
In primo piano: Romana Blasotti, storica presidente dell’AFeVA (Associazione Familiari e Vittime Amianto). Dietro, l’attuale presidente AFeVA, Giuliana Busto. Alle spalle, uno degli storici sindacalisti della vicenda amianto a Casale Monferrato, Bruno Pesce
hiave: progetti di ricerca, ricerca-intervento, popolazione, psicoanalisi, università, salute pubblica, interpsichico, gruppi multifamiliari
L’Università incontra le altre Istituzioni per curare
Giornata Mondiale Vittime Amianto
di Antonella Granieri
Parole chiave: progetti di ricerca e ricerca-intervento per la popolazione e psicoanalisi, università e psicoanalisi, salute pubblica e psicoanalisi, interpsichico, gruppi multifamiliari
Ogni anno dal 2005 il 28 aprile si celebra la Giornata Mondiale delle Vittime dell’Amianto.
Il problema della contaminazione da amianto è un problema che rimane vivo e attuale, con una stima di circa 255.000 decessi all’anno, dei quali circa 233.000 attribuibili a una esposizione professionale (Furuya et al., 2018). In Italia, 10 dei 42 Siti di Interesse Nazionale (SIN)[1] attualmente perimetrati hanno una storia caratterizzata dall’estrazione e/o produzione di amianto[2]. L’ottavo Rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM) riporta 37.003 casi di mesotelioma maligno tra il 1993 e il 2021, con una età media alla diagnosi di 71 anni (DS = 10,5), un rapporto di genere (M/F) pari a 2,6 e una mediana di 48 anni tra l’inizio dell’esposizione e l’insorgenza della malattia (Marinaccio et al., 2025).
Il SIN maggiormente esteso è il sito piemontese di Casale Monferrato, la cui cittadinanza è stata per decenni duramente traumatizzata non solo dall’elevato numero di morti presenti in quasi ogni famiglia, ma anche da una situazione conflittuale patogenica che vedeva gli abitanti dipendere per la loro sussistenza economica dalla stessa azienda (l’Eternit) che inquinava dando loro la morte (Granieri, 2016a,b). Fu solo all’inizio degli anni Settanta che iniziò a circolare l’idea che l’aumentata incidenza di patologie nei lavoratori dell’Eternit potesse essere connessa alla lavorazione dell’amianto (Granieri, 2008, 2013). Tuttavia, gli specialisti deputati ai controlli delle polveri e i quadri dirigenziali della fabbrica contribuirono a creare una cornice di semplificazioni sulla nocività dell’amianto, mirate a far crescere un senso di sicurezza e protezione. Semplificazioni che vennero per certi versi accettate anche dai lavoratori, in quanto la fabbrica continuava a garantire benessere economico, pur portando in campo una prospettiva profondamente connotata da malattia e morte, tenuta lontano dal pensiero. Le azioni volte alla tutela della salute della comunità e al riconoscimento del danno presero avvio unicamente con l’aumentare del numero dei morti. Il 6 giugno 1986 la fabbrica terminò la produzione e nel dicembre del 1987 il sindaco Riccardo Coppo vietò la fabbricazione e l’uso dell’amianto nel perimetro casalese, decisione recepita dallo Stato soltanto il 27 marzo del 1992.
Negli anni, mi sono occupata del tema della contaminazione da amianto – in particolare a Casale Monferrato – in qualità di Psicoanalista e Professoressa Universitaria di Psicologia Clinica chiamata a ideare progetti di ricerca e ricerca-intervento per la popolazione. Diversi sono i contesti di salute pubblica in cui la psicoanalisi ha potuto esprimere il suo contributo sia in Italia sia a livello internazionale, ma nel 2006 quando ho iniziato il mio lavoro sulla contaminazione da amianto non era viva una tradizione di applicazione del metodo psicoanalitico nei Siti Contaminati. È stato, dunque, necessario andare nella direzione di un’estensione del metodo psicoanalitico (Bastianini & Ferruta, 2018), facendo affidamento su flessibilità ed elasticità della tecnica (Ferenczi, 1928). Questo ha significato anche differenziare il contributo della psicologia clinica di orientamento psicoanalitico dai contributi di altre discipline (quali l’antropologia, la sociologia, alcuni aspetti della semiologia, etc.), che hanno avuto il merito di avviare processi comunicativi di gruppo, ma non hanno potuto includere nel loro discorso aspetti del funzionamento mentale, perché non specifici del loro vertice di osservazione. Si è trattato in primis di lavorare a livello multidisciplinare in una comunità contaminata, un lavoro che ha implicato la condivisione di emozioni dolorose non ancora elaborate e a volte dissociate dal Sé e ha dunque sollecitato prevedibili resistenze a livello individuale, di gruppo e istituzionale.
