ETTORE SPALLETTI 2001
La Salute Mentale è un diritto di tutti: ripensiamo il SSN
Sarantis Thanopulos ha lanciato questa petizione e l’ha diretta a Sergio Mattarella (Presidente della Repubblica Italiana), Mario Draghi (Presidente del Consiglio dei Ministri) e Roberto Speranza (Ministro della Salute)
Firma la petizione
Manifesto della Salute Mentale
La cura nella Salute Mentale come valorizzazione della persona e difesa della democrazia
La Salute Mentale pubblica è in crisi. Il modello biomedico/tecnologico dominante nell’approccio alla sofferenza psichica (messo in seria discussione in tutto in mondo) ha prodotto risultati deludenti. La prospettiva dell’umanizzazione della cura è stata abbandonata e si è tornati alla logica dell’“istituzione totale” rivisitata: la reclusione delle persone sofferenti in mere esistenze diagnostiche, costruite in funzione di trattamenti farmacologici sintomatici. Le ricerche scientifiche che mostrano l’uso eccessivo, inappropriato dei farmaci, che soffoca insieme ai sintomi anche la persona, e indicano la possibilità concreta di un loro uso, accurato, sono ignorate.
I servizi per i bambini e gli adolescenti sono palesemente inadeguati. La psicoterapia, intesa come elaborazione soggettiva del dolore, valorizzazione dei desideri e dei sentimenti e strumento di riappropriazione dei propri spazi di vita e di ripristino di legami affettivi personalizzati, è in declino. Nell’intero ammontare dei trattamenti erogati dai servizi pubblici le psicoterapie rappresentano un misero 6%. Il lavoro del reinserimento nella sua comunità di chi soffre, lavoro complesso che richiede energie creative importanti, tende a ridursi in assistenza materiale. La riforma psichiatrica del 1978, che ha ridato dignità di cittadinanza e diritto alla soggettivazione della propria vita al “paziente psichiatrico” (sino ad allora non considerato neppure soggetto giuridico), è sotto attacco, nonostante le dimostrazioni di qualità provenienti da quei servizi che ne applicano lo spirito in modo innovativo da più di quarant’anni. La relazione terapeutica si è chiusa nel rapporto assistenziale a senso unico tra curanti e curati, spesso affidato a una logica “algoritmica”, invece di essere costruita nell’ambito della reciprocità, dello scambio affettivo e mentale tra pari. L’attuale stato delle cose favorisce la spersonalizzazione dei vissuti sia degli operatori sia delle persone sofferenti. E tende a creare un clima depressivo, emotivamente povero, negli spazi della cura.
È tempo che tutte le forze riformatrici che considerano il pensiero e la prassi della cura psichica pubblica come strumenti critici di costruzione solidale e democratica della vita cittadina si uniscano per offrire un’alternativa solida, concreta alla stagnazione in atto, per riproporre un approccio al dolore psichico fondato sul dialogo tra saperi che si confrontino tra di loro in modo paritario. È necessario uscire da un regime improduttivo, culturalmente e clinicamente settoriale per affermare il pluralismo scientifico dell’approccio multidisciplinare.
Il lavoro multidisciplinare deve tornare a essere l’elemento portante dei dispositivi di cura. A partire dalla valorizzazione del lavoro dell’équipe territoriale, fulcro dell’intero sistema della Salute Mentale e luogo in cui integrano tra di loro le diverse modalità di cura:
- Il trattamento farmacologico mirato e critico che è funzionale al contenimento dell’angoscia acuta, invasiva, e della depressione. Esso deve essere coadiuvato da un lavoro paziente di sostegno relazionale e di accoglienza umana del dolore. Devono essere accantonate le pratiche coercitive e violente di contenimento fisico dell’agitazione psichica.
- La cura, ispirata alla teoria e alla clinica psicoanalitica/psicodinamica e ai principi fenomenologici (nelle sue varie forme: individuale, di gruppo, di coppia, di famiglia) che promuove il lavoro di trasformazione psichica necessario al ritorno in gioco della soggettività desiderante.
- La terapia delle relazioni, che usa principi sistemico-familiari e la terapia cognitivo-comportamentale.
