Sol Le Witt
Il presente contributo costituisce una riflessione sull’importanza di poter raccogliere e diffondere il più possibile nella nostra comunità scientifica, e non solo, i dati ed i risultati scaturiti dal confronto e approfondimento sul lavoro che gli psicoanalisti svolgono all’interno delle varie istituzioni.
Giovanna Montinari e Giuseppe Riefolo, con il loro scritto, ci danno uno spaccato molto interessante sul lavoro del gruppo formato da analisti provenienti dei due centri di Roma, che da dieci anni si incontra e confronta per trovare spunti e metodologie che consentano di estendere il pensiero psicoanalitico all’interno e nelle dinamiche dei servizi psicologici e psichiatrici. (Renata Rizzitelli)
L’INFINITA PARABOLA DELLA RELAZIONE FRA PSICOANALISI E ISTITUZIONI*
Giovanna Montinari, Giuseppe Riefolo
Parole Chiave Seminari Analitici di Gruppo; Supervisione psicoanalitica; Psicoanalisi Multifamiliare; Psicoanalisi e Istituzioni; Formazione psicoanalitica dei servizi pubblici.
Premessa
Un gruppo di analisti SPI dei due Centri di Roma circa dieci anni fa ha usato le esperienze degli anni (e dei colleghi) precedenti per riformulare la possibilità di estendere il metodo psicoanalitico nuovamente alle istituzioni psicologico-psichiatriche dei contesti istituzionali di cura esterni alla istituzione della SPI[1]. Sono gradualmente emerse due posizioni che, tuttora caratterizzano la posizione del gruppo. Una è orientata alla ricerca di modalità attraverso cui il metodo psicoanalitico possa essere di aiuto terapeutico alle istituzioni, l’altra è di usare la posizione psicoanalitica per la formazione degli operatori che lavorano nelle istituzioni.
Metodo psicoanalitico e funzione terapeutica verso l’istituzione
Nelle prime intense discussioni del nostro gruppo è emersa l’evidenza che la relazione fra “Psicoanalisi e Istituzioni” dovesse declinarsi come processo di scambio e sollecitazione reciproca. Pertanto, per realizzare questo primo assunto è stato sin da subito deciso che bisognasse invertire il movimento che portava la psicoanalisi nelle istituzioni, ma che i servizi potessero trovare ospitalità nei luoghi della psicoanalisi. La sede SPI di “via Panama” poteva essere assunta, soprattutto dal nostro gruppo, come piazza dove poter incontrare le istituzioni e scambiare clinica per poterla leggere secondo il metodo psicoanalitico arricchito dalla specificità di setting che i servizi potevano suggerire e consegnare agli psicoanalisti. Nasce da questa posizione preliminare il progetto “Ripensare il caso clinico”, ovvero una proposta di invito rivolto agli operatori dei servizi ad incontrarsi presso la sede SPI di via Panama sia per la discussione di casi clinici portati dagli operatori che per la presentazione da parte di alcuni analisti di temi teorico clinici in specifici seminari. Sin dai primi cicli dei seminari – sia analitici di gruppo che teorico-clinici – l’adesione degli operatori delle istituzioni è risultata persino entusiastica[2].
Questa parabola, incerta e faticosa, che si costruisce nell’incontro fra psicoanalisi e istituzioni pone immediatamente un problema che concerne la manutenzione del rapporto fra gli analisti che partecipano al gruppo, prima che la definizione di regole e di confini e obiettivi. La manutenzione ha chiesto (imposto?) particolari modalità di relazioni all’interno del gruppo. Non abbiamo mai creduto che la premessa di in- tenti e l’individuazione di progetti potesse essere sufficiente alla definizione del gruppo. Ci siamo da subito dati dei momenti precisi e costanti di incontri mensili che nel periodo Covid si sono mantenuti in remoto. Parallelamente a questi incontri abbiamo condiviso il metodo del report mensile di ogni singola riunione inviato a tutti i partecipanti al gruppo di lavoro intercentri. I report delle riunioni, e la consecutiva mailing list che ne è emersa, implicitamente riconoscono positivamente la fatica di ciascuno di noi a mantenere con- tatti concretamente faticosi per le compatibilità con altri impegni personali. Alla fine, il gruppo usa positivamente e riconosce a ciascuno livelli discreti e soggettivi di partecipazione ribadendo l’adesione al progetto attraverso l’appartenenza prima che attraverso la presenza attiva[3]. Un altro elemento di manutenzione costante del gruppo è, tuttora, l’impegno ad un seminario annuale che ha il senso sia della presenta- zione, soprattutto verso i colleghi SPI, che di pubblicizzazione verso le istituzioni esterne del lavoro svolto durante l’anno. La cifra implicita all’adesione dei partecipanti al gruppo è nella consapevolezza che le istituzioni rappresentino opportunità di setting che permettono l’incontro terapeutico con pazienti altrimenti inavvicinabili. Per l’analista si tratta della possibilità di sondare continuamente le potenzialità del metodo e della teoria psicoanalitica.
