analista ha consentito di poter creare nell’area del gioco la relazione con un nuovo oggetto, una madre disponibile ad ascoltare ed essere in sintonia con i propri bisogni. Questa nuova situazione ha posto il bambino nella condizione di poter esprimere l’illusione di un premio meritato e, contemporaneamente, la disillusione relativa al non averlo ricevuto perché il premio stesso “si era” sottratto in quanto, forse, non era un premio ma un seno analista buono e desiderato. E’ stata la fiducia nel rapporto con l’analista a poter dare il via allo sviluppo graduale della disillusione e all’adattamento alla realtà. L’analista in quanto nuovo oggetto creato dal bambino è ancora un oggetto soggettivo ma il bambino non ha paura di perderlo…può mantenerlo grazie alla continuità della relazione terapeutica. Il setting analitico garantisce, nel gioco, che l’analista sia al contempo un oggetto soggettivo ma anche oggettivamente percepibile Grazie all’analisi il bambino ha potuto sperimentare le sue capacità creative e riparative. Tant’è che, alla fine, ammette che il punto non gli toccava, ma è costretto a riconoscere che lui lo voleva lo stesso! E all’analista che gli chiedeva come mai aveva capito di non meritare il punto rispose con chiara allusione all’analisi che il campo era di terriccio e lì vi era il solco tracciato dalla pallina, lui lo aveva saputo osservare perché era stato abituato al campo di asfalto che non lascia tracce, li la pallina scivola!
Concludo queste mie notazioni con il ricordo di una scena tratta dalla splendida commedia di Eduardo De Filippo “Non ti pago”. La storia, come ricorderete, fa riferimento ad una lite tra il protagonista Ferdinando, ovvero Eduardo, accanito ma sfortunato giocatore che gestisce un banco lotto ereditato dal padre, e il futuro genero, fortunato giocatore che reclama la vincita cospicua per una quaterna i cui numeri gli sono stati forniti in sogno proprio dal defunto padre di Ferdinando. Ne nasce una lite astiosa e animata da odio e invidia profondi da parte di Ferdinando che si rifiuta di corrispondere al vincitore la somma adducendo come pretesto che il defunto padre si è confuso, in quanto il giovane era andato a vivere nell’appartamento che era stato abitato da Ferdinando. Accecato dall’invidia Ferdinando lancia un anatema, appellandosi alla giustizia umana e divina. Per una serie di circostanze, il povero vincitore non riesce a riscuotere mai la sua vincita, finchè, al culmine della tragedia sfiorata, in una scena molto intensa e molto toccante, Ferdinando nel parlare con la moglie che cerca di farlo ragionare, mettendolo in contatto con la sua invidia, sbotta: “Non è invidia, ma sete di giustizia!”
Bibliografia
Klein M. (1957) Invidia e Gratitudine. Firenze, Martinelli 1969.
Klein M (2017) Lezioni sulla Tecnica. Milano, Raffaello Cortina 2020.
Winnicott D.W.W. (1959) Recensione di “Invidia e Gratitudine”. In: Esplorazioni Psicoanalitiche. Milano, Raffaello Cortina 1995.
Winnicott D.W.W. (1968) Le radici dell’aggressività. In: Esplorazioni Psicoanalitiche. Milano, Raffaello Cortina 1995.
Winnicott D.W.W. (1969) Contributo a un convegno sull’Invidia e la Gelosia. In: Esplorazioni Psicoanalitiche. Milano, Raffaello Cortina 1995.
Winnicott D.W.W (1989) Il concetto di Invidia in Melanie Klein. In: Esplorazioni Psicoanalitiche. Milano, Raffaello Cortina 1995.
[1] Il seminario dal titolo “Odio e affetti riparativi” era inserito nell’ambito del Convegno a Seminari Multipli di Bologna 2023 ed era condotto da: Daniele Biondo, Martin Luis Cabrè, Tonia Cancrini, Maria Pia Corbò, Mirella Galeota, Renata Rizzitelli. Tutte le relazioni sono state molto interessanti e hanno stimolato un ricco dibattito nel gruppo.
[2] E’ quanto accade con l’attività riparativa che subentra alle angosce di aver distrutto il seno buono e con l’insediamento della posizione depressiva.
[3] Winnicott pone l’accento su una questione molto importante, ovvero che dal punto di vista del bambino il seno è parte del suo stesso corpo, è parte di sé.