Certamente, Casale Monferrato non è l’unico caso di contaminazione ambientale e industriale né in Italia, né nel mondo. Tuttavia, una sua peculiarità è stata la persistenza nella cultura istituzionale locale di una cultura sindacale portatrice di un orientamento progressista e aperto alle potenzialità del contributo che il pensiero umanistico, filosofico e anche psicoanalitico può apportare alla comunità. La popolazione casalese negli anni è stata particolarmente recettiva rispetto a questo orientamento e ha potuto dialogare proficuamente con istituzioni a loro volta permeate da questa visione del mondo, creando un incontro di intelligenze che dialogano nella ricerca di una sanità comunitaria.
Questo ha permesso alla psicologia e in particolare alla psicologia clinica di essere inserita a livello ufficiale nelle Consensus Conferences sul mesotelioma pleurico maligno (Novello et al., 2016), la più frequente patologia oncologica connessa all’esposizione ad amianto, e a ottenere con continuità finanziamenti sui progetti via via proposti a Casale Monferrato.
Negli anni numerosi sono stati gli attori istituzionali con i quali ho collaborato: il Ministero della Salute, il Centro Sanitario Amianto, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’INAIL, le Aziende Sanitarie e Ospedaliere di Casale Monferrato e Alessandria. Attori che si sono anche sempre confrontati con l’Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto (AFeVA), promotrice di tutte le azioni finalizzate alla rivendicazione del danno subito e alla richiesta di risarcimento.
È stato così possibile accreditarmi come interlocutrice autorevole e allo stesso tempo incuriosire gli altri professionisti rispetto alla psicoanalisi, intesa sia come corpus di conoscenze sulla mente umana sia come modello di cura. Consapevole di come “l’esperienza ha […] dimostrato che nel caso della collaborazione si formano invariabilmente fra gli associati legami libidici che prolungano e fissano […] la relazione reciproca” (Freud, 1921, 98-99), penso che la presenza e partecipazione costante ai momenti di confronto interdisciplinare, senza lasciarsi troppo scoraggiare dai silenzi o dal sentirsi inizialmente accolti con diffidenza – soccorsi da un quid di capacità negativa (Bion, 1970) – ha molto aiutato a consolidare nel tempo la mia posizione di professionista portatrice di una prospettiva, al pari delle altre, meritevole di ascolto e considerazione.
In un contesto di salute pubblica con le caratteristiche sin qui descritte, funzionare psicoanaliticamente non ha voluto dire da subito poter proporre un setting tradizionale per l’intervento, bensì funzionare psicoanaliticamente tutte le volte in cui si veniva consultati.
Con il tempo ho maturato una progressiva consapevolezza che fosse necessario da parte mia uno sforzo di traduzione: un impegno a creare un ponte non solo cognitivo tra ambiti disciplinari caratterizzati da competenze ed expertise diverse, ma anche tra i processi di pensiero e la qualità di coinvolgimento soggettivo e intersoggettivo spesso assai differenti che ciascuno di questi ambiti portava con sé. I ripetuti momenti di confronto han permesso di far transitare l’idea che la salute mentale non stia nell’assenza di sofferenza e dolore, ma abbia a che fare con la possibilità di tollerarlo ed elaborarlo, e che lo sviluppo di tali capacità “metaboliche” non possa prescindere dall’ambiente e dalle relazioni (Bion, 1962).
Nel tempo, le comunicazioni pubbliche, arricchite da stralci di materiale clinico hanno contribuito ad alimentare su base esperienziale un interesse rispetto ai modelli di funzionamento mentale (individuale e gruppale) presenti a livello di comunità e intercettabili nei percorsi clinici via via sperimentati.
È stato uno snodo di grande aiuto lavorare sull’interpsichico, per come viene concettualizzato da Stefano Bolognini (2016, 2019). Infatti, seppure nei Siti Contaminati alla base della sofferenza psichica vi siano degli aspetti transpsichici, è stato fondamentale mettere a fuoco la sinergia tra intrapsichico e interpsichico nella lettura della qualità del disagio della comunità. Una sinergia che non poteva essere messa da parte anche nella conduzione dei dispositivi di cura.