- Il lavoro di integrazione socio-culturale nella comunità in cui si vive, che richiede una competenza specifica delle dinamiche psichiche e sociali della collettività, una grande sensibilità umana e una collaborazione costante con le istituzioni e con gli ambienti della cultura, della letteratura, del teatro, del cinema, dell’arte. Tali ambienti hanno una funzione preziosa nella costruzione della comunità, nell’evoluzione della sensibilità collettiva, nella configurazione delle reti condivise di significazione dell’esperienza che creano un senso di identità aperto alla differenza, all’alterità, non chiuso in sé stesso.
- Il lavoro di prevenzione, basato sulle diagnosi precoci, sulla valorizzazione dell’intervento psicopedagogico e della psicoterapia dei bambini e negli adolescenti, sull’individuazione di realtà familiari fragili, sugli interventi di sostegno in ambienti sociali vulnerabili colpiti da fenomeni di degrado, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli ospedali.
- La partecipazione attiva e organizzata degli utenti con problemi di salute mentale che portano il contributo della loro soggettività al processo di cura.
La centralità dell’équipe territoriale è sostenuta dal principio che la persona sofferente deve essere presa in cura nella comunità in cui vive a sostenuta nel suo diritto di farne parte. L’équipe richiede una buona formazione specialistica di partenza in tutte le sue componenti e l’equiparazione in termini di carriera e di responsabilità nella cura tra chi è laureato in psicologia e chi è laureato in medicina. Senza tralasciare il ruolo determinante delle altre professioni coinvolte nella presa in carico, assistenti sociali, infermieri, tecnici della riabilitazione, cooperatori del privato sociale. L’équipe, tuttavia, la somma delle competenze che la compongono, non è un’attività poli-ambulatoriale. Non si identifica con una sede, ma la sua funzione si diffonde nel territorio e eccede la sua composizione in due sensi. Da una parte include nel suo lavoro il gruppo dei pazienti, i loro familiari, le forze culturali e sociali con cui interloquisce; dall’altra amalgama tra di loro i diversi vertici che ospita nel suo interno creando una prospettiva unitaria, un lavoro di cura coerente. L’équipe non è, tuttavia, luogo di formazione e di ricerca permanente. Promuove la ricerca psicodinamica/psicoanalitica, cognitivista-comportamentista, fenomenologica, relazionale, sociale, epidemiologica. Si avvale dello studio neuroscientifico delle relazioni umane e dello studio rigoroso del trattamento farmacologico.
La verifica deve essere basata su dati rigorosi che stabiliscono se vi è corrispondenza tra i parametri che definiscono l’obiettivo della cura e i risultati effettivamente raggiunti. La corrispondenza deve essere leggibile e verificabile da una prospettiva indipendente rispetto all’approccio di cura studiato, per dare indirizzo a un approccio centrato prevalentemente sulla qualità della vita (lo sviluppo dei legami affettivi, della creatività e della libertà di espressione personale) e a uno mirato prevalentemente al contenimento dell’angoscia.
Il diritto alla salute mentale è fondamentale e ha un enorme valore politico per la democrazia. Investire fortemente nella salute mentale è necessario alla costruzione di una società democratica, equa e garante di una buona qualità di vita. L’investimento in termini di risorse economiche e di impostazione organizzativa va fatto in modo ragionato e lungimirante, non estemporaneo, se si vuole davvero cambiare prospettiva, e deve dare assoluta priorità al servizio pubblico. Senza il suo buon funzionamento l’intero sistema di cura psichica va in crisi.
Il Manifesto è un un progetto scientifico, culturale e politico sulla salute mentale che punta all’umanizzazione della cura psichica: perché il dolore acuto, destrutturante possa essere contenuto senza eccessi dì sedazione, perché si eviti la sua sorda cronicizzazione, perché le emozioni e i pensieri dì chi soffre abbiano ascolto e rappresentazione, perché il soggetto lacerato (ma vivo, resistente nonostante tutto) ritrovi il suo posto dì cittadino nella vita lavorativa, culturale e politica, perché si riappropri della sua espressione creativa. Questa non è un’utopia, è una spinta vitale, una scelta civile: la sofferenza, a cui siamo tutti esposti, può essere alleviata, elaborata, trasformata in desiderio di vivere.
Redazione del testo
Angelo Barbato, Istituto Mario Negri Milano
Antonello D’Elia, Presidente di Psichiatria Democratica
Pierluigi Politi, Ordinario di Psichiatria Università di Pavia
Fabrizio Starace, Presidente Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica
Sarantis Thanopulos Presidente della Società Psicoanalitica Italiana