Un interesse particolare abbiamo avuto, particolarmente negli ultimi tempi, per cercare di capire se e in che modo gli interventi che proponiamo abbiano una funzione trasformativa rispetto a ciò che accade nei servizi, ovvero verso i pazienti e verso gli operatori. Per noi è un passo importante perché sappiamo che una delle modalità implicite e violente attraverso cui la psicoanalisi si incontra con le istituzioni è l’autoreferenzialità teorica e poi clinica per cui non ci si cura della validazione dei metodi e degli esiti. In questa linea siamo solo agli inizi. Per ora abbiamo individuato due ambiti in cui cerchiamo di mettere alla prova di efficacia il metodo. Si tratta di valutare alla fine dei SAdG e delle sedute di PMF[4] quali trasformazioni possono essere accadute nelle rappresentazioni del caso clinico nei vari partecipanti al percorso di gruppo. Per i SAdG si tratta di confrontare l’iniziale presentazione del caso con il report che, uno dei partecipanti, propone all’inizio della seduta successiva (in cui ci si appresta a parlare di un nuovo caso …). Per le sedute di PMF il confronto è possibile fra la presentazione iniziale del caso e l’Ateneo che puntualmente si effettua fra i soli operatori (ovvero senza pazienti e fa- miliari) alla fine di ogni seduta. Non si tratta di “riassunti” delle sedute (come analisti sappiamo bene che non esistono riassunti…), ma di una narrazione che avviene dopo che il caso sia stato presentato e che sia passato nella rappresentazione e partecipazione di tutti i componenti del gruppo. Ovvero i vari vertici che, dopo la presentazione del caso, possono ora ridisegnare ciò che all’inizio poteva solo essere una semplice e bidimensionale presentazione psicopatologica.
Metodo psicoanalitico e funzione formativa verso l’istituzione
Infine, il nostro gruppo sollecita non solo la discussione reciproca della clinica portata dai servizi esterni, ma si propone anche di modulare reciprocamente modelli di formazione. In questo riteniamo che una posizione psicoanalitica sia proprio quella di permettere ad ogni operatore, ed anche ad ogni psicoanalista che lavora nei servizi, di poter essere psicoanalista prima che applicare la psicoanalisi (Cahn, 2002). Pensiamo che la psicoanalisi, soprattutto attraverso la funzione e la dimensione istituzionale dei Centri abbia il compito di individuare pro- poste attive di formazione degli operatori che siano compatibili con il contesto istituzionale dei servizi territoriali. Ciò, molto spesso in passato, è stato proposto, anche dagli stessi psicoanalisti, come esportazione lineare del metodo psicoanalitico verso le istituzioni determinando una simmetrica posizione difensiva dei servizi che si è anche declinata secondo sterili modalità imitative (Gaddini, 1984). I servizi non devono diventare “psicoanalitici”, ma uno psicoanalista si troverà sempre a chiedersi come suggerire alle istituzioni (anche ai propri pazienti…) che il dolore, i sintomi, le dinamiche relazionali, le ripetizioni molto spasso agite da parte di pazienti e terapeuti possono essere affrontate solo secondo un registro di funzionamento di inconsci. Al tempo stesso, sempre nel registro inconscio, le risposte degli operatori e dell’intero campo istituzionale (Correale, 1991) possono essere lette ed usate dinamicamente come partecipazione soggettiva degli operatori che “usano la propria soggettività come ferro del mestiere” (Bleger, 1964). Pertanto, riteniamo che sia un dovere etico della psicoanalisi e degli psicoanalisti avanzare attivamente proposte psicoanalitiche di formazione degli operatori. Tali proposte dovrebbero sostenere la posizione psicoanalitica di fondo evitando o almeno contenendo le posizioni formali ed imitative che puntualmente risultano estremamente limitanti e impoverenti verso i servizi. Se gli analisti non avanzano attivamente proposte formative, la formazione degli operatori si de- clinerà secondo altri registri che sempre più si organizzeranno verso la diagnosi descrittiva, la oggettività della cura non solo farmacologica e la generalizzazione della medicina delle evidenze. La nostra posizione è precisa: la diagnosi, l’uso dei farmaci, la cura basata sulle evidenze non pensiamo siano alternative alla posizione psicoanalitica, ma il registro psicoanalitico proporrebbe un uso (Winnicott, 1968) di questi parametri al fine di costruire con il paziente e all’interno della complessa e ricca cornice (campo) dell’istituzione processi di trasformazione. Come psicoanalisti siamo certi che senza l’adozione di un registro di fondo che usi questi parametri come opportunità di proposte relazionali, la psichiatria dei servizi risulti semplicemente una violenta oggettivazione medica di elementi profondamente relazionali. Pertanto la nostra proposta forma- tiva verso le istituzioni della psichiatria territoriale vedrebbe l’uso a fini formativi dei SAdG e degli interventi di PMF. In questo caso non si tratta della dimensione terapeutica, ma specificamente formativa orientata a tutti gli operatori che lavorano nei servizi. I SAdG e la PMF hanno il vantaggio di permettere la partecipazione (ed usare il contributo soggettivo) di tutti gli operatori i quali possono partecipare in modo diretto ed attivo ai processi di presentazione e trasformazione dei casi. I SAdG e la PMF permettono, a nostro parere, di cogliere da parte di tutti gli operatori, la ricchezza e la complessità fertile dei processi di accoglienza, diagnosi e cura possibile attraverso il dispositivo dell’istituzione e del registro psicoanalitico evitando che il metodo psicoanalitico sia confuso con il setting, ovvero una psicoanalisi possibile solo nella stanza di analisi e, sostanzialmente, impossibile nelle istituzioni.