Se Speziale-Bagliacca (1997) afferma a ragione come, nella misura in cui “una delle scoperte della psicoanalisi è che la storia personale d’ognuno influenza il suo modo di pensare e di ricercare“, e come pure “la storia dei coinvolgimenti personali, lungi dal portarci fuori dall’approccio scientifico, ci permette di passare a ipotesi più autentiche”, viene da sottolineare come il tipo di interazione più paritaria a cui il graduale, mutuo riconoscimento ha condotto tutti gli interlocutori del Progetto Casale abbia certamente influito anche sul modo in cui le prospettive teoriche di ciascun partecipante sono state man mano, nella misura del possibile, sempre più integrate a quelle degli altri.
Come psicoanalista, è stato per me fondamentale chiedermi che tipo di intervento proporre per una comunità gravemente traumatizzata e ancora immersa nell’ambiente traumatizzante. Grazie anche al confronto con Jorge García Badaracco, ho scelto di realizzare un gruppo multifamiliare (García Badaracco, 1989; 2000) sul territorio, aperto a tutta la popolazione, in modo da tenere in vita un dispositivo di cura sempre in grado di accogliere, quando desiderato, un confronto psicologico-clinico sul tema (Granieri, 2016a, 2017). Si tratta di un gruppo “a porte aperte”, i cui partecipanti si incontrano con cadenza settimanale. Ogni seduta ha una durata di novanta minuti e la partecipazione è aperta a pazienti, familiari, operatori dei servizi sanitari e assistenziali e chiunque in generale desideri partecipare, offrendo la possibilità di lavorare contemporaneamente sulle dimensioni individuali, familiari e sociali della mente. Nell’aprile del 2010 ha visto la luce il primo gruppo multifamilliare a Casale Monferrato. Nel corso degli anni, circa cinquanta persone hanno preso parte al gruppo: per lo più si è trattato di familiari, alcuni dei quali avevano perso anche diversi componenti delle loro famiglie. Il gruppo ha lavorato come una sorta di terra di confine, rispetto al funzionamento della mente, tra processo primario e processo secondario. Ha costituito una sorta di spazio analitico terzo in cui potevano aver luogo enactment e proiezioni. L’incontro con le co-conduttrici[3] e con gli altri membri del gruppo ha contribuito a dare forma a questo spazio terzo così come a movimenti soggettivi e intersoggettivi, creando uno spazio intermedio in cui poter riflettere circa le similarità e differenze nelle esperienze traumatiche (Aron, 2006; Green, 2004; Ogden, 1994).
L’esperienza maturata all’interno del gruppo multifamiliare mi ha portata a riflettere sulla necessità di realizzare un intervento specificamente rivolto ai malati di mesotelioma maligno nei primi mesi che seguono la diagnosi. Ho così ideato i Brief Psychoanalytic Groups (BPGs) (Granieri et al., 2018). A partire dalla consapevolezza di una fragilità condivisa tra pazienti e caregivers a fronte della diagnosi, ho scelto di realizzare un modello di intervento psicoanalitico gruppale breve. Il dispositivo gruppale, infatti, consente di coinvolgere il maggior numero possibile di pazienti e familiari, contenendo i costi e allo stesso tempo consentendo loro di fare esperienza di nuovi modi per stare insieme e comunicare l’uno con l’altro. Inoltre, non potevo non considerare l’elevata mortalità del mesotelioma maligno e le compromesse condizioni di salute dei malati nell’ultima fase della malattia. Raccordandomi con gli oncologi dell’équipe, ho dunque scelto di proporre un intervento gruppale breve, che prevede 12 sedute a cadenza settimanale di un’ora ciascuna, co-condotte da due psicoterapeuti di orientamento psicoanalitico con una specifica formazione sul lavoro con pazienti oncologici e sulla conduzione di gruppi psicoanalitici. I diversi gruppi sino a ora realizzati (si è appena concluso il settimo gruppo) mi hanno consentito di mettere a fuoco come i diversi partecipanti a seconda del loro vertice di pazienti o familiari possano fare esperienza e gustare in questo luogo condiviso la porzione di vita che hanno ancora a disposizione da vivere insieme. Con l’immagine di Bion (1977), quando una foglia cade non si sa mai su quale lato atterrerà: si tratta di poter vivere e condividere quanto ancora può accadere prima che la foglia raggiunga il terreno. Un transito, questo, particolarmente significativo in un Sito Contaminato, in cui, come spesso avviene a Casale Monferrato, quando ti fanno diagnosi di mesotelioma non sei più una persona, sei il mesotelioma e dunque sei già morto.
In conclusione, penso che obiettivo specifico di una psicologia clinica orientata psicoanaliticamente all’interno di un Sito Contaminato sia promuovere nei diversi attori coinvolti la nascita di uno spazio per pensare a, raccontarsi e raccontare lo scontro con l’impotenza, la vulnerabilità, la sofferenza, la malattia e la morte, ma anche gli aspetti vitali che – seppur limitati dalla malattia – permangono e animano le relazioni. Un corpo-mente in relazione con un altro corpo-mente produce azioni relazionali orientate diversamente a seconda della qualità del pensiero di ciascuno: promuovere la mentalizzazione nei membri dell’équipe conduce a una più profonda integrazione mente-corpo nel professionista e all’instaurarsi di relazioni qualitativamente differenti con i cittadini, che, riconosciuti nei loro aspetti mentali e corporei, potranno a loro volta sviluppare una migliore qualità di pensiero e una maggiore integrazione somato-psichica.
Bibliografia
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- Bastianini, T. & Ferruta, A. (a cura di) (2018). La cura psicoanalitica contemporanea. Roma: Fioriti.
- Bion W. R. (1962). Una teoria del pensiero. Trad it. in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma: Armando Editore, 1970.
- Bion W.R. (1970). Attenzione e interpretazione. Una prospettiva scientifica sulla psicoanalisi e sui gruppi. Roma: Armando, 1973.
- Bion, W.R. (1977). Seminari Italiani. Roma: Borla, 1985.
- Bolognini, S. (2016). Elements of Technique Between the Self and Non-Self. The Italian Psychoanalytic Annual, 11: 9-26.
- Bolognini, S. (2019). Flussi vitali tra Sé e Non-Sè. L’interpsichico Milano: Raffaello Cortina.
- Ferenczi S. (1928). L’elasticità della tecnica psicoanalitica. In Opere (Vol. IV, pp. 23-34). Milano: Raffaello Cortina, 2022.
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- Garcìa Badaracco, J. (1989). La comunità terapeutica psicoanalitica di struttura multifamiliare. Milano: Franco Angeli 1997.
- Garcìa Badaracco, J. (2000). Psicoanalisi Multifamiliare – Gli altri dentro di noi e la scoperta di noi stessi. Torino: Bollati Boringhieri 2004.
- Granieri, A. (2008). Amianto, risorsa e dramma di Casale: Risvolti psicologici nelle persone affette da mesotelioma e nei loro familiari. Genova: Fratelli Frilli.
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- Granieri, A. (2016a) Extreme trauma in a polluted area: Bonds and relational transformations in an Italian community. International Forum of Psychoanalysis, 25: 94-103
- Granieri, A. (2016b). La comunità di Casale Monferrato: Aspetti corruttivi della governance e sopravvivenza psichica. In L. Ambrosiano & M. Sarno (Eds), Corruttori e corrotti: Ipotesi psicoanalitiche. Milano: Mimesis.
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- Granieri, A., Borgogno, F.V., Franzoi, I.G., Gonella, M., Guglielmucci, F. (2018). Development of a Brief Psychoanalytic Group Therapy (BPG) and its application in an asbestos National Priority Contaminated Site. Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, 54(2): 161-167.
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- Marinaccio, A. et al. (2025). Registro Nazionale dei Mesoteliomi. Ottavo. Rapporto. Milano: INAIL.
- Novello, S., Pinto, C., Torri, V., Porcu, L., Di Maio, M., Tiseo, M., Ceresoli, G., Magnani, C., Silvestri, S., Veltri, A., Papotti, M., Rossi, G., Ricardi, U., Trodella, L., Rea, F., Facciolo, F., Granieri, A., Zagonel, V., & Scagliotti, G. (2016). The Third Italian Consensus Conference for Malignant Pleural Mesothelioma: State of the art and recommendations. Critical Reviews in Oncology/Hematology, 104: 9-20.
- Ogden, T. H. (1994). The Analytic Third: Working with Intersubjective Clinical Facts. International Journal of Psychoanalysis, 75: 3-19.
- Speziale-Bagliacca, R. (1997). Colpa: Considerazioni su rimorso, vendetta e responsabilità. Roma: Astrolabio.
[1] L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce Siti Contaminati quelle aree caratterizzate dalla presenza, attuale o passata, di attività umane che hanno prodotto o possono produrre una contaminazione ambientale, con effetti o possibili effetti sulla salute della popolazione. In Italia, la possibilità che un’area possa essere inserita tra i cosiddetti SIN per la bonifica si basa su criteri sanitari, ambientali e sociali.
[2] Casale Monferrato (AL, AT e VC), Balangero (TO), Broni (PV), Emarese (AO), Officina Grande Riparazione ETR di Bologna, Napoli Bagnoli, Tito (PZ), Bari Fibronit, Priolo (SR) e Biancavilla (CT).
[3] Il gruppo è stato condotto da me e da una candidata SPI con una formazione specifica sui gruppi multifamiliari.