Riferimenti bibliografici
Bastianini T., Ferruta A. (a cura di) (2018). La cura psicoanalitica con- temporanea. Estensioni della pratica clinica. Fioriti, Roma.
Bastianini T., Ferruta A., Guerrini Degli Innocenti B. (2022). Ascoltare con tutti i sensi. Estensioni del paradigma dell’ascolto psicoanalitico, Fioriti, Roma.
Bion W. R. (1974). Intervista in Il cambiamento catasatrofico, Loesher, Torino, 1981.
Bleger J. (1964). Il colloquio psicologico (suo impiego nella diagnosi e nella ricerca), in: Psicoigiene e psicologia istituzionale, Lauretana, Loreto, 1989.
Cahn R. (2002). La fine del divano?, Borla, Roma, 2004
Correale A. (1991). Il campo istituzionale, Roma, Borla.
Damasio A. (1994). L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Adelphi, Milano 1995.
Gaddini E. (1984). Se e come sono cambiati i nostri pazienti fino ai nostri giorni. In: Scritti 1953-1985, Cortina, Milano, 1989.
Stern D. (1995). La costellazione materna. Il trattamento psicoterapeutico della coppia madre-bambino, Bollati Boringhieri, Torino.
Winnicott, (1968). L’uso di un oggetto e l’entrare in rapporto attraverso identificazioni, in Gioco e Realtà, (1971) Armando, Roma, 1974.
Abstract.
Presso i due Centri SPI di Roma da circa 10 anni si è formato un gruppo di lavoro intercentri che si occupa di “Psicoanalisi e Istituzioni”. La posizione che ha fondato il gruppo sin dall’inizio è che si riflettesse e si organizzassero proposte di reciproco arricchimento fra le istituzioni territoriali e la clinica psicoanalitica. La prima posizione è stata di aprire gli spazi di via Panama, la sede dei Centri SPI di Roma, agli operatori delle istituzioni. Da nove anni si propongono Seminari Analitici di Gruppo presso via Panama dove partecipano operatori dei servizi sia pubblici che del privato sociale. Il gruppo ha individuato il metodo dei Seminari Analitici di Gruppo e gli interventi di Psicoanalisi Multifamiliare come dispositivo formativo da proporre agli operatori dei servizi
* Nota ridotta dalla introduzione al Quaderno n° 1: “Il metodo psicoanalitico nelle Istituzioni” a cura di De Intinis G., Faccdenda N., Zuppi P.L. (2022) sul sito Psicoanalisi & Sociale, https://www.psicoanalisiesociale.it/il-metodo-psicoanalitico-nelle-istituzioni-a-cura-di-gabriella-de-intinis-nicoletta-faccenda-pier-luca-zuppi/
[1] I primi coordinatori del gruppo sono stati Francesca Piperno e Alessandro Antonucci. Sicuramente si deve alla loro determinazione e tenacia se questo gruppo intercentri è potuto nascere e soprattutto procedere
[2] Per l’analisi di questi dati rimandiamo all’analisi proposta in questo Quaderno da Montinari e Calvosa (p. ). In questa sede dobbiamo comunque rilevare come l’adesione sia stata soprattutto entusiastica da parte di giovani operatori delle scuole universitarie o operatori di comunità e servizi clinici del privato sociale. Minima è risultata l’adesione da parte di operatori dei DSM se non per alcune richieste di intervisioni dove l’intera équipe che si occupava del caso ha potuto discutere del caso in un contesto insolito quale la sede SPI con il coordinamento di due analisti del nostro gruppo.
[3] Gli elementi concreti di questo speciale “setting” del gruppo sono numerosi e, come gli analisti sanno bene, ciascuno di essi può assumere la valenza di impedimento oppure di autorizzazione al processo. Se non assunti all’interno del set- ting questi elementi solleciterebbero posizioni dell’ordine superegoico mentre, riconosciuti all’interno del setting, descrivono la fatica e il piacere della partecipazione creativa. Il gruppo è formato da circa 40 analisti dei due Centri dove per una metà si tratta di partecipazione attiva (seppure a vari livelli…) mentre gli altri partecipano attraverso quella che con Damasio (1994) potremmo definire una “Disposizione potenziale”.
[4] SAdG : Seminari Analitici di Gruppo; PMF: Psicoanalisi Multifamiliare.